Traffico di organi, il Pcc si ‘ripulisce’ in Vaticano

Di Alessandro Starnoni

Nel mese di marzo 2018, la Santa Sede ha invitato a una conferenza sui trapianti di organi umani tale Wang Haibo, responsabile del registro dei trapianti di organi della Repubblica Popolare Cinese.
Questa apertura (di fatto un ‘riconoscimento’) ha ottenuto la condanna dell’organizzazione internazionale a difesa dell’etica nei trapianti.
Il regime comunista cinese è infatti da vent’anni sul banco degli imputati, per sua la dimostrata responsabilità nel prelievo forzato di organi da persone in vita.
Si tratta di racket di portata internazionale, in cui centinaia/migliaia di pazienti – bisognosi di trapianto e disposti a pagare profumatamente per non rispettare le liste d’attesa – da quasi 20 anni arrivano negli ospedali militari cinesi da ogni parte della Cina e del mondo. E, su appuntamento, ricevono un organo che nella maggior parte dei casi è stato prelevato con la forza da un prigioniero di coscienza (il quale, a seconda, viene ucciso un attimo prima del prelievo dell’organo oppure subisce l’intervento mentre è ancora in vita).

Negli ultimi due decenni, quindi, numerosi pazienti in attesa di trapianto sono arrivati da ogni parte del mondo in Cina, dove hanno ricevuto un organo nel giro di poche settimane o addirittura giorni.

Le indagini condotte in questo senso da David Matas, avvocato dei diritti umani canadese, e David Kilgour, ex segretario di Stato canadese, hanno portato una mole di prove che dimostrano questi fatti rendendoli incontestabili (nonostante gli ovvi e vaghi ‘non è vero’ dal parte del regime comunista cinese).
Le inchieste hanno documentato che la maggior parte di questi prigionieri sono praticanti della Falun Dafa (una disciplina spirituale pacifica di tipo qigong) che la dittatura cinese ha iniziato a perseguitare dal 1999, per volontà e ordine espliciti dell’allora capo del Pcc Jiang Zemin.
Le rivelazioni di Matas e Kilgour e di altri inquirenti, hanno contribuito all’adozione di risoluzioni del Parlamento europeo e del Congresso degli Stati Uniti che condannano il regime cinese per queste atrocità.

E anche l’Italia, grazie al lavoro fatto dal medico e senatore Maurizio Romani nel corso della 17 esima legislatura, ha attualmente una normativa penale all’avanguardia in Occidente.

Nel 2013, l’unanime condanna a livello internazionale, ha spinto la Cina a istituire un sistema di donazione volontaria (un fatto che parla da sé: fino ad allora, nonostante le centinaia di trapianti eseguiti in Cina ogni anno, il regime cinese non aveva alcun sistema di donazione). Andando contro ogni elementare evidenza, il regime cinese affermava che quello fosse l’unico modo usato per reperire gli organi per i trapianti. Nel 2015 – mosso a ulteriore ‘compassione’ – il Pcc aggiungeva di aver cessato il prelievo degli organi dai criminali condannati a morte per reati comuni. Scelta da un certo punto di vista nobile, se non fosse che, in questo modo, il numero degli organi disponibili (ufficialmente) è crollato del tutto.

Pechino, inoltre, non ha ancora emanato alcuna normativa che proibisca esplicitamente l’acquisizione di organi da persone in stato detentivo. E altri rapporti documentano che i trapianti di organi di provenienza sconosciuta, reperiti in poche settimane o addirittura giorni, continuano senza interruzioni.
Secondo una lettera aperta dell’Organizzazione internazionale per l’abolizione del prelievo e traffico di organi in Cina (una no-profit composta da medici accademici, giuristi e avvocati dei diritti umani) i dati ufficiali cinesi sulle donazioni sono tutt’altro che trasparenti e mettono fortemente in dubbio le affermazioni del regime sulle «riforme» da questo dichiarate.

