Un film che rende più ‘umani’

NEW YORK – Le domande più semplici potrebbero talvolta rivelarsi le più difficili alle quali rispondere. Qual è il significato della vita? Che cos’è la felicità? Che cosa s’intende per amore? Queste domande vanno dritte all’anima, ma durante la nostra esistenza quotidiana ci pensiamo raramente.

Il fotoreporter e ambientalista francese Yann Arthus-Bertrand è sempre alla ricerca del ‘quadro di insieme’: vuole comprendere perché c’è così tanta sofferenza nel mondo, perché stiamo ancora combattendo guerre, perché c’è tanta povertà, perché stiamo distruggendo l’ambiente a un ritmo così rapido, perché non possiamo andare d’accordo con gli altri in modo migliore, ed avere la risposta a numerosi altri perché.

Nel corso dei tre anni di realizzazione del documentario Human, lui e il suo team hanno intervistato 2.020 persone provenienti da sessanta Paesi diversi e hanno posto a ogni intervistato le stesse semplici, tuttavia essenziali, domande; una delle quali era: ‘qual è stata la prova più difficile che hai dovuto affrontare e che cosa hai imparato da quell’esperienza?’.

Con il cuore di un bambino innocente, Arthus-Bertrand ha cercato di aiutarci a comprendere meglio cosa ci renda umani. La maggior parte dei suoi precedenti progetti – libri e mostre di fotografia, serie di documentari televisivi e film – sono concentrati sull’ambiente. Considerato praticamente un’icona in Francia (è stato nominato cavaliere dell’Ordine nazionale della Legion d’Onore, la più alta decorazione in Francia, ed è diventato un membro della prestigiosa l’Académie des Beaux-Arts), è conosciuto in tutto il mondo prevalentemente per il suo libro di fotografie aeree, La Terra vista dal cielo.

Il suo libro ha venduto quattro milioni di copie e le sue fotografie sono state esibite in ben 175 mostre, e ha inoltre fornito le basi per la produzione dei suoi film quali, 7 miliardi di AltriHome e attualmente Human – variando il punto di vista dai paesaggi alle persone. Con il generoso sostegno della Fondation Bettencourt Schueller, ha potuto realizzare quello che è un film non commerciale per tutti.

«Volevo ascoltare il cuore della gente, parlare al cuore della gente», ha detto la mattina del 12 settembre in un hotel di Midtown a New York, dopo il debutto di Human nella sala dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. È stata la prima volta che un film veniva proiettato in quella sala – un luogo che, anno dopo anno, ha visto numerosi leader mondiali affrontare i problemi del mondo seguendo dei protocolli standard, ripetendosi come un disco incantato.

Soprattutto in qualità di ambasciatore di buona volontà per il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep), Arthus-Bertrand ha deciso che la sala dell’Assemblea generale fosse simbolicamente la migliore cornice per prima assoluta di Human, alla quale hanno partecipato circa mille persone, tra cui il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon.

Il rappresentante permanente della Francia presso le Nazioni Unite, François Delattre ha espresso un commento sul documentario: «Questo film è un potente messaggio di speranza, mostra l’importanza della voce di ogni individuo e il tesoro che rappresenta la diversità per il destino comune dell’umanità».

Nel difficile compito di creare un ritratto dell’umanità, Arthus-Bertrand ha deciso di avere come protagoniste quelle persone che raramente si vedono o si sentono. «Sebbene sconosciute o meglio perché sono tali, trasmettono messaggi di una potenza esplosiva», ha scritto Arthus-Bertrand nel suo libro, Human: A portrait of our world (Human: Un ritratto del nostro pianeta) che, suddiviso per temi come la felicità, la guerra, la povertà e la tolleranza, accompagna il film per fornire un maggior contesto.

COSA CI SEPARA E COSA CI UNISCE

Human inizia con un foto aerea mozzafiato di una carovana di yak che camminano su dune della Valle dell’Indo, nel Gilgit-Baltistan in Pakistan. La splendida musica che regola alla perfezione il ritmo del film per tutta la sua durata, e che è stata composta dall’amico intimo di Arthus-Bertrand, il noto compositore Armand Amar, è altrettanto mozzafiato – e migliora intensamente l’impatto emotivo delle immagini.

