Shinzo Abe, un vero statista

Di Grant Newsham

L’autore dell’articolo, Grant Newsham, è un ufficiale della marina statunitense in pensione ed ex diplomatico e dirigente aziendale statunitense che ha vissuto e lavorato per molti anni nella regione Asia/Pacifico. Ha servito come capo dell’intelligence di riserva per le forze marine del Pacifico ed è stato addetto alla marina degli Stati Uniti presso l’ambasciata degli Stati Uniti a Tokyo in due occasioni. È un membro di lunga data del Center for Security Policy.

 

Gli statisti compaiono raramente. E l’ex primo ministro giapponese Shinzo Abe, assassinato l’8 luglio a Nara in Giappone, era uno statista.

È stato il primo degli oltre 20 primi ministri giapponesi a meritare questo titolo, negli ultimi 35 anni da quando Yasuhiro Nakasone ha ricoperto l’incarico.

E anche se Abe si era dimesso nel 2020, stava ancora svolgendo un ruolo importante nello spingere per costruire le difese del Giappone, rafforzare l’alleanza Usa-Giappone, sostenere Taiwan e affrontare la minaccia incombente della Cina comunista.

Ci mancherà molto.

Abe aveva una visione strategica del ruolo del Giappone nel mondo. Ha riconosciuto che il Giappone non poteva più starsene seduto in silenzio, a firmare l’occasionale assegno, mentre gli eventi si svolgevano attorno ad esso.

(Da S a D) Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, il primo ministro giapponese Shinzo Abe, il leader cinese Xi Jinping, il direttore generale dell’Omc Roberto Azevedo e il primo ministro australiano Scott Morrison partecipano a un incontro sull’economia digitale al vertice del G-20 di Osaka, Giappone, il 28 giugno 2019. (Jacques Witt/Afp tramite Getty Images)

In primo luogo, aveva capito che degli stretti legami con gli Stati Uniti sono indispensabili per il Giappone e che la creazione di una forte relazione Giappone-Usa richiedeva che Tokyo diventasse un alleato più utile. E che giocando un ruolo attivo a livello regionale e globale, anche militarmente, il Giappone potrebbe aumentare la sua statura e la sua influenza.

A tal fine, Abe aveva viaggiato per il mondo. Essere visto e ascoltato ha fatto la differenza ed è stato in netto contrasto con il basso profilo internazionale della maggior parte dei precedenti primi ministri giapponesi.

Abe aveva anche ordinato alle forze di autodifesa giapponesi di espandere impegni, esercitazioni e colloqui da militari a militari in tutta la regione Asia-Pacifico e persino in Europa. Questo sarebbe stato impensabile solo pochi anni prima.

Inoltre, in seguito al successo di Abe nell’allentare le regole sull’esportazione di hardware per la difesa, il Giappone ha fornito aerei e navi usati alle Filippine e al Vietnam e, con una visione strategica, ha cercato di vendere sottomarini giapponesi all’Australia. Questo avrebbe ribaltato l’ordine strategico regionale, in senso positivo, se l’amministrazione australiana Turnbull non avesse perso la calma e annullato quello che secondo quanto riferito era un accordo «fatto».

Gli australiani invece hanno scelto un offerente francese e, pochi anni dopo, l’accordo è stato interrotto in un imbarazzante e costoso fallimento.

Sebbene, prevedibilmente, la Cina si lamenti, l’impegno militare del Giappone è ancora oggi ben accolto nella regione, da Australia, Vietnam, India, Filippine, nazioni delle isole del Pacifico e altri.

E se non fosse stato per Abe, non ci sarebbe il «Quad», la libera alleanza di sicurezza tra Stati Uniti, Giappone, Australia e India.

Va ricordato che Abe non è stato il primo presidente ad avviare questa mossa verso una difesa più attiva e una politica estera assertiva. Tuttavia, ha spostato le cose molto più velocemente e più lontano di chiunque altro dai tempi del primo ministro Nakasone a metà degli anni ’80.

Gli Stati Uniti hanno desiderato a lungo che il Giappone fosse un alleato più attivo e svolgesse un ruolo di difesa più sostanziale, sia a pieno titolo che in combutta con le forze statunitensi. Sfortunatamente, il governo degli Stati Uniti ha sprecato un anno, dopo l’elezione di Abe nel 2012, tenendolo a debita distanza per le sue opinioni sulla storia, le donne di conforto e la reputazione di «destra».

Tuttavia, gli americani hanno finalmente superato questo. Hanno ottenuto ciò che volevano (e di cui avevano bisogno), come evidenziato dalla revisione (e dal miglioramento) del 2015 delle linee guida sulla difesa Usa-Giappone e dall’approvazione di misure di Abe che ampliano ciò che il Giappone può fare secondo la dottrina dell’«autodifesa collettiva». E non sono state piccole imprese.

