Virus del Pcc, contagi azzerati in Australia. Perché?

I casi di infezione in Australia sono scesi in concomitanza con la coraggiosa azione di Canberra di aver chiesto un'indagine indipendente sul virus del Pcc

Il virus del Pcc (Partito Comunista Cinese) si è diffuso in ogni Paese, e il mondo vuole ora conoscerne con precisione le origini. Le reazioni mostrate dal regime, tuttavia, hanno mostrato, oltre che la sua vera natura, un forte senso di paranoia.

In questa situazione, il caso dell’Australia, oltre a mostrare il tipico atteggiamento del Pcc, rende anche più chiaro quale sia il miglior modo per affrontare il virus.

Dalla fine di aprile, il primo ministro australiano Scott Morrison sta spingendo per un’indagine indipendente sull’origine e la diffusione dell’epidemia; e ha insistito nonostante le costanti minacce economiche e le provocazioni diplomatiche dell’ambasciatore cinese.

L’iniziativa dell’indagine del governo australiano, inoltre, ha ricevuto una risposta da un numero crescente di leader nazionali globali, compresi gli Stati Uniti. Nel frattempo, con sorpresa degli australiani, la situazione della pandemia nel Paese è stata rapidamente messa sotto controllo in meno di un mese. Basta considerare che, al 12 maggio, il numero cumulativo di casi confermati d’infezione in tutta l’Australia era di 6 mila 970.

L’Australia aveva infatti visto un crescendo di casi di contagio dall’inizio del mese di marzo; così, il 12 marzo, la dottoressa Kerry Chant, vice segretario del ministero delle Sanità australiana, aveva previsto – in base all’andamento dell’epidemia in quel momento – che nel solo Nuovo Galles del Sud sarebbero state infettate un milione e mezzo di persone; mentre 3 milioni e 400 mila persone sarebbero state infettate in tutta l’Australia. Ma due mesi dopo, le cose hanno preso una rapida svolta in positivo, come si può osservare dal grafico: il cambiamento è iniziato proprio ad aprile.

Grafico sull'andamento dei casi di virus del Pcc (Partito Comunista Cinese) in Australia
Grafico mostra l’andamento dei casi totali di virus del Pcc (Partito Comunista Cinese) in Australia. Da aprile la curva ha smesso di crescere. (Fonte: worldometers.info)

Da aprile infatti, di fronte all’elevato numero di infezioni, la comunità intellettuale australiana, la stampa e i funzionari governativi a tutti i livelli hanno iniziato a riflettere lucidamente sul perché l’epidemia sia scoppiata in tutto il mondo e soprattutto sul perché sia giunta in Australia. La causa che sembrano aver trovato è stata l’aver creduto alle costanti menzogne del Pcc sull’origine e la diffusione dell’epidemia.

L’Australia chiede verità sul virus del Pcc

Il 19 aprile l’Australia ha chiesto un’indagine indipendente sulla risposta globale alla pandemia di coronavirus, compresa la gestione della crisi da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms).

Il 22 aprile, il primo ministro australiano Scott Morrison ha avuto uno scambio di idee per un’indagine indipendente sul Partito Comunista Cinese con il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese Macron: «Abbiamo anche discusso i temi dell’Oms, oltre a lavorare insieme per migliorare la trasparenza e l’efficacia della risposta internazionale all’epidemia».

 

 

Il portavoce del Ministero degli Esteri cinese, Geng Shuang, ha risposto il giorno successivo (il 23 aprile); e ha affermato che «l’indagine indipendente» proposta dal governo australiano fosse una «manipolazione politica e una interferenza con la cooperazione internazionale sulla prevenzione e il controllo delle epidemie».

Screenshot di articolo in cinese con foto di Geng Shuang
Geng Shuang sostiene che l’indagine indipendente australiana sul virus del Pcc sia una «manipolazione politica e interferenza con la cooperazione internazionale sulla prevenzione e il controllo delle epidemie». (screenshot)

Il 27 aprile l’ambasciatore cinese a Canberra, Jingye Cheng, ha minacciato in un’intervista con The Australian Financial Review, che i consumatori cinesi avrebbero boicottato i prodotti australiani, compresi il vino e la carne di manzo; e inoltre che i genitori cinesi avrebbero rivalutato la decisione di mandare i loro figli a studiare in Australia. L’ambasciatore ha anche descritto la richiesta d’indagine come «pericolosa» e affermato che l’Australia non avrebbe avuto il sostegno di altri Paesi.

