Quando governo, settore privato e giornali creano insieme la censura

Di Lee Smith

Il rilascio di documenti interni di Twitter ha gettato nuova luce sulla natura della censura sponsorizzata dal governo.

Ma secondo l’ex funzionario del Dipartimento di Stato Mike Benz, i documenti di Twitter graffiano appena la superficie, poiché il governo ha implementato un approccio basato sull’«intera società» per mettere a tacere il dissenso con il pretesto di combattere la «disinformazione». In realtà per Benz, «è un’industria della censura». Il suo scopo è proteggere i privilegi delle élite politiche e aziendali statunitensi e rivolgere il potere del governo federale contro gli americani, privarli dei loro diritti del Primo Emendamento e soggiogarli come una nazione sottomessa.

Benz spiega che il meccanismo che guida l’industria della censura ha le sue radici nella lotta contro il comunismo della Guerra Fredda. Ma ora, l’establishment al potere sta usando quegli strumenti di guerra politica al suo interno, contro quelli che definisce sprezzantemente come «populisti». In realtà, stanno prendendo di mira gli americani tradizionalmente conservatori, almeno metà del Paese, sempre più arrabbiati nel vedere i loro diritti costituzionali calpestati e il loro Paese degradato da un’élite sradicata.

Benz è direttore esecutivo della Foundation for Freedom Online (Ffo), un’organizzazione senza scopo di lucro che tiene traccia degli sforzi del governo per censurare gli americani. Ne abbiamo parlato diverse volte in Over the Target Live e nell’ultimo episodio si spiega che «l’intera società» è il «trucchetto dell’industria della censura, che dichiara che coopterà ogni istituzione nella società americana per strumentalizzarti e censurare le tue opinioni online».

L’intera società si riferisce a quattro diverse categorie di istituzioni all’interno della società, afferma Benz: «Il governo, il settore privato, la società civile e i mezzi di informazione».

Riguardo al governo, spiega: «Stiamo parlando delle agenzie statali per la sicurezza nazionale. Quindi questo significa tutto dal Pentagono, al Dipartimento di Stato e alla Cia, all’Fbi e al Dhs. E poi, su questioni di censura specifiche, hai anche l’appoggio di altre agenzie federali, come Hhs, Cdc, Nih, per la censura di cose come Covid».

Il settore privato comprende le stesse piattaforme tecnologiche, «così come i partner del settore privato che svolgono un ruolo di assistenza [attraverso, ndr] il finanziamento delle attività di censura».

La componente della società civile, spesso finanziata dal governo federale, è costituita da «college e università statunitensi, e da altre Ong, gruppi non governativi, che sono spesso strettamente legati al governo». Tra i loro contributi all’industria della censura, il mondo accademico e le Ong creano software di intelligenza artificiale utilizzati dalle piattaforme dei social media per identificare gli obiettivi della censura.

I media sono la quarta categoria. «Vanno e rilevano la disinformazione», afferma Benz, e di sono anche le «organizzazioni di controllo dei fatti che filtrano e segnalano» ciò che le piattaforme dei social media dovrebbero censurare.

Il rapporto più recente della Ffo riguarda il sostegno finanziario della National Science Foundation per l’industria della censura. Dall’inizio dell’amministrazione Biden, Nsf ha donato quasi 40 milioni di dollari a 42 università statunitensi per fermare la «disinformazione». Alcune delle sovvenzioni, secondo il rapporto Ffo, mirano esplicitamente a «politici populisti» e «comunicazioni populiste» per determinare «il modo migliore per contrastare le narrazioni populiste».

In altre parole, la Nsf sta usando i dollari dei contribuenti per rafforzare i Democratici censurando l’opposizione: per esempio «Sam Bankman-Fried ha versato 40 milioni di dollari di contributi ai Democratici nell’ultimo ciclo elettorale». Ciò ha reso il guru della criptovaluta caduto in disgrazia, il secondo più grande donatore individuale del partito.

La Nsf è stata a lungo uno «strumento vitale della ricerca del governo federale per il settore privato». «La maggior parte delle persone associa la National Science Foundation ai finanziamenti federali per l’ingegneria, l’aeronautica o l’informatica».