Ogni persona sembra in primo piano, tuttavia fuori dal contesto. Tutti i personaggi sono filmati davanti allo stesso sfondo grigio scuro. Ciascuno di loro a suo modo parla eloquentemente, condividendo in pochi secondi un frammento della propria vita. La loro presenza nel film è intensa. Tra le brevi interviste, sono inserite meravigliose e talvolta inquietanti foto aeree del nostro pianeta: le cascate di Agua Azul in Messico, delle donne che asciugano i panni in Pakistan, un uomo in una discarica all’aperto nella Repubblica Dominicana, una piscina incredibilmente affollata in Cina e molte altre. E danno il tempo di recepirle e di riflettere.

Il primo intervistato è Leonard, un uomo condannato all’ergastolo per aver ucciso una donna e il suo bambino. Dopo che la madre della donna (e la nonna del bambino) che ha ucciso lo ha perdonato, ha imparato il significato dell’amore e ad aiutare gli altri. «Nell’umanità abbiamo tutto – il peggio e il meglio – e lui era un esempio di questo. Si avverte la redenzione e ritengo che sia la chiave dell’umanità», ha detto Arthus-Bertrand per spiegare il perché ha scelto di cominciare il film con l’intervista a Leonard, in lacrime alla fine della clip.

Sharon, una donna degli Stati Uniti intervistata nel film, ha detto: «Oggi, mi hai portato moltissime cose […] mi hai fatto comprendere che ho qualcosa da offrire […] Penso che le persone abbiano bisogno di percepire di aver fatto qualcosa mentre hanno vissuto: hanno bisogno di sentire di aver contribuito. Oggi tu mi hai fatto pensare di aver contribuito e di questo ti sono molto grata».

Possiamo raramente riflettere sulle questioni puramente essenziali della vita, ed è per questa ragione forse che siamo molto grati quando ci vengono concessi tempo e libertà per esprimere le nostre risposte. Arthus-Bertrand ha detto di aver ritenuto «molto intelligente» quanto detto da Samuel, un ragazzo di Repubblica Democratica del Congo. Nel film, Samuel dice: «Mi sono già chiesto il perché fossi sulla Terra […] perché sulla Terra ognuno di noi ha una missione. Anch’io ne ho una, ma non so ancora quale sia».

Arthus-Bertrand avverte che la sua missione è quella di fare un film significativo. Si sente molto fortunato per aver potuto creare un film di una tale energia: «un’occasione incredibile», ha commentato. Infatti, Human è così travolgente nel suo proposito e così convincente, che va persino al di là dell’incredulità stessa di Arthus-Bertrand: «la spiritualità all’interno del film è decisamente insolita e credo che Dio sia presente in questo film, in mezzo a questa gente, e nonostante io non creda affatto in Dio, penso che Lui sia nel film, decisamente».

UNA GIGANTESCA CONVERSAZIONE

Le persone nel film sembrano innumerevoli. Ognuno è unico e meraviglioso nella sua vulnerabilità e onestà, e rivela cose che forse non aveva mai rivelato in precedenza, persino ai propri amici più intimi. Nel film, la loro prospettiva si estende fino a divenire parte di una gigantesca conversazione, tra persone che non si conoscono.

La conversazione è asimmetrica. Alcuni di loro sono poveri, privi del diritto del voto, intoccabili [gli appartenenti allo strato più basso della rigorosissima piramide castale indiana, ndt] e analfabeti. Altri sono rifugiati in fuga e altri ancora definiscono la felicità semplicemente come l’avere qualcosa da mangiare.

Che sia tristezza, rabbia, malinconia o felicità, si arriva a percepire tutta una serie di emozioni umane. Al termine di ogni singola intervista, ciascuna persona guarda dritto nell’obiettivo della videocamera e il pubblico vede loro mostrare le proprie anime, tuttavia nel film, le persone intervistate non possano mai avere l’opportunità di vedersi tra loro.

«Ogni persona ha una storia. Ogni persona ha una storia», ha insistito Mia Sfeir, giornalista e primo assistente alla regia diHuman, il giorno dopo la proiezione alle Nazioni Unite e alcune ore prima del suo volo di ritorno a Parigi. Per la Sfeir il film è attinente alla resilienza umana.

Tra i migliaia di intervistati, la Sfeir ha parlato con l’inglese Bruno. L’uomo parla della forza e della profonda comprensione della vita che ha ottenuto dopo aver perso entrambe le gambe, e racconta che non le vorrebbe indietro neanche nell’ipotesi che Dio si offrisse di restituirgliele, perché questo annullerebbe la saggezza che ne ha conseguito.