Da dove, quindi, gli ospedali cinesi prendano la massa di organi che trapiantano ogni anno, rimane ufficialmente un ‘mistero’, visto che la pratica della donazione è – per motivi culturali/religiosi – praticamente inesistente presso il popolo cinese.

IL ‘BENVENUTO’ DEL VATICANO

In tutto questo, i proclami di grandi «riforme» del Partito Comunista Cinese sono stati sufficienti per convincere la Santa sede a invitare Wang Haibo alla conferenza della Pontificia accademia delle Scienze sul tema ‘Schiavismo moderno, traffico di esseri umani e accesso alla giustizia per i poveri e gli indifesi’.

L’Organizzazione internazionale, nella sua lettera aperta al Vaticano, sottolinea contraddizioni e lacune nelle cifre presentate dal regime, e chiede alla Pontificia accademia – che nel 2017 ha organizzato perfino una conferenza sul traffico di organi – «di riservarsi di valutare le affermazioni sulla riforma totale del sistema di trapianti in Cina».

L’Organizzazione osserva che il regime cinese, per le attività relative ai trapianti, dispone di 12 banche dati ufficiali di cui nessuna accessibile al pubblico. Inoltre, il regime dà un numero totale di donazioni, senza specificare ospedali, luoghi o tempi, rendendo impossibile ogni verifica dei dati.

Louisa Greve, esperta di diritti umani e membro dell’Organizzazione, chiarisce che la deontologia medica prevede l’accesso ai dati sulle donazioni, come nel caso dell’United Network for Organ Sharing (Unos) americano, che dal 1987 fornisce i dati completi su donatori, riceventi e sulla lista d’attesa nazionale. E ha dichiarato che, in questa assenza totale di trasparenza, «è irresponsabile da parte delle organizzazioni internazionali accettare le indicazioni di riforme provenienti da un governo dittatoriale, che applica un sistema di trapianti completamente oscuro». La Greve ha chiesto inoltre alla Pontificia accademia, all’Organizzazione mondiale della Sanità e alla Società dei Trapianti di interrompere la collaborazione con Pechino, finché il regime cinese non presenterà dati verificabili.

Il Pcc, naturalmente, ha sempre rifiutato di ammettere i prelievi di organi da prigionieri di coscienza, che vengono spesso incarcerati senza alcun processo.
In un’intervista a La Stampa, Wang Haibo ‘risponde’ a simili accuse affermando che il governo cinese (nonostante l’ateismo reale del regime comunista cinese) lascerebbe libertà di fede ai propri cittadini, che non si procurerebbe affatto organi da «prigionieri politici» e che nella Repubblica Popolare Cinese non sussisterebbe alcuna «pena di morte per i prigionieri politici».

Ma su numerose riviste mediche, tra cui l’American Journal of Transplantation e il Journal of Medical Ethics, i medici hanno chiesto il divieto di lavorare con colleghi dei trapianti cinesi fino a quando queste ‘riforme’ non siano verificate in maniera indipendente.
In particolare, un articolo dell’agosto 2016 pubblicato sull’American Journal of Transplantation, precisa: «Rapporti recenti hanno evidenziato che in Cina esiste un’enorme differenza tra il numero ufficiale annuale di prelievi e la forte espansione di strutture per i trapianti. Fino a quando non avremo prove indipendenti e obiettive che l’attività illecita di acquisizione di organi da prigionieri sia completamente cessata, la comunità medica ha la responsabilità deontologica di proseguire nel blocco accademico verso i professionisti dei trapianti cinesi».

Anche la Commissione esecutiva sulla Cina del Congresso degli Stati Uniti, nel rapporto annuale dell’ottobre 2017, ha segnalato la forte preoccupazione della comunità medica, causata dalle informazioni secondo cui «numerosi trapianti di organi in Cina sono effettuati utilizzando organi di detenuti, tra cui  i praticanti del Falun Gong» Inoltre i medici statunitensi rimangono «scettici riguardo alle dichiarazioni del responsabile della Sanità cinese sulle riforme di adeguamento alle normative internazionali del sistema di approvvigionamento di organi in Cina».                     

 
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