Lo stesso giorno (il 27 aprile), Simon Birmingham , il ministro australiano per il Commercio, il turismo e gli investimenti, ha espresso il suo disappunto per le osservazioni cinesi e ha ribadito la posizione del governo australiano: «L’Australia non cambia la sua posizione in materia di politica di sicurezza nazionale, tanto meno la sua posizione sulle principali politiche di salute pubblica, a causa della coercizione economica o dell’intimidazione».

L’ex ministro degli Esteri australiano, Alexander Downer, ha commentato di non aver mai visto dalla fine della ‘Guerra fredda’ un ambasciatore comportarsi in modo così «avventato» e «poco diplomatico» come l’ambasciatore cinese in Australia.

La portavoce degli Affari esteri del partito d’opposizione, Penny Wong, ha ribadito che la Cina non dovrebbe temere un’indagine indipendente, se è convinta di non essere responsabile. Se l’ambasciatore cinese non vuole «sospetti e divisioni», ha affermato la Wong, dovrebbe piuttosto rassicurare la comunità internazionale permettendo che si compiano le indagini in modo che sia dissipato ogni dubbio.

Anthony Albanese, leader del Partito laburista australiano e dell’opposizione federale, ha sottolineato che «l’Australia vuole un rapporto positivo con la Cina, ma deve basarsi sulla fiducia e sulla trasparenza, e la trasparenza è necessaria per valutare questo virus e la sua comparsa».

Il ministro delle Finanze Josh Frydenberg ha definito «assurde» le osservazioni delle autorità cinesi; ha sottolineato inoltre che il governo australiano non si «piegherà» alla coercizione economica dei comunisti cinesi.

Il vero volto del Pcc

Il 28 aprile il Sydney Morning Herald ha pubblicato un articolo di opinione di Peter Hartcher; in questo si afferma che il regime comunista cinese ha sempre mostrato esteriormente un atteggiamento amichevole con l’Australia e ha sempre mantenuto la ‘maschera’ sorridente dell’amicizia; per questo il Paese lo ha lasciato fare nonostante gli avvertimenti dell’ex direttore generale dell’Asio (Australian Security Intelligence Organisation) e consigliere per la sicurezza nazionale, Duncan Lewis; per quest’ultimo infatti «da anni il Partito comunista cinese sta sistematicamente minando la sovranità australiana nel tentativo di prendere il controllo del sistema politico». E ora l’ambasciatore cinese a Canberra, Cheng, ha minacciato apertamente l’Australia di voler boicottare il commercio.

L’ambasciatore cinese in Australia, Cheng Jingye, ha infatti usato l’economia per ricattare il governo australiano affinché abbandonasse l’indagine; ma al contrario, gli ambienti politici australiani hanno unificato le loro opinioni sul Partito comunista cinese e rafforzato l’indagine sull’origine del virus comunista cinese.

Sempre il 28 aprile, l’ambasciata cinese ha anche pubblicato sul proprio sito parte del contenuto della telefonata con il segretario agli Affari Esteri Frances Adamson, cosa che va contro le più basilari regole diplomatiche. L’articolo ha attaccato il primo ministro Morrison e il Dipartimento degli Affari Esteri per «aver fatto il furbo» e «aver applicato giochi politici».

Screenshot da sito Ambasciata cinese
L’ambasciata cinese pubblica sul proprio sito, il 28 aprile, parte del contenuto di una conversazione con il segretario Frances Adamson

Dave Sharma, ex diplomatico veterano e ora deputato federale liberale, ha usato Twitter per accusare l’ambasciata cinese di «chiara e deliberata rottura del protocollo diplomatico».
«Pubblicare il contenuto di una conversazione privata e travisare le parole dell’altra parte senza l’approvazione o il consenso dell’altra parte non è un atto che l’Australia farebbe mai».

Il senatore federale Rex Patrick ha sostenuto anch’egli che l’azione compiuta dal Pcc ha sollevato questioni spinose nelle relazioni diplomatiche tra Australia e Cina: «Quello che l’ambasciatore ha fatto, ha rivelato il vero volto diplomatico del Pcc e ha confermato la preoccupazione che il Pcc preferisca il controllo e la coercizione rispetto al partenariato. L’Australia è a una svolta strategica, diplomatica ed economica nelle relazioni con la Cina».

