Studio inglese: la politica italiana influenzata da Pechino e Mosca

Di Alessandro Starnoni

L’influenza russa e cinese in Italia esiste, a causa dei legami soprattutto economici con le due potenze e ai tentativi di interferenza. A preoccupare di più sono però i legami economici con Pechino, molto più estesi. Lo sostiene lo studio inglese Russian and Chinese Influence in Italy, che sottolinea tuttavia come l’influenza sia difficile da dimostrare, anche se «è più chiaro quando questa diventa interferenza».

In questi giorni che anticipano le elezioni, in particolare, si sta parlando molto della possibile ingerenza russa nella politica italiana. Ora l’attenzione mediatica sull’argomento è aumentata con la pubblicazione della ricerca inglese in questione, che mette in luce possibili influenze russe ma anche e soprattutto cinesi sulla politica italiana, cercando di capire fino a che punto possano spingersi tali influenze.

Secondo gli autori dello studio, Raffaello Pantucci, del think tank Royal United Services Institute, e Eleonora Tafuro Ambrosetti, ricercatrice Ispi, il nostro Paese, tra tutti i Paesi membri dell’Ue, è uno dei principali sostenitori del «dialogo e della cooperazione sia con la Russia che con la Cina», per via dei suoi legami principalmente economici con entrambe le nazioni (ma anche politici, di sicurezza e storico-culturali, approfonditi nelle studio), tanto da dover affrontare spesso le critiche degli altri Paesi europei, come quella di essere persino il ‘Cavallo di Troia’ russo o cinese in Europa.

Non c’è da dimenticare infatti, sottolinea lo studio, che per quanto riguarda la Cina, l’Italia è stata il primo Paese del G7 nonché una delle più grandi potenze europee ad aver firmato  nel 2019 il memorandum di Intesa (MoU) con la Cina in merito alla Belt and Road Initiative (La Nuova Via della Seta). Una delle scelte che, continua lo studio, riflettono quella che è la lunga storia dell’Italia del ‘cercare di sedersi sempre in mezzo’ – ovvero il non prendere mai una posizione – a prescindere da quale partito politico sia alla guida della nazione.

Sotto il governo Draghi tuttavia, fa notare lo studio, l’Italia ha consolidato il suo atlantismo e i suoi rapporti con la Nato, soprattutto dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, condannando fermamente l’invasione russa. Ma «resta da vedere come l’Italia (come le altre potenze) affronteranno la guerra e a la Russia sul lungo termine».

La ricerca «esplora quindi il rapporto complesso e sfaccettato di Roma con Pechino e Mosca negli ambiti politico, economico, militare e culturale, concentrandosi sugli sviluppi dal 2010».
In merito all’aspetto economico, la ricerca illustra i molteplici legami economici del governo italiano e di diverse industrie italiane, soprattutto con la Cina: «La minaccia della potenza economica cinese è molto più preoccupante per l’economia italiana in generale […] nel 2020 l’interscambio totale con la Cina è stato di circa 45 miliardi di euro (12,9 miliardi di euro di esportazioni/32,1 miliardi di euro di importazioni), in leggero aumento rispetto ai 44,6 miliardi di euro del 2019 (saldo esportazioni/importazioni quasi identico)».

Ma i ricercatori notano che, almeno a livello imprenditoriale, «la propensione di Roma all’impegno sia con Pechino che con Mosca è attivamente favorita dalla potente élite imprenditoriale italiana del Nord. Tuttavia, questo sostegno potrebbe derivare dalle loro valutazioni degli interessi commerciali piuttosto che da campagne di influenza esterna o attività segrete».

Riguardo ai media, la ricerca afferma ad esempio che «le emittenti statali cinesi hanno una lunga storia nello stabilire partnership di condivisione di contenuti con i media italiani, per esempio, tra l’Ansa (la più grande agenzia di stampa italiana) e Xinhua (il media di Stato cinese). Tuttavia, non è chiaro quanto siano efficaci nell’influenzare il pubblico italiano».

Dal punto di vista mediatico, la pandemia è stata l’occasione affinché sia Cina in primis, che Russia, potessero «promuovere le loro narrazioni, e l’Italia è stata un obiettivo».
Nel particolare, Pechino ha propagandato attraverso i media quanto stesse facendo per sostenere l’Italia, «prima potenza europea a essere colpita dalla pandemia di coronavirus, anche se poi è emerso che alcuni dei video diffusi e promossi dai funzionari erano falsi. Il tentativo dei media di Stato cinesi di sviare la responsabilità per l’insorgenza del virus ha poi suggerito che l’Italia fosse invece il punto di origine, generando una rabbiosa reazione da parte di Matteo Salvini, e facendo crescere la sfiducia nei confronti della Cina».

E proprio riguardo alla politica, il rapporto fa i nomi, tra gli altri, di Beppe Grillo e di Michele Geraci, che hanno tentato di «promuovere narrazioni a favore della Cina», quando Grillo nel 2021 ha pubblicato l’articolo Per un’iniziativa di pace, facendo eco alla propaganda del regime cinese che nega le violazioni dei diritti umani nello Xinjiang. Ma oltre a quell’articolo di Grillo, secondo gli esperti, ha avuto forse più influenza Il mio viaggio in Xinjiang: economia, cultura e amicizia, di Michele Geraci, che è stato l’ex sottosegretario di Stato presso il Ministero dello Sviluppo Economico.

 
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