Sea Watch 3, il punto della situazione

Il 28 giugno, dopo 2 settimane trascorse al centro dell’attenzione mediatica, la capitana della Sea Watch 3 Carola Rackete è stata iscritta nel registro degli indagati dalla Procura di Agrigento. La giovane ragazza tedesca si è infatti resa colpevole di aver trasgredito il divieto di ingresso, transito e sosta nelle acque italiane imposto alla Sea Watch dal governo e dalle autorità marittime italiane. Sono due le possibili imputazioni a suo carico: favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e trasgressione di un ordine imposto da una nave da guerra istituzionale.

Nel frattempo sono stati trasferiti a terra altri due migranti per motivi di salute. La sorte dei 40 africani ancora a bordo della Sea Watch 3 resta invece incerta, ma appare sempre più vicina una soluzione di compromesso tra il governo italiano e le altre forze coinvolte. Conte e il collega olandese Mark Rutte pare abbiano discusso a lungo della questione ai margini del G20 di Osaka, e anche Salvini, che fino al 27 giugno aveva mantenuto un atteggiamento meno conciliante, ha affermato: «Mi si dica dove vanno i migranti e firmo per lo sbarco. Troppe volte sono stati presi impegni poi non mantenuti»

I fatti

La vicenda ha avuto inizio il 12 giugno, quando la Sea Watch 3, un’imbarcazione battente bandiera olandese e gestita da una Ong tedesca, ha richiesto alle autorità italiane il permesso per entrare nelle acque italiane con 52 migranti a bordo, che affermava di aver tratto in salvo il giorno stesso dalle acque internazionali di competenza libica. Le autorità marittime italiane hanno invece richiesto loro di riportare i migranti in Libia, dopo aver ottenuto il relativo consenso da parte delle autorità di Tripoli. Tuttavia, il capitano dell’imbarcazione, Carola Rackete, si è rifiutata, adducendo come motivazione la scarsa sicurezza dei porti libici; ha quindi scelto di sostare lungo il confine con le acque territoriali italiane e ha continuato a richiedere il permesso per approdare in Italia.

Il 15 giugno il divieto di ingresso, transito e sosta nelle acque italiane per la Sea Watch 3 è stato ufficializzato con la firma dei ministri dell’Interno, della Difesa e delle Infrastrutture e Trasporti, secondo la procedura prevista dal nuovo decreto sicurezza. Ad ogni modo, lo stesso giorno, la guardia costiera ha trasportato dieci dei migranti a bordo della Sea Watch, che avevano bisogno di trattamenti medici, a Lampedusa. Ma, non soddisfatto, il personale dell’ong ha ribadito: «Non riporteremo mai nessuno in Libia». Da allora la Ong sta tentando in ogni modo di costringere il governo italiano a far sbarcare i 42 migranti rimasti a bordo in Italia.

Il 17 giugno l’Ong ha presentato ricorso al Tar del Lazio contro il divieto di ingresso, che però ha rigettato ufficialmente la richiesta in data 19 giugno. Il capitano e il suo equipaggio non si sono dati per vinti e hanno richiesto l’intervento della Corte Europea il 21 giugno 2019. La Corte ha risposto, in un comunicato stampa datato 25 giugno, che a bordo della Sea Watch non sussistono le gravi condizioni di emergenza necessarie per accogliere il ricorso e richiedere formalmente all’Italia di annullare il blocco.

A quel punto Carola Rackete, dopo quasi due settimane trascorse a vagare intorno alle acque territoriali italiane, ha deciso il 26 giugno di infrangere il divieto imposto dal governo italiano e violare la legge italiana, dirigendo comunque la Sea Watch verso il porto di Lampedusa. Naturalmente l’imbarcazione è stata fermata dalla Guardia di Finanza e dalla Guardia Costiera, che hanno fatto ancorare l’imbarcazione a poche centinaia di metri dai moli del porto di Lampedusa.