Per quanto riguarda la risoluzione dei problemi di base di Okinawa, Abe aveva fatto uno sforzo per guardare alla difesa del Giappone da una prospettiva nazionale piuttosto che dal punto di vista ristretto degli attivisti di Okinawa e dell’opposizione incitata da estranei.

Aveva cercato nobilmente di far passare finalmente la sostituzione della stazione aerea Futenma del Corpo dei Marines, dopo che le ripetute promesse di Tokyo di farlo non erano state mantenute.

Si è persino morso la lingua e ha pazientemente cercato di costruire una relazione con la Corea del Sud.

Abe non ha schioccato le dita e ottenuto subito ciò che voleva: è stato un duro lavoro. Ha sempre affrontato una notevole opposizione interna. Abe non ha potuto ignorare l’opinione pubblica e di conseguenza si è sforzato di spiegare le sue politiche, anche se imperfettamente, ma meglio della maggior parte (se non di tutti) i primi ministri.

Oltre alle sfide dei partiti di opposizione, Abe aveva molti nemici all’interno del Partito Liberal Democratico al potere. C’era anche un considerevole blocco Ldp che si opponeva alle politiche di difesa attiva di Abe, per non parlare di molti politici di tutti i partiti favorevoli a una posizione più accomodante nei confronti della Cina.

Abe ha anche affrontato un’immensa ostilità personale da parte di molte persone, giapponesi e straniere. Per alcuni aspetti, il suo recente omicidio è stato il prevedibile risultato di questo odio sconveniente da parte di persone che avrebbero dovuto capirlo meglio.

E, naturalmente, la burocrazia giapponese ha rallentato tutto il più delle volte. In effetti, nonostante tutto il suo successo, Abe non è stato in grado di aumentare significativamente la spesa per la difesa, data l’enorme influenza del Ministero delle Finanze, ma ha invertito la tendenza decennale al caso del budget per la Difesa e ha ottenuto almeno dei modesti aumenti ogni anno.

E non è stata solo la Difesa in cui Abe ha fatto bene. Ha mantenuto in vita la Trans-Pacific Partnership dopo che gli americani hanno rifiutato di aderire – e quindi ha mantenuto una versione del «mondo libero» di un’alleanza economica regionale – attendendo il giorno in cui gli Stati Uniti sarebbero tornati in sé.

Abe è stato un vero Otto von Bismarck rispetto a molti dei suoi predecessori, che sembravano considerare lo scopo principale di un primo ministro giapponese il riciclare denaro dal governo centrale ai sostenitori favoriti e viceversa.

Per loro, era meglio lasciare gli affari esteri e le questioni militari a burocrati avversi al rischio.

Una parola a parte sull’economia: Abe è ancora, anche dopo la sua morte, aggredito dai critici, soprattutto stranieri, per il presunto fallimento di «Abenomics». Abe merita un passaggio su questo, non ultimo, dal momento che nessuno dei suoi predecessori negli ultimi 25 anni ha avuto un successo maggiore nel rilanciare l’economia.

In effetti, si potrebbe giustamente sostenere che il più grande errore di Abe sia stato non ascoltare da vicino il Ministero delle Finanze e la Banca del Giappone, e quindi fare l’opposto di ciò che i burocrati raccomandavano.

Il sottoscritto ha seguito e scritto di Abe per diversi anni. E si è sbagliato su una cosa importante. Pensava che una volta che Abe si fosse dimesso dalla carica di primo ministro, lo slancio che aveva creato, in particolare in materia di difesa e politica estera, sarebbe svanito e il Giappone sarebbe tornato all’usanza di primi ministri di breve durata e inefficaci e a una politica estera e di difesa basata sul fare il meno possibile.

Ma questo non è successo. In effetti, i successori di Abe stanno proseguendo sulla strada in cui ha messo il Giappone. E il primo ministro Fumio Kishida ha recentemente parlato di raddoppiare il budget della difesa e di «rafforzare fondamentalmente» la difesa del Giappone. E la minaccia cinese (e non solo) è ormai un’idea quasi comune tra i cittadini giapponesi e gran parte della classe politica.

Il mondo ha bisogno di un Giappone assertivo e attivo, un Paese con libertà individuale, governo consensuale e Stato di diritto. E il mondo ha bisogno della nazione proattiva, impegnata e militarmente capace che Abe ha cercato di creare.

Il Giappone è fortunato ad averlo avuto, così come gli americani e le altre nazioni libere.

Si dica quello che si voglia, ma Shinzo Abe ha lasciato il Giappone meglio di come l’ha trovato.

 

Le opinioni espresse in quest’articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente quelle di Epoch Times.

Articolo in inglese: Shinzo Abe: He Will Be Missed

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