Tecnofobia e tecnofilia, dov’è il giusto mezzo?

Nel 2003, gli scienziati cinesi della Shanghai Second Medical University «hanno unito con successo le cellule umane con gli ovuli del coniglio».

Più o meno nello stesso periodo, i ricercatori della Mayo Clinic statunitense «hanno creato dei maiali aventi sangue umano», mentre alla Stanford University si stava contemplando un esperimento mirato a «creare topi con cervello umano».

Non c’è da stupirsi, quindi, che molte persone si dicano preoccupate per le implicazioni etiche dell’ingegneria genetica. Nel leggere di clonazione o «raccolta» di embrioni per il materiale genetico, o di fusione di cellule umane con quelle di coniglio, si domandano se non abbiamo iniziato davvero il percorso descritto da Aldous Huxley nel romanzo di fantascienza Il mondo nuovo.

La loro preoccupazione è: se oggi preleviamo certi materiali biologici dai cosiddetti embrioni ‘superflui’, non è forse possibile che domani avremo fabbriche per la produzione di bambini, accuratamente selezionati secondo la dotazione genetica?

Se preoccupano ‘quelli che si preoccupano’

Ma se in molti sono preoccupati delle future implicazioni dell’ingegneria genetica, altri lo sono soprattutto per come tale ‘ansia’ verso la ricerca scientifica possa influenzare il progresso della scienza. Queste persone non sono necessariamente insensibili alle questioni etiche, ma per loro, la ricerca della verità scientifica è imprescindibile.

L’opinione pubblica potrebbe ritardare l’avanzata del progresso. Ma non la farà mai deragliare del tutto. Quindi (sostengono loro) è nostro dovere appoggiare la scienza, ovunque essa ci conduca. Se non lo facciamo noi occidentali, lo farà qualcun altro; e noi in Occidente siamo equipaggiati meglio di chiunque altro, in confronto ad altre culture, per poter utilizzare le nuove tecnologie in modo saggio e umano.

Opporsi all’applicazione dell’ingegneria genetica (continuano sempre loro) è essere un luddista dei tempi odierni, ed è inveire impotenti contro una tecnologia i cui effetti potrebbero sembrare dolorosi all’inizio ma alla fine liberatori.

Ma sarebbe un errore non considerare entrambe le prese di posizione: quelli che si preoccupano dell’ingegneria genetica, e quelli che sono preoccupati per quelli che si preoccupano.

Si dovrebbe considerare infatti il lato positivo. Le prospettive terapeutiche dell’ingegneria genetica non sono solo enormi, ma impressionanti. Nessuno che abbia visto qualcuno soffrire di cancro o del morbo di Parkinson (o di uno dei tanti altri orribili mali che affliggono l’uomo) può dirsi non allettato da tale promessa.

Naturalmente, tuttavia, ogni potente tecnologia può essere usata per scopi sia malvagi che benefici. In questo senso, si potrebbe dire che la tecnologia è come il fuoco. Non è né buona né cattiva di per sé. Va bene se usata in modo appropriato, per scopi buoni, e non va bene se usata in modo inappropriato o per scopi malvagi.

Sarebbe bello poter applicare un calcolo di questo tipo per poter determinare il grado morale o etico di una particolare applicazione dell’ingegneria genetica. Non è per nulla chiaro, tuttavia, che i dilemmi etici con i quali l’ingegneria genetica è chiamata a confrontarsi, possano essere risolti da tali ragionamenti.

Problemi senza soluzione

Parte del problema risiede nel fatto che il credo derivato dal marxismo, secondo il quale «il fine giustifica i mezzi» si rivela particolarmente barbaro quando applicato direttamente alla realtà umana; lo stesso è per l’ingegneria genetica. Quali sarebbero infatti gli embrioni ‘superflui’ candidati agli espianti: solo alcuni o tutti? E che dire dei neonati, un’altra buona fonte di materiale genetico? Alcuni neonati si possono forse considerare fonti di ‘materia prima’ per la sperimentazione genetica? E quali neonati?

Diventa quindi facile, così, immaginare un mondo infernale nel quale alcuni esseri umani vengono ‘allevati’ solo per avere dei pezzi di ricambio. E già in alcune parti del mondo, i corpi dei criminali giustiziati, in mezzo ad altri, vengono razziati per ottenere reni, cornee e altre parti del corpo. Perché non estendere allora la pratica?

