Unesco: importante preservare le tradizioni culturali in Italia

Dalla falconeria alla dieta mediterranea, le tradizioni culturali ancora vive in Italia sono davvero tante. Con l’intento di preservarle, l’Unesco ha stilato una lista delle più radicate usanze storiche del Bel Paese, che sono ritenute importanti non solo come eredità storica ma anche per il potere che hanno di creare un legame tra l’eredità culturale del proprio territorio e le nuove generazioni.

PANTELLERIA, COLTIVAZIONE DELLA VITE AD ALBERELLO

La pratica tradizionale della coltivazione della ‘vite ad alberello’ (o la vite ad arbusto) della comunità di Pantelleria, è un metodo sostenibile che impiega circa 5 mila persone tra contadini e viticoltori. Coltivatori e isolani si sforzano di preservare questa tradizione, e così, tutti quelli che hanno un lotto di terra, coltivano la vite con tale metodo che richiede varie fasi. La terra è preparata in modo da creare il microclima adatto alla miglior crescita delle piante: il suolo viene livellato e poi viene scavata una buca per ogni singola pianta per proteggerla; la radice principale viene potata in modo da avere sei rami che formano un arbusto a simmetria radiale e la buca è rimodellata costantemente in modo tale da assicurare che la pianta abbia sempre il microclima giusto. I grappoli sono colti a mano durante una festa rituale antica all’inizio e alla fine di luglio; uomini e donne prendono parte all’evento seguendo le procedure ed usando le tecniche che vengono insegnate e trasmesse dai familiari attraverso racconti tramandati oralmente nella lingua locale. Il rito e il festival tra luglio e settembre permette così alla comunità locale di condividere questa pratica comune di forte impatto sociale.

CELEBRAZIONI CON LE ‘VARE’ PORTATE A SPALLA

Processione con carri portati a spalla in onore del Santo Patrono (Paolo Peluso)

Quattro storiche città italiane, nella cattolicissima penisola, sono caratterizzate da eventi in cui carri o strutture di vario tipo vengono portate a spalla nel contesto di una processione per commemorare la festa di qualche santo. Le città note per queste caratteristiche processioni sono Nola, vicino Napoli, Palmi, vicino Reggio Calabria, Sassari in Sardegna e Viterbo, l’antica capitale degli etruschi, nel Lazio.
A Nola, quattro obelischi di carta pesta portati in processione commemorano il ritorno di San Paolino. A Palmi, i portatori tengono sulle spalle una complessa struttura da processione in onore della ‘Signora delle Sacre Scritture’. A Sassari, la Diocesi dei Candelieri ripropone annualmente il trasporto degli obelischi di legno votivi e, a Viterbo, viene portata in giro per la città la ‘Macchina di Santa Rosa’ (torre di Santa Rosa) in ricordo della torre dedicata all’antica santa patrona della città.
Secondo l’Unesco è «la condivisione equa e ben coordinata del lavoro in un progetto comune», che è «parte fondamentale delle celebrazioni, che unisce la comunità e rafforza i legami»; inoltre il rispetto reciproco, la cooperazione e l’unione degli sforzi insieme al «dialogo tra i portatori, che condividono l’eredità culturale», crea «una forte rete di scambio». I musicisti e i cantanti sono coinvolti insieme con gli esperti artigiani locali che costruiscono strutture, abiti e oggetti cerimoniali, tutti fatti a mano. Questo processo che si ripete ciclicamente ogni anno sostiene e rinforza un forte senso d’identità.

IL TRADIZIONALE VIOLINO DEI LIUTAI DI CREMONA

Violini di Cremona (Terra d’Ombria Productions)