In risposta ai nuovi attacchi del Partito Comunista Cinese, il primo ministro australiano Morrison ha chiarito, nella sua risposta del 29 aprile, che era del tutto ragionevole e sensato spingere per un’indagine internazionale indipendente, e che non sarebbe stato scoraggiato dal farlo: «Questo virus è costato la vita a più di 200 mila persone in tutto il mondo. Ha causato lo stallo dell’economia globale. Il suo impatto è stato straordinario. Quindi [l’indagine, ndr] sembra perfettamente ragionevole e sensata. La comunità internazionale vorrebbe avere una valutazione indipendente di quel che le è accaduto, da cui possiamo trarre alcune lezioni per evitare che si ripeta. Non credo che sia un suggerimento irragionevole. È molto chiaro che si tratta di una proposta di buon senso e non ci lasceremo scoraggiare».

Morrison ha anche affermato che avrebbe continuato a spingere per un’indagine internazionale durante la riunione dell’Oms a fine maggio. Il 5 maggio infatti ha scritto a tutti i leader del G20 per lanciare un’inchiesta indipendente sull’origine del virus e sull’epidemia nella Cina continentale.

La sera del 7 maggio, Martin Parkinson, ex ministro permanente del Dipartimento del primo ministro e del Gabinetto, ha elogiato il governo Morrison per come ha gestito la disputa diplomatica: «Dobbiamo assolutamente condurre un’indagine indipendente e come Paese, come comunità internazionale, dobbiamo imparare da essa. In questo modo potremo rispondere meglio all’epidemia in futuro».

In merito alla minaccia di Cheng Jingye, Parkinson ha dichiarato: «Credo che l’ambasciatore cinese ci abbia fatto un favore. Ha messo questa minaccia davanti all’opinione pubblica australiana per mostrare quali atti minacciosi sono disposti a commettere se un Paese non agisce secondo i loro desideri. Penso che questo sia un vero e proprio campanello d’allarme per la comunità australiana».

A questo punto gli Stati Uniti hanno inviato un segnale forte: il 7 maggio, un tweet ufficiale della Commissione per le relazioni estere del Senato degli Stati Uniti affermava: «Gli Stati Uniti si schiereranno con i nostri alleati australiani di fronte alla minaccia del Partito comunista cinese». Lo stesso giorno, l’Ambasciata degli Stati Uniti in Australia ha inviato una lettera di sostegno pubblico all’Australia da parte dei membri del Parlamento degli Stati Uniti, esprimendo il sostegno «incrollabile» degli Stati Uniti all’Australia. La lettera aperta è stata sponsorizzata da 27 membri della Camera e del Senato degli Stati Uniti, tra cui il senatore repubblicano Jim Risch, presidente della Commissione per le relazioni estere del Senato degli Stati Uniti, e il senatore democratico Robert Menendez.


Il tweet ufficiale della Commissione per le relazioni estere del Senato degli Stati Uniti: «Gli Stati Uniti si schiereranno con i nostri alleati australiani di fronte alla minaccia del Partito comunista cinese»

Dopo che gli Stati Uniti hanno inviato una lettera aperta a sostegno della posizione dell’Australia, il Partito Comunista Cinese si è talmente irritato che ha minacciato di imporre dazi anti-dumping sull’orzo australiano.

Il governo australiano nega fermamente le accuse di «ingiustizia» mosse dal Partito Comunista Cinese. Barnaby Joyce, deputato del Partito Nazionale Australiano ed ex vice primo ministro, ha sostenuto che le minacce sui dazi del Pcc hanno lo scopo di vendicarsi contro l’insistenza dell’Australia su un’indagine indipendente sulla fonte dell’epidemia, che è una richiesta legittima.

Recentemente, uno studio dell’agenzia di intelligence Five Eyes Coalition ha sottolineato che il Partito Comunista Cinese ha deliberatamente nascosto o distrutto le prove dello scoppio del virus del Pcc, che ha ucciso migliaia di persone in tutto il mondo. Lo studio di 15 pagine rileva che il ‘segreto’ del Partito comunista cinese sull’epidemia equivale a «una violazione della trasparenza internazionale».

