Strage di San Bernardino, il muro contro muro Governo-Apple

Quella che potrebbe diventare una delle più controverse cause legali di sempre, ha origine in una mattina del 2 Dicembre 2015: gli ospiti di un centro disabili californiano di San Bernardino si apprestano, assieme ai responsabili della struttura, a svolgere le consuete attività mattutine.

Sembra un giorno come tutti gli altri e, come sempre, le persone che vivono e lavorano nel centro si impegnano ad affrontare le immancabili difficoltà della vita con il sorriso. Ma c’è qualcuno che ha già deciso per la loro sorte: alle 11 del mattino Syed Rizwan assieme a sua moglie Tashfeen Malik, irrompono armati nell’Inland Regional Center e sparano. Uccidono 14 persone e ne feriscono 23.
A strage compiuta, i due omicidi fuggono alla guida di un Suv, ma a circa due chilometri dalla struttura vengono raggiunti dalla polizia e uccisi in uno scontro a fuoco.

Al dolore e alla rabbia si aggiunge l’arrivo della notizia più temuta dall’America: l’attentato è di natura terroristica e la coppia è sostenitrice dello Stato Islamico. Partono quindi le indagini della polizia, per cercare di capire se si tratti di un caso isolato di auto-radicalizzazione o se l’attentato sia stato guidato dall’Isis.

In tutto questo, ha un’importanza chiave il ritrovamento del telefono cellulare di uno dei due killer: un iPhone 5c della Apple che potrebbe dare alle indagini la svolta fondamentale. Ma il problema è che, come tutti i dispositivi Apple, l’iPhone risulta bloccato dal codice di sicurezza e solo Apple è in grado di decriptarne il contenuto senza danneggiare permanentemente i dati.

Il governo Usa, riconoscendo nel telefono un oggetto cruciale per la lotta al terrorismo (in quanto possibile contenitore di prove o contatti di altri soggetti di stampo jihadista), tramite il giudice della Corte distrettuale di California Shari Pym ordina al gigante tecnologico di Cupertino di sbloccare lo smartphone, prima che i troppi tentativi di accesso falliti (al massimo dieci) ne compromettano irreversibilmente i dati contenuti. L’ordine arriva a seguito del rifiuto di Apple a collaborare volontariamente su richiesta dell’Fbi, ed è applicabile secondo i termini della normativa federale degli Stati Uniti, in particolare in forza dell’All Wrist Act. Questa legge è già stata applicata dagli Usa in passato per aggirare la cifratura degli smartphone, e attribuisce al tribunale la facoltà di emettere tutte le ordinanze necessarie a raggiungere «i fini razionali di legge e i fini di giustizia ad essa affidati».

In precedenza il Governo, su suggerimento del Supervisor Special Agent dell’Fbi Christopher Pluhar, aveva chiesto al costruttore del cellulare di sviluppare un programma che permettesse di accedere alla memoria del dispositivo, lasciando comunque la completa libertà alla Apple su come operare. L’intervento sarebbe stato effettuato in un ambiente controllato ed esclusivamente sul telefono dell’attentatore. La Apple avrebbe potuto inoltre distruggere il software una volta utilizzato, senza doverlo fornire al Governo.

Ma l’amminstratore delegato di Apple Incorporated, Tim Cook, deciso a difendere la privacy dei suoi utenti, risponde con un secco ‘no’. Agire in questo modo significherebbe infatti per Apple creare «un precedente troppo pericoloso», e vanificare oltre dieci anni di lavoro in termini di sicurezza e privacy.
La Apple, per decriptare il dispositivo, sarebbe infatti costretta a creare una ‘backdoor’, una sorta di porta di accesso universale a iOS (il sistema operativo degli iPhone) che poi potrebbe essere sfruttata in futuro da chiunque ne venisse in possesso per violare il sistema di sicurezza di Apple e, potenzialmente, ‘bucare’ tutti gli iPhone prodotti da Cupertino (che in totale ammontano a oltre 700 milioni in tutto il mondo).

A schierarsi dalla parte di Apple non ci sono solo i suoi utenti, ma anche il colosso del web Google. L’amministratore delegato Sundar Pichai ha infatti twittato: «Importante messaggio di Tim Cook. Forzare una società a eseguire un atto di hacking potrebbe compromettere la privacy degli utenti. Sappiamo che le forze dell’ordine e le agenzie di intelligence devono affrontare sfide significative nel proteggere il pubblico dalla criminalità e il terrorismo. Costruiamo prodotti sicuri per mantenere al sicuro le informazioni e diamo diritto di accesso ai dati alle forze dell’ordine sulla base di validi ordinamenti giuridici, ma questo è del tutto diverso dall’imporre alle imprese di consentire l’hacking dei dispositivi e dati dei clienti. Potrebbe essere un precedente preoccupante. Aspettiamo di discutere con la dovuta attenzione questo importante tema».

Nell’industria dell’informatica più che in ogni altra, la tutela del know how aziendale è di importanza cruciale: la Apple si fonda da sempre sull’efficienza, l’affidabilità e la sicurezza dei propri sistemi operativi.
Inoltre anche Facebook e Twitter hanno espresso il loro sostegno verso Apple; lo stesso fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg, secondo quanto riporta Usa Today in un convegno mondiale sulla telefonia mobile a Barcellona ha dichiarato: «Comprendiamo la scelta di Apple: crediamo nella cifratura e pensiamo sia uno strumento importante».

Tuttavia molti altri sono dalla parte del governo Usa, e accusano Apple di non collaborare nella lotta contro il terrorismo; il pittoresco candidato repubblicano Donald Trump ha proposto, a un evento elettorale in South Carolina, di «boicottare» la Apple fino a quando non avrà fornito l’aiuto richiesto.

A ogni modo, nell’udienza fissata per il 22 marzo dal tribunale californiano, il governo Usa proverà a piegare alla propria volontà il colosso informatico creato quarant’anni fa da Steve Jobs, Ronald Wayne e Steve Wozniak, e capitanato dal 2011 Tim Cook: il magistrato chiederà ancora una volta a Cook di collaborare alla lotta globale contro il terrorismo.

La situazione è obiettivamente di una difficoltà estrema, e il quarantesimo compleanno della Apple (fondata da Jobs, Wayne e Wozniak il 1 aprile del 1976) si preannuncia quindi come il più difficile della sua storia.
Da una parte c’è infatti la Apple Inc. con 66 mila dipendenti, quasi 2 milioni di posti di lavoro ‘di indotto’ e ricavi per 51 miliardi e mezzo di dollari nell’ultimo trimestre 2015 (un vero e proprio titano anche per un’economia come quella statunitense); dall’altra ci sono i familiari delle vittime, il governo degli Stati Uniti d’America e la Legge. Una situazione apparentemente senza uscita, in cui tutte le scelte possibili per Tim Cook e la Apple sembrano perdenti. 

Difficile dire, quindi, se il braccio di ferro Apple-Governo continuerà a lungo: per Apple in fin dei conti il gioco, anche se possibile, potrebbe non valere la candela.
Anzi potrebbe servire solo a compromettere seriamente i propri interessi aziendali. Se Apple manterrà la sua posizione irremovibile, potrebbero infatti essere tentate strade alternative: come riporta un editoriale di businessinsider, il fondatore dell’omonimo antivirus John McAfee si è immediatamente reso disponibile a sbloccare il telefono incriminato, nell’arco di sole tre settimane. 

 

 
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