La creazione di violini a Cremona è una delle più rinomate tradizioni del posto e, i violini, le viole e i contrabbassi artigianali di Cremona, hanno un’alta reputazione nel mondo. Proprio a Cremona è stata fondata una scuola specializzata per artigiani costruttori di violini (liutai), basata su una stretta relazione tra maestro e discepolo; lo studente diventa successivamente apprendista in una officina locale dove studenti e insegnanti perfezionano la loro tecniche. Secondo l’Unesco questo è un processo che non si interrompe mai e crea continuità.
Ogni liutaio costruisce dai tre ai sette strumenti l’anno, modellando e assemblando ben oltre 70 pezzi di legno, sagomati a mano in base alla differente risonanza acustica di ogni pezzo. Non ci sono due violini uguali, cosi come ogni singola parte di uno strumento è composta da differenti tipi di legno «stagionato con molta cura e naturalmente, ‘ben stagionato’». Non si usa nessun materiale industriale o semi-industriale, per tale ragione la capacità artigianale di costruire a mano il tutto, richiede una grande creatività e capacità di alto livello.
I liutai sono convinti che la condivisione delle conoscenze è fondamentale sia per far migliorare la produzione dei manufatti, sia nel dialogo con i musicisti. Esistono due famosi consorzi: il ‘Consorzio Liutai Antonio Stradivari’ e l’’Associazione Liutaria Italiana’, che sono entrambe fondamentali per l’identità di Cremona e giocano un ruolo rilevante per la sua vita sociale e culturale.

L’OPERA DEI PUPI SICILIANI

‘Pupi siciliani’ (Giacomo Cuticchio/UNESCO)

‘L’Opera dei Pupi’, nata all’inizio del 19simo secolo in Sicilia, è divenuta popolare in tutta l’isola attraverso le rappresentazioni itineranti. I burattinai raccontavano storie basate sulle fonti della «letteratura cavalleresca medievale» o dei poemi italiani rinascimentali; anche le vite dei santi e i racconti di «famosi banditi» facevano parte del repertorio, sebbene i dialoghi fossero generalmente improvvisati.
Le due principali scuole, una a Palermo e l’altra a Catania, si distinguevano per le dimensioni dei burattini, le tecniche e i fondali scenografici diversi. I teatri erano a conduzione familiare e l’intaglio e la decorazione dei burattini venivano eseguiti seguendo i metodi tradizionali. Gli spettacoli avevano una grande influenza sulla società, infatti in passato, avevano luogo in più località e in diverse serate, e fornivano l’opportunità di incontri sociali della comunità locale. Tuttavia il boom del 1950 ha alterato la tradizione; attualmente ‘l’Opera dei Pupi’ è solo un esempio «di un’ininterrotta tradizione di questo tipo di teatro», ma i burattinai non possono vivere del loro mestiere e devono cercare altri impieghi per sostenersi; questo problema, insieme con il fenomeno del turismo, ha ridotto la qualità degli spettacoli ai quali in orgine assisteva solo la popolazione locale.

LE CANZONI PASTORALI SARDE

Canto pastrole sardo (Franco Stefano Ruiu)

Il canto a tenore delle canzoni pastorali sarde si è sviluppato come una forma di canto polifonico cantato in Sardegna in gruppi composti da quattro uomini che usano quattro voci diverse chiamate «bassu, contra, boche e mesu boche»; il profondo e quasi gutturale timbro del basso e del contra (il baritono) sono un tratto caratteristico che spesso si nota.
Gli uomini cantano stando in piedi in uno stretto cerchio, il solista canta un pezzo di prosa o in versi mentre gli altri fanno da accompagnamento. La maggior parte dei cantanti vivono in Barbagia o in altre parti della Sardegna centrale e i loro canti si inseriscono nella vita quotidiana della comunità; infatti spesso si intavolano spontaneamente nei bar locali, così come ai matrimoni, al taglio della lana delle pecore, alle festività religiose o al carnevale.
Le melodie più usate sono le «serenate boche ‘e notte» (voci nella notte e canzoni per la danza), e i testi sono poesie antiche o contemporanee che spesso parlano di emigrazione, disoccupazione e politica. Secondo l’Unesco questa forma di canto è vulnerabile ai cambiamenti socio-economici e con la graduale sparizione della cultura pastorale e la crescita del turismo i cantanti sono in declino e, inoltre, le esibizioni in pubblico per turisti hanno fatto perdere la caratteristica intima di questa musica popolare.

Articolo in inglese  Italy’s Intangible Cultural Heritage

Traduzione Fabio Cotroneo

 

 
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