Il deputato indipendente del Federal Queensland, George Christensen (membro del Partito nazionale liberale del Queensland e membro del partito nazionale nel parlamento federale) ha avviato un’audizione della commissione parlamentare australiana interpartitica da lui denominata «China Inquiry»; questa indagherà in modo approfondito sull’infiltrazione economica e sulle minacce economiche poste dal Partito Comunista Cinese in Australia e per formulare raccomandazioni al governo australiano sulle risposte politiche da dare.
Christensen si aspetta che l’udienza si svolga in agosto.

Screenshot dal sito 'China Inquiry'

Sito web di ‘China Inquiry’ voluto dal deputato indipendente George Christensen per «difendere la sovranità e l’indipendenza economica dell’Australia e resistere alla minaccia della Cina comunista».

Christensen ha dichiarato al Sunday Mail: «Questa inchiesta sarà la prima del suo genere sul fenomeno del dominio fuori controllo del Partito Comunista Cinese sul commercio d’importazione ed esportazione dell’Australia con la Cina, e un’indagine approfondita sulla penetrazione economica del Partito Comunista Cinese in Australia».

Consapevolezza

L’epidemia ha, insomma, spinto l’Australia a riflettere sulle sue relazioni con il Pcc. Il deputato liberale Andrew Hastie, presidente della commissione parlamentare australiana mista per l’intelligence e la sicurezza, ha chiesto all’Australia di ridurre la sua dipendenza dalla Cina. Il primo ministro ha anche suggerito che l’Australia debba rimanere indipendente nel settore manifatturiero.

Il primo ministro australiano ha condotto una battaglia notevole contro il regime comunista cinese, e il fatto che «un’indagine indipendente» abbia reso la Cina così spaventata e arrabbiata dimostra che questa idea ha colpito il Partito Comunista in un punto sensibile. Attualmente, l’atteggiamento del popolo australiano nei confronti del Pcc è pressoché unito nel voler respingere il Pcc e indagare sulle sue responsabilità per l’epidemia.

Nello stesso periodo in cui l’Australia ha assunto questo atteggiamento nei confronti del Pcc, anche l’epidemia nel Paese sembra essersi alleviata notevolmente. Al 4 maggio, non ci sono stati nuovi casi confermati nell’Australia Meridionale per il dodicesimo giorno consecutivo.

Uno sguardo ai cambiamenti sull’andamento dell’epidemia australiana

In un simposio sull’epidemia del 29 aprile, il professor Shitij Kapur dell’Università di Melbourne ha realizzato un confronto tra l’epidemia canadese e quella australiana: «Inizialmente, ci sono stati meno di 10 casi confermati in entrambi i Paesi», ha affermato.
«Alla fine di marzo, i casi confermati sia in Canada che in Australia erano circa 4 mila. Oggi ci sono più di 45 mila casi [totali] confermati in Canada (51 mila effettivi al 29 aprile) e ne abbiamo solo 6 mila in Australia (6.745 effettivi sl 29 aprile)».

Grafico del Canada:

Casi giornalieri del virus del Pcc in Canada
Casi infezione per Coronavirus (Virus del Pcc) in Canada da febbraio a maggio.

 

Grafico dell’Australia:

Casi giornalieri di virus del Pcc in Australia
Casi infezione per Coronavirus (Virus del Pcc) in Australia da febbraio a maggio.  (https://www.worldometers.info/coronavirus/country/canada/)

Un confronto tra i due grafici, o anche un solo sguardo isolato ai casi giornalieri di epidemia in Australia, rivela come la diffusione del Covid-19 nel Paese si sia improvvisamente arrestata ad aprile e sia poi diminuita progressivamente fino a maggio.

Tra i 45 mila casi del Canada e i 6 mila dell’Australia c’è infatti una differenza notevole (di quasi sette volte maggiore). La differenza forse sta tutta in quello che l’Australia ha fatto dal mese di aprile. Ovvero, oltre alle contromisure e agli sforzi nell’affrontare l’epidemia (che qualsiasi altro Paese ha adottato), il punto cruciale sta nell’aver insistito sull’unica cosa giusta, o semplicemente legittima. E di conseguenza, nell’esser rimasti fedeli ai principi occidentali dell’etica o del credo morale: cercare la verità, smascherare gli inganni del Partito Comunista Cinese e decidere fermamente di opporvisi senza paura.

 
Articoli correlati