Referendum trivelle, la parola a Greenpeace

In vista del referendum del 17 aprile sull’abrogazione della norma che prolungherebbe le concessioni per l’estrazione di petrolio e gas entro le 12 miglia marine dalla costa, Epoch Times ha intervistato Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace.
Boraschi, fronte del ‘sì’, spiega le ragioni dell’organizzazione ambientalista rispondendo alle più comuni obiezioni di chi sostiene il ‘no’.

Ci riassume il rapporto di Greenpeace sull’inquinamento da trivelle?

«Greenpeace ha ottenuto i dati dei piani di monitoraggio che Eni realizza per 34 piattaforme operative nell’Adriatico, tra le coste dell’Emilia Romagna e dell’Abruzzo. Abbiamo chiesto questi dati direttamente al Ministero dell’Ambiente. Questi dati sono realizzati per conto di Eni da Ispra, che è un’agenzia del Ministero dell’Ambiente. È una mole di dati enorme che noi abbiamo portato a sintesi, e da questa sintesi si evince qualcosa di molto semplice: per quello che riguarda i sedimenti marini analizzati per determinare lo stato dell’ecosistema marino intorno a queste piattaforme, in tre casi su quattro si verifica una presenza, una concentrazione di inquinanti al di sopra dei parametri previsti. Siamo oltre la norma. Una situazione ugualmente critica si rivela dall’analisi delle cozze che vengono raccolte in prossimità di queste piattaforme. Sono come dei biomarker: per le loro caratteristiche organiche sono in grado di rivelare la presenza di alcuni inquinanti. Si rilevano concentrazioni spesso molto alte di metalli pesanti e di idrocarburi. Stiamo parlando di sostanze nella maggior parte dei casi tossiche, in alcuni casi anche cancerogene. Lo ripeto, in concentrazioni abnormi».

Che tipo di piattaforme sono state prese in esame? Per l’estrazione di petrolio, di metano…

«34 piattaforme a gas, sono tutte a gas».

Vicino a queste 34 piattaforme il mare è inquinato. Ma è stato fatto un confronto con zone in cui non ci sono piattaforme, in modo da verificare se è davvero la presenza di piattaforme a provocare l’inquinamento?

«Dunque, noi abbiamo diffuso – lo ripeto – i monitoraggi così come li realizza Ispra. I valori e le concentrazioni di inquinanti sono da riferire a delle norme. Abbiamo fatto noi dei confronti con alcuni spunti analoghi, ad esempio sulle cozze, presenti in letteratura scientifica, per verificare se effettivamente tutte le cozze dell’Adriatico presentassero quei livelli di concentrazione di questi inquinanti. E quello che è emerso è che invece sono proprio le cozze che crescono nei pressi di queste piattaforme ad avere delle criticità per il mercurio, il cadmio, alcuni idrocarburi… Le altre presentano valori diversi. Quindi l’anomalia c’è».

Avete idea di come si crei questo inquinamento? In che modo le piattaforme inquinano?

«È probabile che venga dallo smaltimento delle acque di produzione, da una serie di fluidi che vengono generati dall’attività della piattaforma, che devono essere depurati prima di essere immessi in mare, smaltiti in mare. Evidentemente queste operazioni di depurazione non funzionano bene o diversamente potrebbero esserci delle perdite, o altri fattori, che non siamo in grado di individuare, perché i monitoraggi stessi non li riportano, non riportano alcuna indicazione in tal senso. Peraltro stiamo parlando di questi 34 impianti; la casistica reale di questo inquinamento non è chiara. E stando a quello che ci è stato messo a disposizione, e a quello che abbiamo potuto vedere, non è chiara neppure alle autorità».

Parlando degli impianti interessati dal referendum del 17 aprile – quelli, quindi, entro le 12 miglia dalla costa – in quanti estraggono metano e in quanti petrolio?

«Dunque, le posso dare dei dati di produzione. Entro le 12 miglia, il rapporto dei volumi prodotti tra gas e petrolio in Italia è circa 3:1. Ci sono due concessioni in Adriatico che estraggono specialmente petrolio. Il totale della produzione di petrolio in quella fascia di mare rappresenta lo 0,8 per cento dei consumi italiani. Mentre nella stessa fascia di mare si produce all’in circa il 3 per cento dei consumi di gas».

Questi dati da dove provengono?

«Sono dati del Ministero dello Sviluppo Economico».

Cosa risponde a chi dice che con meno trivelle importeremmo più petrolio con le petroliere?

«Rispondo che dicono una sciocchezza. Proprio perché i volumi di cui stiamo parlando – per l’appunto solo il 3 per cento del fabbisogno annuo italiano di gas e lo 0,8 di petrolio – sono facilissimamente compensabili. Innanzitutto non si deve pensare che noi dovremmo rinunciare, in virtù di una vittoria del sì, in un sol colpo a questo apporto energetico, perché all’indomani di una vittoria del fronte referendario, le piattaforme non chiuderebbero immediatamente, ma andrebbero a chiudere progressivamente negli anni, nell’arco di circa un decennio, in virtù della scadenza delle loro concessioni. E dunque la sottrazione di quell’apporto di fonti fossili sarebbe progressiva, quindi stiamo parlando di un quantitativo molto piccolo al quale rinunciare progressivamente.

