Quando le star di Hollywood si occupano di ambiente senza capirne nulla

Commento di Richard Trzupek

Mick Jagger e Donald Sutherland sono entrambi ottimi uomini di spettacolo, ma come analisti dell’ambiente non possono vantare grandi competenze.

Mentre stava presentando il nuovo film The Burnt Orange Heresy al Festival del Cinema di Venezia, Mick Jagger ha affermato: «Siamo in una situazione molto difficile in questo momento, soprattutto negli Stati Uniti, dove tutti gli adeguati controlli sull’ambiente che erano stati messi in atto sono stati ritirati dall’attuale amministrazione a tal punto da essere stati spazzati via […] Gli Stati Uniti dovrebbero essere il leader mondiale nel controllo ambientale, ma ora hanno deciso di andare da tutt’altra parte».

Sutherland si è trovato d’accordo e ha ribadito: «Mick ha ragione quando ha detto che le riforme che sono state istituite durante l’amministrazione Obama erano a malapena adeguate, e ora sono state spazzate via».

Anche se ormai non sorprende molto sentire due star di Hollywood di sinistra ripetere sempre gli stessi temi retorici anti-Trump, è comunque un po’ deprimente. Non ci si può aspettare che le celebrità sappiano come accedere ai dati ambientali in modo tale da valutare correttamente i cambiamenti nelle regolamentazioni e nelle linee politiche, ma è triste trovare che due leggende dello show business come loro vengano usate, da chi conosce la verità meglio di loro, per ingannare le persone. 

L’amministrazione Trump, infatti, non sta facendo marcia indietro sui controlli ambientali e non sta facendo a pezzi nulla.

I meccanismi di regolamentazione ambientale sono così complessi che la dimostrazione della verità di una singola affermazione richiederebbe molto più spazio di un semplice articolo. Gli addetti alle pubbliche relazioni delle grandi organizzazioni ambientaliste lo sanno, perciò sintetizzano i loro temi e le loro dichiarazioni usando una retorica quasi isterica, che non supererebbe mai la prova di un’analisi dettagliata, ma che viene prontamente accettata da coloro che sono predisposti ad odiare tutto quello che l’attuale presidente fa.

Utilizzano molti metodi, ma di solito sono due i metodi particolarmente offensivi che prediligono: 1) distorcere le azioni intraprese dall’Epa (Environmental Protection Agency, Agenzia per la protezione dell’ambiente) in modo da farle apparire dannose per l’ambiente, quando in realtà non lo sono; 2) fingere che il presidente abbia l’autorità di approvare personalmente la legislazione ambientale (che invece è stata debitamente approvata dal Congresso) facendo intendere che abbia motivazioni personali per farlo.

Ci sono molti casi in cui è stato adottato il primo metodo, ma si può usare come esempio quello della norma dell’Epa chiamata «once in, always in».
Messa in vigore durante la presidenza Clinton nel 1995, la politica si interessava alle principali fonti di inquinanti atmosferici pericolosi o tossici (Hap). Se una struttura emette abbastanza Hap da essere considerata una fonte importante di emissione, è soggetta alle rigorose norme nazionali sulle emissioni di inquinanti atmosferici pericolosi Neshap (National Emission Standards for Hazardous Air Pollutants, Neshap). Ma cosa succede se la struttura apporta modifiche e non emette più alti livelli livelli di Hap? Sotto la politica «once in, always in» (una volta dentro, sempre dentro) non importava: ormai doveva comunque rispettare la regolamentazione Neshap.

Era una politica sciocca e controproducente: ha infatti scoraggiato l’industria dall’apportare cambiamenti nei processi e nell’uso dei materiali che avrebbero portato a minori emissioni di Hap. Perché preoccuparsi di farlo se l’onere normativo non si alleggerisce un po’? Nel corso degli anni molti all’Epa lo hanno capito; ma nessuno l’ha riformata, perché tutti sapevano che i gruppi ambientalisti si sarebbero battuti il petto urlando a pieni polmoni.

Difatti qualsiasi rilassamento delle regolamentazioni sull’ambiente, non importa quanto ragionevole, spinge la maggior parte delle Ong ambientaliste ad alzare la voce e criticare. L’Epa di Trump invece dovrebbe essere elogiata, non demonizzata, per aver apportato questo cambiamento di buon senso e molti altri simili.

La tattica numero due più usata dai critici dell’attuale amministrazione, è allo tempo ingenua e frutto dell’ignoranza e consiste nel fingere che l’Esecutivo – che in questo caso è Trump – possa influenzare radicalmente la regolamentazione ambientale nazionale.

Il presidente infatti sarà anche solidale con i minatori di carbone, ma non si sta assistendo alla costruzione di nuove grandi centrali a carbone, o al blocco delle dismissioni previste delle centrali a carbone esistenti. Il presidente potrebbe non credere che l’energia eolica e solare siano modi efficienti e affidabili per generare elettricità, ma i crediti d’imposta sulla produzione, necessari per consentire a tali tecnologie di operare con profitto, rimangono in essere.

I puristi del libero mercato desideravano, magari, che il presidente avesse guidato la carica per apportare tali cambiamenti, ma il fatto è che non l’ha fatto e nessuno si aspetta che lo faccia. Inoltre, per quanto riguarda le emissioni di gas serra, sebbene un’economia più energica abbia portato a un leggero aumento di questi, durante gli anni di Trump, gli Stati Uniti rimangono il leader mondiale nella riduzione di tali emissioni.

Se si vuole davvero fare una seria discussione sulle emissioni di gas serra nel 21° secolo, questa dovrebbe iniziare e finire con la Repubblica Popolare Cinese; nessun’altra nazione sulla terra se non la Cina può fare davvero una notevole differenza per quanto riguarda questo problema.

L’affermazione che Trump ha fatto di tutto per ridurre tutti i progressi ambientali fatti negli Stati Uniti negli ultimi 50 anni è palesemente ridicola. Rimangono in vigore la legge sull’aria pulita, la legge sull’acqua pulita, la legge sulla conservazione e il recupero delle risorse e altre leggi ambientali del territorio. Le regole e i regolamenti che sono nati da tali atti rimangono in vigore. Non c’è stata nessuna marcia indietro negli standard di qualità dell’aria o negli standard di qualità dell’acqua. Non vi è stata alcuna riduzione dei requisiti di controllo.

Il punto focale della regolamentazione ambientale rimane al livello degli Stati, contee e comuni che hanno sempre – per legge – la capacità di imporre standard più rigorosi rispetto al governo federale. L’Epa sovrintende a tali agenzie per garantire che soddisfino gli standard federali minimi, ma continua ad avere ben poco a che fare con l’attuazione quotidiana dei programmi statali.

Perciò si può affermare che nulla è cambiato se non per la propaganda proveniente dagli attivisti dell’ambientalismo. Eppure, data la loro storia, questo accade ogni volta che un repubblicano occupa la Casa Bianca, perciò neanche questo è davvero un cambiamento.

 

Richard Trzupek è un chimico, consulente ambientale e analista presso l’Istituto Heartland. È anche autore di “Regulators Gone Wild: How the EPA Is Ruining American Industry”.

Le opinioni espresse in questo articolo sono le opinioni dell’autore e non riflettono necessariamente le opinioni di Epoch Times.

Articolo in inglese   No, the Trump Administration Isn’t Rolling Back Environmental Controls

 
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