Ma l’impressione è che l’umanità sia sull’orlo di un impressionante precipizio morale. I recenti progressi nelle tecnologie di ingegneria genetica, come clonazione, cellule staminali e simili, ci mettono di fronte a problemi etici per i quali non abbiamo soluzione. Forse il problema più grande riguarda la natura delle tecnologie impiegate.

Se si guarda indietro nel corso dello sviluppo tecnologico, soprattutto negli ultimi duecento anni, è facile diventare dei sostenitori ottimisti della tecnologia. La scienza e la tecnologia ci hanno portato così tanti straordinari progressi, che si sarebbe quasi tentati di chiudere gli occhi e di compiere un atto di fiducia nei confronti della tecnologia.

È altrettanto vero che scienza e tecnologia ci hanno portato anche molte cose distruttive; ma chi, se non gli eremiti, farebbe volentieri a meno delle comodità, comprese quelle per salvare vite, che queste tecnologie ci hanno lasciato in eredità? Appare impossibile che una persona razionale possa dire ‘no’ alla scienza e alla tecnologia. I vantaggi sono semplicemente troppo convenienti.

Auto-deificazione

Ma possiamo permetterci di dire sempre o semplicemente di sì? Oppure esistono linee da tracciare, limiti da rispettare? Se sì, dove possiamo trovare i criteri per tracciare tali linee o limiti? Non c’è una risposta semplice o una risposta definitiva a queste domande. Forse l’unica cosa certa è che qui si sta operando in un ambito che va oltre la certezza. Nessuno ad ogni modo troverà una formula che possa essere applicata con successo a tutti i casi.

Ci sono due pericoli quindi: uno è il pericolo della tecnofobia. Ovvero il rifiutare scienza e tecnologia a causa delle enormi implicazioni morali che esse portano con sé.

L’altro pericolo più tangibile è la tecnofilia, meglio riassumibile nella convinzione che ‘se si può fare, dovrebbe essere fatto’. Ci sono molte cose che possiamo fare ma che non dovremmo fare. E con lo sviluppo della scienza e della tecnologia, abbiamo un potere sempre maggiore.

Il lato oscuro del potere è la tentazione di dimenticarne i limiti. Aveva ragione Lord Acton ad avvertire che «il potere corrompe, e il potere assoluto corrompe assolutamente». Nessuno di noi, naturalmente, detiene realmente un potere assoluto. La nostra natura mortale assicura che per tutti noi, ricchi o poveri, famosi o non famosi, la vita finirà nella debolezza assoluta della morte.

Ma l’esercizio del potere può diventare una sorta di droga, che ci rende insensibili alla realtà della nostra impotenza ultima. Ed è quando dimentichiamo la nostra impotenza che facciamo più danni con il potere che esercitiamo. Alla fine del magistrale libro Main Currents of Marxism, il filosofo polacco Lezsek Kolakowski osserva: «L’autodeificazione dell’umanità, a cui il marxismo ha dato espressione filosofica, ha avuto lo stesso epilogo in tutti i suoi tentativi, individuali o collettivi: ha finito paradossalmente per rivelare tutti i limiti umani».

Sarebbe un errore pensare che l’autodeificazione sia un progetto esclusivo del marxismo. È infatti una tentazione vecchia quanto l’umanità stessa. I greci la chiamavano Hybris o arroganza. E il libro della Genesi ci mette in guardia da tale arroganza con il racconto della promessa del serpente a Eva: «Sarete come dei».

Ma la tecnologia moderna ha alzato la posta in gioco enfatizzando ancor di più l’arroganza. Le nostre incredibili prodezze tecnologiche seducono molte persone a pensare che siamo degli dei, o che con qualche accortezza in più potremmo diventarlo. Il primo passo in questo processo è credere di poter essere esonerati dalle normali restrizioni morali e che ‘se si può fare, dovrebbe essere fatto’. È un pensiero sciocco, un pensiero pericoloso.

Ma è un pensiero con il quale ci troveremo tutti a dover lottare, mentre continuiamo a sorprenderci della nostra tanto incredibile quanto singolare intelligenza.

 

Roger Kimball è curatore ed editore di The New Criterion ed editore di Encounter Books. Il suo libro più recente è The Fortunes of Permanence: Culture and Anarchy in an Age of Amnesia.

Le opinioni espresse in questo articolo sono quelle dell’autore e non riflettono necessariamente il punto di vista di Epoch Times

 

Articolo in inglese: Science Forces Mankind to Grapple With Technophobia Versus Technophilia

 

 

 
Articoli correlati