Usa e Vietnam tornano amici, la Cina fa buon viso a cattivo gioco

Il 24 maggio 2016 gli Stati Uniti, revocando dopo mezzo secolo l’embargo bellico al Vietnam, hanno fatto una mossa diplomatica nella regione Asia-Pacifico di importanza fondamentale. Barack Obama ha infatti ulteriormente radicato la presenza americana nella regione, e aumentato il numero delle nazioni intorno alla Cina che stanno abbandonando le loro storiche posizioni di inerzia pseudo-pacifista.

La risposta del Partito Comunista Cinese è stata di approvazione, per una mossa vista come positiva per il mondo intero. Una posizione del genere può apparire – a ragione – alquanto atipica; ma la Cina ha interessi molto più profondi in gioco.

Il presidente degli Stati Uniti e il presidente vietnamita Tran Dai Quang hanno dichiarato che «questo cambiamento assicurerà al Vietnam l’adeguata fornitura di equipaggiamenti necessari a difendersi e a superare i vecchi strascichi della Guerra Fredda».
In risposta, il portavoce del ministero degli Esteri cinese Hua Chunying ha dichiarato che la Cina è «felice di vedere il Vietnam sviluppare delle normali relazioni con tutti i Paesi, inclusi gli Stati Uniti».

Quando si tratta di una dichiarazione del Pcc – veicolata attraverso i portavoce diplomatici o i media di regime – le parole sono accuratamente misurate e, in un caso come questo, anche strettamente calcolate.

L’aspetto interessante di questo sviluppo, è che il Pcc sembra aver valutato più vantaggioso fingere approvazione piuttosto che rispondere con delle critiche. E, in effetti, è verosimile che il colosso asiatico veda questo come il trampolino per un’azione nei confronti di Usa ed Europa, che porti ad alleggerire i loro embarghi sugli armamenti, adottati dopo il massacro di piazza Tienanmen nel 1989.

I negativi precedenti in tema di diritti umani del Vietnam sono infatti stati motivo di critica, e il fatto che Obama sia andato avanti con l’accordo nonostante questo, è motivo per diversi leader cinesi di grande soddisfazione e aspettativa.

Il regime cinese porta avanti una singolare linea diplomatica, secondo cui i diritti umani non devono essere di intralcio alla politica. Una posizione che ha portato la Cina a stingere alleanze con alcune delle peggiori tirannidi del Pianeta, e a costituire così un proprio blocco di influenza insieme a quelle nazioni con cui Stati Uniti ed Europa non vogliono aver nulla a che fare.

Ma questa posizione ha anche prodotto forti critiche contro il Pcc, considerato che il suo supporto a regimi come quello nordcoreano rappresenta la loro principale fonte di sostentamento, senza la quale con ogni probabilità crollerebbero.

Certo il Vietnam non è al livello della Corea del Nord, ma è governato da un esecutivo in cui è presente solo il partito comunista, ed è responsabile di diverse violazioni dei diritti umani tipiche anche di altre nazioni comuniste.

Secondo infatti la classifica di Freedom House, il ‘tasso di libertà’ del Vietnam è del 20%, la libertà politica è praticamente nulla e i diritti civili sono minimi.

Quello che è interessante della risposta cinese, è che gli ideologi della propaganda hanno a quanto pare valutato che il beneficio di una risposta moderata sia maggiore di quello derivante da una critica, specialmente perché questo atteggiamento probabilmente migliorerà la situazione cinese nella regione Asia-Pacifico.

Quanto all’accordo in sé, è più che altro un gesto simbolico, il cui impatto – più che sul piano militare – ha valore dal punto di vista della reputazione internazionale del Vietnam, che già comprava armi e automezzi militari dalla Russia. Il cambiamento di atteggiamento degli Usa, quindi, è molto improbabile che renda il Vietnam un Paese più ‘pericoloso’ per la Cina di quanto non sia già. Il Vietnam ha infatti più militari degli Stati Uniti: quasi mezzo milione in servizio attivo e tre milioni di riservisti.

Ma se si interpreta correttamente la storia recente, il Pcc vede questo accordo come una minaccia, e si sta più che altro ‘mordendo la lingua’. Quando, infatti, gli Stati Uniti avevano iniziato ad alleggerire l’embargo nel 2014, il Quotidiano del Popolo cinese (organo di regime del Pcc) aveva accusato gli Usa di interferire con «gli equilibri di potere nella regione».

E «gli equilibri di potere nella regione» sono l’aspetto su cui la rimozione dell’embargo impatterà più di tutto.

Perché quello che ora cambia, è il modo in cui gli Stati Uniti vedono il Vietnam; e questo aiuterà la diplomazia di Hanoi nei rapporti con tutte le altre nazioni. Come ha osservato il Japan Times, si riduce la «sensibilità politica» che un Paese doveva finora affrontare se voleva rafforzare i propri legami col Vietnam.

 

Articolo in inglese: China’s Response on Vietnam Arms Embargo Reveals Regime’s Own Ambitions

 
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