«Ma ancor più lo stiamo facendo in riferimento a un Paese in cui negli ultimi 10 anni i consumi di petrolio e gas sono calati costantemente. Negli ultimi 10 anni, il consumo di petrolio si è ridotto di circa il 33 per cento, quello di gas di circa il 21 per cento. Pensare che questo Paese – che è un Paese che deve investire sulle rinnovabili, perché lo stanno facendo tutte le economie mondiali e abbiamo preso anche degli impegni in tal senso alla conferenza per la protezione del clima a Parigi – non sia in grado di rinunciare nell’arco di un decennio al 3 per cento dei suoi consumi di gas e allo 0,8 di quelli di petrolio, sarebbe drammatico. Aggiungo inoltre che le persone che muovono questo tipo di obiezioni fanno un ragionamento abbastanza curioso, perché sono gli stessi che ci tengono tutte le volte a ricordare che in quella fascia di mare si produce soprattutto gas, parlano solamente di gas e raccontano di come il gas sia una fonte innocua e pulita, quando noi abbiamo dimostrato che quelle piattaforme inquinano. E non si sa per quale motivo la vittoria di un sì dovrebbe determinare l’arrivo delle petroliere, se è solo gas che si produce».

Diciamo che vince il sì. Allo scadere delle concessioni, quegli impianti che fine fanno?

«Devono essere dismessi e smantellati dalle aziende proprietarie».

Il Governo sembra attuare una strategia energetica che comprende il petrolio in vari aspetti, per esempio con accordi commerciali (con l’Egitto ad esempio). Qual è invece la vostra visione? Si può rinunciare in tempi brevi al petrolio e sostituirlo del tutto con le rinnovabili?

«Dunque, noi crediamo che si debba rinunciare progressivamente, ma quanto più velocemente possibile, alle fonti fossili, e fra tutte le fonti fossili, quelle che vanno rottamate per prime sono certamente il petrolio e il carbone, che sono le più inquinanti. Il gas è una fonte relativamente migliore. Per così dire la meno sporca delle fonti fossili, per alcuni aspetti. Ed è una fonte il cui utilizzo si sposa meglio anche con la crescita delle fonti rinnovabili. Il punto però è, da un’ottica nazionale, che cosa intenda fare l’Italia. L’Italia è un Paese che importa all’in circa l’85% di energia primaria, fonti che alimentano il suo sistema energetico. Ecco, noi possiamo decidere di rimanere sostanzialmente un Paese dipendente dall’estero, e da questo punto di vista un Paese non sovrano, un Paese continuamente esposto a fluttuazioni del costo di queste fonti, e all’instabilità economica, commerciale e politica che costantemente si lega a queste fonti. Oppure possiamo, più saggiamente, decidere di accrescere la nostra indipendenza energetica. Oggi in Europa si discute concretamente su come arrivare ad alimentare al 2050 un sistema energetico fatto interamente di fonti rinnovabili. Questo lo stanno facendo le istituzioni europee, non lo sta facendo Greenpeace o qualche ambientalista. Le grande multinazionali energetiche prevedono qualcosa di questo tipo. Enel è una multinazionale che si è impegnata ad arrivare a produrre a emissioni 0 di carbonio prima del 2050. E non sta investendo più un solo centesimo in energie inquinanti, convenzionali. Noi crediamo che la strada segnata sia questa. Ed è una strada sulla quale si stanno impegnando tutte le grandi economie del mondo.

«L’Italia è disposta a farlo? È disposta a onorare gli impegni che ha preso a Parigi? È disposta a sostenere la riduzione del nostro debito energetico con l’estero? O vogliamo continuare a dare perennemente ascolto alle lobby fossili e arricchire di volta in volta la Russia, l’Egitto, o altri Paesi dai quali importare? Siamo proprio i primi che dovrebbero investire sulle fonti rinnovabili e sull’efficienza e stiamo facendo esattamente il contrario. Noi stiamo tagliando il sostegno alla crescita di queste fonti, stiamo facendo perdere posti di lavoro, stiamo respingendo capitali e investimenti. Non si capisce per quale motivo si cerca di far circolare in Italia un allarme sulla crisi occupazionale che deriverebbe da questo referendum, quando appena ieri il ministro dell’Ambiente ha rivelato finalmente che gli addetti al funzionamento delle piattaforme interessate dal referendum sono 70, e non si parla invece delle migliaia di posti di lavoro persi nel settore delle rinnovabili nell’ultimo anno e mezzo. Che sono veramente una vergogna».

Perché sono stati persi questi posti di lavoro?

«Il governo continua a mettere mano al sistema di regolazione e di incentivazione. Sono stati cambiati i contratti, in corso d’opera, che lo Stato aveva fatto con le aziende. Ci sono tagli addirittura retroattivi sul sistema di incentivazione alla crescita delle rinnovabili. Ed è scontato che qualsiasi azienda non voglia operare in un contesto normativo di questo tipo, a dir poco turbolento, in cui ogni sei mesi si penalizza un settore. Se io sono un’azienda che opera in quel settore e devo sottostare a questo tipo di imprevisti, preferisco andare a lavorare da un’altra parte. È quello che stanno facendo tantissime aziende. A livello globale la crescita delle rinnovabili continua. Ha rallentato solo l’Italia. Ed è un peccato perché noi siamo un Paese che è arrivato ad avere da quelle fonti la generazione del 40 per cento dell’elettricità che utilizza. È un apporto energetico enorme, per il quale non ci sono esternalità sanitarie o ambientali, che garantisce già oggi un enorme risparmio. Sono tutte cose delle quali non si parla mai. Si parla solo e sempre dei soldi che gli italiani hanno messo nelle bollette, ma non si parla mai dei soldi che gli italiani risparmiano con i mancati danni sanitari e ambientali delle fonti fossili».


Intervista rivista per brevità e chiarezza

Immagine dell’articolo concessa da Shutterstock

 
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