E decenni fa, quella ricerca ha contribuito al conflitto di quasi mezzo secolo tra l’America e l’Unione Sovietica. Ma c’era un’altra dimensione in quella lotta, molto meno discussa: la guerra politica. Alla fine degli anni ’40, Benz disse che la leadership statunitense aveva deciso di fare cose come «controllare lo spazio dell’informazione, le opinioni sociali, la leadership politica di praticamente ogni Paese sulla Terra che conta per noi. Altrimenti lo faranno i bolscevichi».

Gli Stati Uniti avevano chiaramente il sopravvento nello spazio dell’informazione, in gran parte perché avevano dominato a lungo i media, la radio e la stampa, e forse soprattutto l’industria cinematografica. Nel contesto della Guerra Fredda, lo scopo di promuovere la libertà di parola e gli ideali democratici all’estero, era quello di destabilizzare i regimi totalitari come l’Unione Sovietica. Secondo Benz, quell’equazione è valida ancora oggi: la libertà di parola destabilizza i regimi presi di mira.

Ed è per questo che l’apparato di sicurezza nazionale degli Stati Uniti ha abbracciato la rivoluzione del 21° secolo nella tecnologia dell’informazione. «Ai fini dell’insurrezione», afferma Benz, i funzionari statunitensi vedevano i social media «come uno strumento per il cambio di regime». Per mobilitare un’insurrezione, «potresti semplicemente creare un hashtag, potresti semplicemente pagare influencer di YouTube, potresti semplicemente creare gruppi di Facebook».

L’amministrazione Obama ha dispiegato proprio quegli strumenti per plasmare gli sconvolgimenti del 2011 in tutto il Medio Oriente, noti anche come Primavera Araba. Insieme alle Ong e ai media statunitensi e stranieri, la Casa Bianca ha rovesciato gli ex alleati Usa che aveva nel mirino, come il presidente egiziano Hosni Mubarak.

E poi l’establishment della sicurezza nazionale ha rivolto la sua attenzione all’arena domestica. Il modo per comprendere il consorzio di censura «dell’intera società», afferma Benz, è che i funzionari statunitensi che un tempo combattevano per lo spazio informativo all’estero, hanno puntato gli occhi sugli oppositori dell’amministrazione Biden. «Mentre la libertà di parola su internet è utile per il cambio di regime, la censura di internet è utile per la stabilizzazione del regime».

Per l’establishment, il 2016 è stato un campanello d’allarme. Ha percepito il voto sulla Brexit e poi l’elezione di Donald Trump come minacce esistenziali: «Gli addetti alla sicurezza nazionale così come gli agenti politici», temevano di «perdere il controllo».

In risposta, «hanno lanciato questa spinta dell’intera società per contrastare […] la ‘disinformazione’ o per contrastare il populismo come minaccia alla democrazia. Hanno pensato, […] “come possiamo versare decine di milioni di dollari, miliardi di dollari, in questo, al fine di creare questa enorme macchina dell’intera società, ben finanziata e ben oliata per censurare la nostra opposizione online”. Il risultato è l’intero consorzio di censura della società».

Quello che Benz chiama «dominio totale dell’informazione […] è il modo in cui crei uno Stato a partito unico, quando hai gli strumenti del governo federale usati dalla vecchia guardia al potere […] per fermare qualsiasi tipo di cambiamento al governo da parte degli elettori».

Il momento che gli americani stanno vivendo ora, afferma Benz, è quello che molti altri Paesi del mondo hanno vissuto nel 20° secolo: «Gli Stati Uniti stanno controllando i tuoi ecosistemi informativi, la tua leadership politica, la tua capacità di effettuare transazioni commerciali nella tua regione. Le persone a Boston stanno ora sperimentando ciò che hanno fatto le persone a Baghdad. Questo è ciò che si prova quando il governo degli Stati Uniti dispiega i suoi militari, la sua intelligence e i suoi soldatini nella società civile per fare un’operazione di controllo politico dell’intera società nella tua regione».

 

Lee Smith è un giornalista veterano il cui lavoro appare in Real Clear Investigations, Federalist e Tablet. È l’autore di «Il colpo di Stato permanente» e «Il complotto contro il presidente».

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente quelle di Epoch Times.

Articolo in inglese: The ‘Whole of Society’ Censorship Industry

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