Riconoscere le intolleranze alimentari

Forti cefalee, sonnolenza e stanchezza cronica sono alcuni dei numerosi e comuni sintomi che oggigiorno rendono difficile la vita quotidiana. Non tutti sanno però che a volte la causa di questi malesseri è da ricercare negli alimenti che si assumono ogni giorno.

Per approfondire il tema delle intolleranze alimentari, cercando di far luce sulle cause e sui possibili rimedi, Epoch Times ha intervistato Eugenio Franzero, medico con master in Medicina nutrizionale, che da anni si occupa di consulenza alimentare e test sulle intolleranze a Torino e Milano.

Che cos’è un’intolleranza e in che cosa si differenzia da un’allergia? 

La definizione più ricorrente è ‘reazione avversa non immunologica’. In queste parole è possibile scorgere una differenza tra questi due stati patologici, ovvero nelle allergie esiste una risposta dell’organismo mediata dagli anticorpi, nelle intolleranze è di tipo cellulare. In realtà la definizione è più complessa, poiché sotto il termine intolleranze vengono raggruppate risposte avverse ad alimenti, o parti di essi, assai eterogenei. 

Quali sono le cause?

Spesso i mie pazienti mi domandano se siano nati intolleranti o se lo sono diventati. Sono veri entrambi i casi: per alcuni tipi di alimenti è noto che esiste una predisposizione genetica, per altri la componente di accumulo o sovraesposizione è predominanate. Una cosa però è certa: se non esiste esposizione, non si verifica una reazione.

Quali sintomi provocano?

Le aree colpite sono molte e differenti, ma i sintomi più frequenti interessano il sistema gastrointestinale: coliti, dissenteria, nausea, gastriti e anche il sistema nervoso con cefalee in primis, astenia e torpore mentale. Non vanno poi dimenticate le reazioni dermatologiche con sindromi pruriginose ed eczemi. Inoltre spesso esiste una correlazione con l’innalzamento dei valori di glicemia, colesterolo e uricemia.
C’è da aggiungere che le intolleranze alimentari sono anche alla base di sovrappeso, obesità, ma anche di magrezza eccessiva, dove esiste sempre un quadro di cattivo assorbimento intestinale.

Il dottor Eugenio Franzero.

Sono difficili da diagnosticare?

No, ma grazie all’anamnesi del paziente si può capire quale indagine eseguire.

Quali sono i metodi migliori di diagnosi?

Personalmente utilizzo il test leucocitotossico o cytotest, che permette di individuare la reazione dei globuli bianchi rispetto al singolo alimento. Inoltre, per alcune intolleranze dove è accertata una componente genetica, utilizzo anche il test del Dna, ad esempio per il lattosio, il glutine e l’istamina.

In casi estremi, quali conseguenze possono determinare?

In alcuni casi il corollario di sintomi assume quasi il carattere di una vera invalidità, basti pensare a persone che arrivano ad avere decine di scariche diarroiche in poche ore, oppure cefalee pressoché costanti o la sindrome da stanchezza cronica. Senza contare tutte le patologie accessorie al sovrappeso e all’obesità come diabete, malattie cardiovascolari e sindrome multimetabolica.

Quale approccio utilizza per curarle?

Eseguo sempre il cytotest, poi sottopongo alcuni pazienti al test del Dna (ho una casistica di diecimila pazienti): la combinazione di queste due metodiche mi permette di avere un quadro ben definito. Da qui, viene formulato un piano terapeutico-dietologico personalizzato dove, nei limiti del possibile, si tiene conto anche delle abitudini del paziente. Più nel dettaglio, vengono eliminati a ‘monte’ tutti gli alimenti correlati con l’alimento intollerante: per esempio, in caso di intolleranza al latte si eliminano latte, burro e formaggio; vengono date anche delle regole di comportamento legate alle singole patologie (come evitare le verdure lesse in pazienti colitici, eccetera). Questo piano dietologico personalizzato permette di sottoporre i pazienti a dieta  senza la necessità di dover calcolare le calorie.

 
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