Sottrazione internazionale dei minori, nasce il Protocollo Zardo

Di Antonietta Gianola

Nella risoluzione positiva dei casi di sottrazione internazionale di minori manca un documento operativo condeciso tra operatori giudiziari, avvocati, magistrati enti territoriali coinvolti e servizi sociali, che consenta di superare le prassi applicative distorte a favore di provvedimenti che favoriscano i rimpatri dei bambini sottratti.

Per colmare questo vuoto, U.Di.Re. centro antiviolenza senza limiti di genere, ha predisposto il protocollo-zardo che prende il nome dal caso che ha coinvolto Luigi Renato Zardo, padre di Erik, vittima di sottrazione internazionale di minore, con sentenza passata in giudicato dal Tribunale di Torino; il bambino non è mai più rientrato in Italia dal giorno del suo rapimento da parte della madre, fuggita in Ucraina, nonostante diversi provvedimenti giudiziari avessero disposto il contrario.

Il Protocollo Zardo è indirizzato a tutte le Istituzioni italiane e, in particolar modo, a tutti gli Assessori alle Politiche Sociali e Ministri di competenza, affinché si facciano promotori dell’emanazione di registri che pongano fine al fenomeno della sparizione dei bambini cittadini italiani, nati all’interno di matrimoni misti, rapiti da un genitore che scappa all’estero.

I casi sono in crescita negli ultimi 10 anni sono circa 90. Si tratta di veri e propri sequestri di persona che privano il bambino di una parte delle sue radici (italiane) e costringono il genitore che vuole riabbracciare suo figlio ad intraprendere un’odissea giudiziaria dall’esito spesso incerto.

Dopo un anno di permanenza del bambino nello stato di rifugio, le nuove autorità possono decidere discrezionalmente se trattenerlo anche se sussistono segnalazioni di sottrazione: lo prevede la Convenzione dell’Aia del 1980. Per evitare, quindi, che un genitore si trovi a non poter più intervenire per far rispettare il suo diritto di vedere il figlio, è necessario che lo Stato Italiano predisponga tutti i provvedimenti di garanzia, prima che si concluda l’anno dalla sottrazione.

Il tema delle sottrazioni internazionali è completamente abbandonato a sé stesso anche per la burocrazia che norma questo ambito della giustizia, zavorra che ha lasciato irrisolte numerose vicende e ha visto la perdita di diversi cittadini italiani. A buona ragione il Protocollo suggerisce dove e quando snellire le procedure, fissa regole rigide che riducono anche inutili costi e mette l’accento sul concetto della bigenitorialità.

La provenienza geografica cambia il tipo di intervento

Quando la donna che scappa con figlio è originaria di Paesi dell’Est e accusa il marito italiano di violenze, immediatamente partono i servizi e la rete di tutela che si adoperano per inserirla nella rete antiviolenza per la presa in carico, insieme al figlio, consentendole anche di organizzarsi per la fuga. Questo è un cliché che si ripete sistematicamente.

Di tutt’altra flemma sono gli operatori che si trovano a risolvere casi in cui il motivo del rapimento è anche religioso. Si consente, infatti, che bambine nate in Italia da matrimoni misti vengano portate in Paesi che prevedono lo sposalizio, anche a 12 anni, o le mutilazioni genitali, che i bambini vengano strappati dal loro Paese per essere inseriti violentemente in culture molto diverse, che perdano la cittadinanza italiana. Forse perché nel nostro Paese si tende a darla a chi arriva ma non per tutelare chi già ce l’ha.

 
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