Da allora si sono continuati a succedere una fitta serie di interventi da parte della stampa e del mondo politico, sia a favore che contro la scelta del capitano della nave.

L’Unione Europea è tornata a far sentire la sua voce, chiedendo all’Italia «una soluzione rapida della vicenda». Avramopoulos, commissario europeo per le migrazione ha affermato che «la Commissione è strettamente coinvolta nel coordinamento con gli Stati membri per trovare una soluzione per il trasferimento dei migranti a bordo del Sea Watch 3, […] ma una soluzione per le persone a bordo è possibile solo una volta sbarcati». Tuttavia, il governo italiano non sembra essere disposto ad accettare questa opzione.

Ad aggiungere un tocco di colore alla vicenda, nel pomeriggio di giovedì sono saliti a bordo della Sea Watch ben 5 parlamentari del Partito Democratico, compreso il capogruppo Graziano del Rio, che ha dichiarato che resterà a bordo finché «non scenderanno tutti a terra». Nel frattempo, nella notte tra il 27 e il 28 giugno, altri due migranti sono stati accompagnati a terra dalla Guardia di Finanza per motivi di salute.

Alla fine, nella mattinata del 28 giugno, ha battuto un colpo anche la tanto attesa Procura di Agrigento, annunciando di aver iscritto la capitana al registro degli indagati; e sottolineando altresì – secondo il quotidiano La Repubblica – di stare «vagliando le condotte delle autorità che non hanno ancora consentito lo sbarco dei migranti».

Ora, sebbene una risoluzione della vicenda appaia più vicina che mai, i 40 migranti africani continuano a sostare a poca distanza dal porto di Lampedusa, in compagnia dell’equipaggio della Sea Watch e dei parlamentari del Partito Democratico. È chiaro che il problema non sono i 40 migranti in sé, anche perché, come hanno ripetutamente fatto notare tutti i detrattori del governo, negli ultimi giorni sono sbarcati a Lampedusa ben più di 40 migranti, arrivati clandestinamente su imbarcazioni di dimensioni molto ridotte. Si tratta piuttosto di una questione di principio, per entrambe le parti.

Le dichiarazioni del governo italiano

Il 27 giugno il premier Giuseppe Conte ha commentato la vicenda da Osaka in maniera inequivocabile: «Di fronte a questo divieto [il capitano della Sea Watch, ndr] ha continuato a insistere, ritenendo che solo l’Italia sia un approdo, e mantiene da oltre 10 giorni delle persone in queste condizioni; ha assunto una condotta veramente di una gravità, io reputo, inaudita. Ora la questione è nelle mani, non tanto del governo italiano, ma della magistratura italiana.»

Toninelli ha ribadito la posizione che aveva espresso con la firma del divieto di ingresso: «Per chi viola legge i porti sono chiusi e rimarranno sempre chiusi. […] Hanno violato il diritto internazionale della navigazione».

Interessante anche l’osservazione del ministro dell’Agricoltura Gianmarco Centinaio: «In 12 giorni la capitana della Sea Watch poteva arrivare dall’altra parte del mondo, invece la capitana della Sea Watch ha voluto provocare l’Italia». Ha quindi aggiunto che se fosse veramente interessata al benessere di quelle persone non avrebbe continuato a fare la spola di fronte alle acque territoriali italiane.

Ha rincarato la dose poi il leader della Lega: «È chiaro che una nave di una Ong tedesca con bandiera olandese, che raccoglie immigrati in acque libiche e non va in Tunisia, né a Malta, ma tira dritto verso l’Italia, disobbedendo alla Guardia di Finanza, al Governo, alla Marina Militare, a tutti, lo fa per motivi di battaglia politica».

Ma ha anche aggiunto, durante un’intervista con Rai Radio 1, di non aver capito esattamente «in nome di chi» la ragazza starebbe portando avanti questa «battaglia politica».

 
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