Xinjiang in lockdown e residenti costretti ad assumere farmaci per il Covid-19

I residenti vengono costretti ad assumere farmaci di dubbia efficacia, e secondo alcuni l'emergenza sanitaria non è l'unica ragione del lockdown

Di Frank Fang

Costretti ad assumere farmaci per prevenire la diffusione del virus del Pcc, meglio noto come nuovo coronavirus. Lo denunciano i residenti di Urumqi, capoluogo della regione cinese dello Xinjiang.

La città, dove vivono circa 3,5 milioni di persone, si trova in lockdown da oltre un mese, da quando a metà luglio sono emerse notizie di un nuovo focolaio. Da allora sono stati effettuati test per il Covid-19 in tutta la città e le comunità locali sono ancora in ‘stato di isolamento’, il che significa che a nessuno è permesso entrare o uscire dal proprio complesso residenziale. Naturalmente è anche proibito uscire da Urumqi, se non in determinate circostanze speciali.

Tuttavia, non è chiaro quale sia la vera portata dell’ultima ondata epidemica nello Xinjiang, poiché le autorità hanno fornito poche informazioni a riguardo. Nelle scorse settimane alcuni residenti hanno confessato a Epoch Times di temere che il governo stesse coprendo la gravità dell’epidemia.

Trattamenti sanitari obbligatori

Recentemente le autorità di Urumqi hanno emesso un nuovo provvedimento. Il signor Wang, un residente della città, ha comunicato che è stato chiesto agli abitanti di assumere regolarmente dei farmaci che vengono consegnati tre volte al giorno da volontari che lavorano per il governo: «I volontari arrivano, rilevano la nostra temperatura, ci guardano assumere i farmaci e ci fotografano […] i bambini prendono metà dose del farmaco. Che il farmaco funzioni o meno, noi non ne abbiamo idea».

Il signor Wang ha precisato che i funzionari non hanno mai detto che i farmaci erano obbligatori, ma i volontari hanno costantemente segnato i nomi delle persone che assumevano il farmaco e di quelli che si rifiutavano di farlo. Un altro residente invece ha detto di conoscere una persona che è stata costretta ad assumere il farmaco.

Ad ogni modo gli intervistati hanno preferito non rivelare i loro veri nomi per paura di rappresaglie da parte delle autorità cinesi.

Inoltre, il 23 luglio, il direttore dell’ospedale di medicina tradizionale cinese di Urumqi, Li Chongrui, ha dichiarato in una conferenza stampa che un ospedale simile nella prefettura di Changji Hui, situata a nord-ovest di Urumqi, aveva distribuito oltre 5 mila sacchetti di medicine a base di erbe agli operatori sanitari in prima linea.

Secondo la stampa statale cinese, il 31 luglio la Cspc Ouyi Pharmaceutical, un’azienda farmaceutica con sede nella provincia di Hebei, ha spedito a Urumqi oltre 210 mila pillole di un farmaco antivirale chiamato Umifenovir, comunemente usato per trattare l’influenza.

L’efficacia rimane poco chiara

Sebbene il regime cinese abbia promosso l’utilizzo della medicina tradizionale cinese e dell’Umifenovir per curare i pazienti affetti dal virus del Pcc, l’efficacia di entrambi i farmaci è ancora oggetto di discussione.

A marzo Edzard Ernst, un ricercatore in pensione di medicina complementare con sede nel Regno Unito, ha affermato su Nature: «Per quanto riguarda la medicina tradizionale cinese non ci sono grandi prove, e quindi il suo uso non è solo ingiustificato, ma anche pericoloso».

Per quanto riguarda l’Umifenovir, attualmente gli ospedali cinesi usano ampiamente questo farmaco per trattare i pazienti colpiti dal Covid, mentre in Occidente non è stato approvato. Attualmente almeno due studi scientifici hanno concluso che l’uso dell’Umifenovir non sembra portare miglioramenti ai pazienti infettati dal virus.

Rimostranze

Sui social media, i residenti di Urumqi hanno pubblicato video di persone costrette ad assumere il farmaco contro la loro volontà.

Un video ampiamente circolato online mostra 15 abitanti di una comunità locale denominata Ruishen a cui viene ordinato di bere il contenuto di alcuni bicchieri di carta, che si suppone contengano medicine a base di erbe. Nel video si sente una donna dire: «Bevetela in fretta», dopodiché si vedono le 15 persone eseguire l’ordine.

Inoltre, in uno screenshot di una chat online che ha fatto il giro del web, una residente si lamenta con uno degli operatori sanitari perché aveva sperimentato una reazione allergica dopo aver ingerito il medicamento, nonché un’eruzione cutanea. Ma l’operatore le risponde consigliandole semplicemente di obbedire agli ordini.

Un altro abitante della zona ha scritto su Weibo, l’equivalente cinese di Twitter, che i funzionari locali si sono presentati a casa sua alle 3 del mattino e gli hanno chiesto di bere il farmaco di fronte a una telecamera.

Peraltro, il signor Wang ha messo persino in discussione la motivazione per cui il governo locale ha implementato questa e altre procedure, visto che ufficialmente non è stato segnalato alcun nuovo caso di infezione dopo il 16 agosto. Ha spiegato che da quando è iniziato il lockdown il cibo gli viene consegnato sulla porta di casa e la sua spazzatura viene ritirata da un’azienda locale una volta al giorno, al fine di ridurre al minimo i contatti interpersonali.

Dal 25 agosto, però, a lui e alla sua famiglia è stato consentito di uscire dal proprio appartamento e muoversi all’interno del proprio complesso residenziale, sebbene sia permessa l’uscita contemporanea di solo una persona per famiglia.

Il 24 agosto Xinhua, uno delle principali testate giornalistiche statali, ha riferito che ai residenti di Urumqi che vivono in determinate aree prive di contagi è stato consentito di svolgere «attività personali senza assembramenti» all’interno del proprio complesso residenziale.

Un’altra residente di Urumqi, la signora Liu, ritiene che il governo locale abbia imposto misure cosi restrittive per motivi che esulano dall’emergenza sanitaria. Secondo lei, le misure sono state adottate allo scopo di «mantenere la stabilità sociale».

In altre parole, Liu ritiene che grazie al lockdown sia più semplice per i funzionari locali andare in giro e arrestare i dissidenti rimasti in città.

La donna ha anche sottolineato che negli ultimi tempi è stato particolarmente difficile inviare all’esterno informazioni sullo Xinjiang: le persone che lo fanno rischiano di essere arrestate o incarcerate. La gente scompare e semplicemente nessuno sa dove sia andata a finire.

Secondo la Liu, anche le persone trovate in possesso di software per aggirare il grande firewall di internet del regime comunista rischiano di finire in carcere.

 

Articolo in inglese: Xinjiang Officials Force Residents to Take Unproven COVID-19 Drugs, Locals Say

 

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