Una donna di nome Ekami – un’intoccabile, che vive in India in condizioni abiette – ha lasciato sulla Sfeir un’impronta indelebile. Nel film lei urla, scatenando la frustrazione e il dolore che si è tenuta dentro per anni, e si rivolge leader mondiali:«Aiutateci ad avere una vita decente, altrimenti moriremo di fame!» Tuttavia ci sono voluti un po’ di tempo e di incoraggiamento affinché avesse quello sfogo, che arrivato solo quando la Sfeir, tramite il traduttore, è riuscita a persuaderla a esternare quello che desiderava dire.

La Sfeir ha detto: «Ho realizzato che avevo compreso la sua emozione e il suo dolore, e questo va al di là delle parole. È come una canzone che riecheggia». Sebbene il film mostri solamente il crescendo della sua invettiva, la Sfeir ha assicurato che la donna «ha un sorriso stupefacente […] è stato un momento così generoso da parte sua». Di solito, dal momento che sono intoccabili, «nel villaggio non parlano e non si lamentano più di tanto», ha detto.

«Questo film si basa sul fare emergere queste voci, è attinente a queste voci, tuttavia è anche su ciò che sta dietro loro», ha detto. Inoltre, parlando della forza della musica di Amar, ha aggiunto: «Per me ciò che queste persone dicono è in un certo senso un altro tipo di musica».

UN FILM PER CIASCUNA DEI 7 MILIARDI DI PERSONE

Olivier Brault, direttore generale della Fondation Bettencourt Schueller, ha affermato che la fondazione è orgogliosa di aver finanziato un «film filantropico», e di aver dato così ad Arthus-Bertrand «la possibilità di realizzare il film dei suoi sogni e di consentire al maggior numero di persone possibile di vederlo».

La versione cinematografica di Human dura tre ore e ha più di dieci varianti: Human, il film per la televisione (131 minuti), On the trail of Human (Sul sentiero di Human), (tre film di 52 minuti), The stories of Human (Le storie di Human), (80 minuti),The Human adventure (L’avventura di Human) (52 minuti), Human, The music (La musica di Human), (52 minuti), Human for the web (Human per il web) e Human behind the scenes(Human dietro le quinte). Più che un film, Human è un progetto globale non commerciale: il giorno della prima cinematografica, Google ha lanciato sei canali di YouTube dedicati al progetto, mentre la GoodPlanet Foundation di Arthus-Bertrand offre, alle scuole e alle ong, copie gratuite del film e di altre documentazioni.

Arthus-Bertrand ha ammesso che capire il significato è impegnativo, ma che tuttavia è necessario farlo. È un film che sfida una persona «ad aprire il proprio cuore e ad ascoltare». Affaticato dopo l’intensa notte della proiezione alle Nazioni Unite, ha osservato: «Non è un film scorrevole, so bene che è molto lungo, ma lo adoro».

In un primo momento Arthus-Bertrand, un semplice essere umano tra i sette miliardi di persone del nostro pianeta, si è rifiutato di rispondere a una delle sue domande perché non era il momento giusto, ma almeno a una ha risposto. «Ieri sera, ero felice. L’umanità che abbiamo cercato di mostrare nel film è stata compresa ed ero felice», ha detto, ma poi, come se sentisse l’intero peso del mondo sulle sue spalle, aggiungendo: «Non è abbastanza, non è abbastanza…».

In qualità di distillazione e di intensificazione della vita delle persone, Human ci permette di vedere ciò che ci rende umani in un modo che senza questo film non sarebbe stato possibile. Human è un progetto incredibilmente umanizzante che appartiene ai sette miliardi di persone sulla Terra e le invita a rifletterci sopra. «Spero che nel corso delle sue tre ore e 11 minuti possa sfondare alcune barriere nelle mente delle persone che lo guardano», ha detto la Sfeir.

«Questo film va oltre me stesso ed oltre tutti noi. Dobbiamo mettere la nostra umanità al di sopra di tutte le nostre paure, sopra di tutto», ha detto Arthus-Bertrand. I suoi vivaci occhi azzurri erano raggianti mentre, dopo aver sospirato delicatamente, ha affermato: «Human non è più il mio film: è il nostro film».

 

Articolo in inglese: http://www.theepochtimes.com/n3/1878384-a-film-that-makes-us-more-human/ 

 
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