Ue riapre le frontiere, preoccupa il sì alla Cina

Dal 1° luglio riaprono temporaneamente le frontiere dell’Unione Europea da e verso 15 Paesi extra-europei. Tra i Paesi accolti c’è a sorpresa anche la Cina; l’Ue ha infatti conferito al regime comunista cinese uno status speciale, basato su una condizione di ‘reciprocità’ che di fatto include la Cina nella lista dei Paesi ‘sicuri’. Non figurano invece gli Stati Uniti, che a differenza della Cina, hanno probabilmente pagato la loro scelta di trasparenza sui dati dei contagi e delle morti da Covid-19.

La Cina è infatti il Paese dal quale origina il nuovo coronavirus (non a caso Epoch Times lo ha fin da subito ribattezzato come il ‘virus del Pcc’). I dati ufficiali parlano di appena 4 mila morti circa in tutto il territorio cinese, su una popolazione di un miliardo e mezzo di persone. Secondo i dati ufficiali del regime cinese i casi di contagio in Cina si sarebbero completamente fermati da aprile (quando Wuhan è uscita dal lockdown) fino a metà giugno, quando sono stati comunicati diversi nuovi casi a Pechino, che si trova attualmente in stato di lockdown parziale. Ma tali dati si scontrano con la realtà: per tutti i mesi di marzo, aprile e maggio, la pandemia si è violentemente scagliata in tutto il mondo, causando mezzo milione di morti; il regime cinese però, fuori dal coro, nel frattempo dichiarava di aver superato l’epidemia.

La lista Ue dei Paesi extra-Schengen aperti alle frontiere, che sono Algeria, Australia, Canada, Georgia, Giappone, Montenegro, Marocco, Nuova Zelanda, Ruanda, Serbia, Corea del Sud, Thailandia, Tunisia e Uruguay, si basa su un criterio epidemiologico (scientifico); la Cina, come detto, teoricamente non figura ancora nella lista ma in pratica è già inclusa.
Infatti, la ‘condizione di reciprocità’ consiste semplicemente nel fatto che i viaggi dalla Cina verso l’Europa riprenderanno solamente se Pechino a sua volta darà il via libera ai voli provenienti dall’Unione Europea. Difficile che Pechino non accetti una condizione dalla quale ha in realtà solamente da guadagnare.

A differenza degli Usa e degli altri Paesi liberi del mondo infatti (e con l’eccezione di aluni Paesi ‘chiusi’ come l’Iran), i dati provenienti da Pechino sono sicuramente meno trasparenti, come ampiamente documentato finora da Epoch Times. Le autorità cinesi hanno infatti costantemente nascosto i veri dati sui contagi e i decessi da coronavirus. Di conseguenza, il criterio ‘epidemiologico’ sul quale si basa l’Unione Europea per riaprire le frontiere con la Cina è verosimilmente falsato dalla mancanza di trasparenza da parte del regime comunista cinese.

Secondo un recente studio dell’Università di Hong Kong, come fatto notare dal programma China Uncensored, nella sola provincia dell’Hubei potrebbero esserci 2,2 milioni di persone contagiate, e non decine di migliaia come ufficialmente dichiarato. Non va dimenticato inoltre che il regime cinese ha da poco ufficialmente dichiarato di aver messo in lockdown quasi mezzo milione di persone che vivono nei dintorni di Pechino per un’altra ondata di Covid-19. Quindi l’allarme epidemia sembra tutt’altro che rientrato al contrario di quanto affermato dal regime qualche mese fa.

La maggioranza dei 27 Paesi dell’Unione a Bruxelles ha votato la lista dei Paesi ‘sicuri’ solo dopo molte ore di tentennamenti, stando a quanto riporta il Sole24Ore: «Vi sono state nel fine-settimana discussioni con i Paesi tentennanti, perché l’astensione vale voto contrario», ha spiegato un diplomatico secondo il quotidiano economico-finanziario. Si legge inoltre che molti Paesi erano preoccupati sia per le conseguenze sulla salute e soprattutto anche politiche, dato che nei fatti sono stati aperti i confini ai cinesi e non agli americani.

Secondo Repubblica, il vero problema che ha rallentato la decisione finale a Bruxelles è stata la Cina, infatti Belgio e Slovenia hanno fatto intendere che non riapriranno a Pechino (e altri Paesi potrebbero fare altrettanto).

Sebbene infatti l’Ue abbia rilasciato una decisione coordinata con tutti gli Stati membri, la lista non è vincolante e i singoli Paesi hanno ancora la possibilità di decidere autonomamente. Ad esempio, un Paese potrà decidere di aprire le frontiere a un altro (come potrà decidere di non farlo), ma di applicare comunque un periodo di quarantena ai passeggeri in entrata. E perlomeno la strada della quarantena (di 14 giorni) per chi arriva, appare essere proprio la decisione dell’Italia, come confermato dal ministro della Salute Roberto Speranza a Radio2, secondo Rainews, il 29 giugno: «Chi viene dai Paesi a rischio, extra Schengen, deve fare 14 giorni di quarantena. Non possiamo permetterci un’altra ondata di contaminazione».

Sempre secondo Repubblica, i Paesi membri hanno provato a stabilire un criterio scientifico che escludesse la Cina senza essere accusati da Pechino, ma non avrebbero trovato alcuna soluzione.

L’Italia ha votato sì alla lista dei 14 (15 Paesi) accettati come ‘sicuri’, che non include come già accennato gli Stati Uniti, e anche la Russia, l’India e il Brasile, dove la situazione della pandemia è ancora grave. La reazione di Washington, che potrebbe interpretare la decisione dell’Ue come un’esclusione dal punto di vista politico (dato che anche in Cina la situazione appare essere ancora grave), potrebbe non tardare ad arrivare e potrebbe non essere piacevole per l’Europa.

L’elenco dei Paesi ‘sicuri’ non è definitivo, ma verrà aggiornato ogni 14 giorni in base ai dati sulla diffusione del virus. Dati che tuttavia continuano a non arrivare dalla Cina.

 
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