Pubblicità e manipolazione mentale, dall’essere umano al consumatore

Quello che vogliamo dai media sono informazioni e intrattenimento. Ma anche i media vogliono qualcosa da noi. Se si vuol guardare un video o leggere un articolo online, probabilmente si è costretti a vedere un annuncio pubblicitario, e le grandi aziende pianificano cifre ingenti per fare in modo che siano visti.

Nel 2016 sono stati spesi 579 miliardi di dollari in pubblicità a livello globale: quasi il 5 percento in più rispetto all’anno precedente.

Secondo Isha Edwards, consulente di brand marketing ad Atlanta, gli annunci sono progettati in modo da suscitare in chi li guarda delle precise reazioni, il che rende ancora piu importante conoscere i media che stiamo utilizzando: «Giochiamo con il vostro sub-conscio – dice senza mezzi termini la Edwards – L’industria discografica, i film, la televisione… chiunque racconti qualcosa lo fa. Non tutti hanno cattive intenzioni […] ma dal punto di vista del marketing è una questione puramente tattica. Non stiamo semplicemente condividendo qualcosa, ci aspettiamo che voi reagiate in un determinato modo al nostro messaggio».

Questa è quella che i professoinisti di marketing chiamano call to action, un ‘comando’ sottile ma persistente che gli inserzionisti adoperano affinché la mente giunga a una determinata conclusione, la quale spesso non si rivela chiaramente nella mente del consumatore, ma si manifesta come una piccola propensione inconscia, una sottile simpatia o antipatia per certe cose.

La strategia chiave della call to action è la ripetizione: gli esperti di marketing sanno che più si è esposti a un messaggio, piu è probabile che vi si reagisca: «La gente non pensa che questi messaggi abbiano un impatto su di loro, ma in realtà ce l’hanno – spiega la Edwards – Quando un media fa passare senza sosta la stessa pubblicità, la vostra mente dirà: “l’ho vista sette volte quindi deve essere importante”. A quel punto, o la rifiuterete coscientemente, oppure direte: “Oh! ci sono saldi da Macy’s!”».

IL POTERE DEL BRAND

Gli archeologi hanno trovato i resti di alcune pubblicità risalenti a 3 mila anni fa, ma a quei tempi, anche nelle aree urbane, l’esposizione agli annunci pubblicitari era minima. Poster e graffiti che annunciavano eventi, mostravano merci o promuovevano candidati politici erano concentrati nelle zone altamente trafficate della città.

Oggi le pubblicità sono praticamente impossibili da evitare: gli esperti stimano che nei casi limite siamo esposti a 5 mila annunci pubblicitari al giorno [negli Usa, ndt]. Naturalmente, non siamo in grado di elaborare tutte queste informazioni, e una buona parte non la notiamo neanche. Ma la Edwards sostiene che anche gli annunci non consapevolmente registrati abbiano ugualmente impatto: «Il cervello è straordinario: assorbe ogni cosa» e «una buona parte [della pubblicità, ndr] agisce a livello subliminale, spesso non si sa di essere stati influenzati da quanto visto: si sente e ascolta finché questa influenza non si manifesta in maniera tangibile».

Uno studio del 2007 dello University College di Londra, ha dimostrato che le immagini subliminali attraggono effettivamente l’attenzione del cervello a livello subconscio; i risultati di questo studio hanno portato al divieto della pubblicità subliminale nel Regno Unito.

Gli inserzionisti sono perfettamente coscienti del fatto che questi messaggi abbiano un impatto sul cervello, e alcune tecniche innovative nel campo del neuromarketing adoperano gli smartphone e altra ‘teconologia indossabile’ per misurare la reazione del subconscio a determinati prodotti o messagi.
Questo è solo uno dei tanti strumenti impiegati per capire come catturare meglio la nostra attenzione: con così tante pubblicità che saturano il mercato, la lotta per essere visibili non è mai stata cosi feroce.
E questo è il motivo per cui le aziende dedicano cosi tanto impegno per costruire un marchio indelebile. Nel passato, il termine ‘marchiare’ si riferiva a utilizzare un ferro rovente per imprimere su persone, animali o oggetti un marchio che ne indicava il proprietario.
Oggi il termine ‘branding‘ è usato in senso figurato, per descrivere il processo di impressione di un messaggio nella mente: «Sappiamo che è necessario che venga visualizzato diverse volte (6 o 7) prima che il concetto o il brand si fissi nella mente di una persona» spiega Isha Edwards.

Una buona politica di branding può convincere a fare un acquisto, ma l’obbiettivo finale del branding è forgiare una relazione duratura con i consumatori. Se il collegamento emotivo perdura, il consumatore sarà per sempre devoto al prodotto.
Il branding che funzionava per i nostri genitori o nonni appare grezzo e antiquato se valutato con gli standard attuali: oggi, gli annunci pubblicitari per imprimersi devono essere piu divertenti, sessualmente ammiccati e facilmente riconoscibili, per essere notati in mezzo alla crescente marea di messaggi che competono per catturare l’attenzione del consumatore.

Gli spot attuali hanno spesso contenuti bizzarri che non hanno alcuna relazione con il prodotto pubblicizzato. Può sembrare stupido, ma il marketing è efficace se è capace di far ricordare il brand. Un caso emblematico è quello del personaggio ibrido cucciolo-scimmia-bambino utilizzato dalla Mountain Dew nello spot del Super Bowl 2016, che attualmente ha totalizzato oltre 28 milioni di visualizzazioni su YouTube.

DIFENDERE LA MENTE

La pubblicità è di vitale importanza per le aziende, poiché consente di trasmettere il proprio messaggio ai consumatori, ma la Edwards dice che potrebbe essere fatta in maniera migliore: è una sostenitrice del ‘marketing responsabile’, e crede che gli inserzionisti, invece di ricorrere a giochi mentali e nascondere le proprie intenzioni, dovrebbero impegnarsi per descrivere i prodotti in maniera onesta e accurata; e che dovrebbero essere particolarmente cauti nel marketing rivolto ai bambini.

Ma non si tratta soltanto della pubblicità in senso stretto: anche altre forme di media possono adottare tattiche di persuasione, perché quando un messaggio viene racchiuso in forme mediatiche dedicate all’intrattenimento, è piu facile che il pubblico lo accetti. «Il cinema americano è il piu grande e inconsapevole veicolo di propaganda nel mondo» scriveva infatti Edward Louis Bernays, il padre delle moderne tattiche pubblicitarie, nel suo libro del 1928 intitolato ‘Propaganda’.

Finchè i media non cambieranno in meglio, la Edwards suggerisce a tutti di diventare piu consapevoli delle impressioni che lasciano nella mente. Il metodo piu efficace è limitare i contenuti che si consumano, e riflettere regolarmente su quello in cui si crede veramente; insomma una sorta di consapevolezza mediatica, in cui più si diventa coscienti del messaggio ipnotico che stimola i propri desideri, più diventa facile rompere l’incantesimo.
La Edwards lo chiama ‘proteggere la mente’: «Si può fare la scelta un po’ estrema di non avere la televisione oppure di abbonarsi unicamente a canali che si considerino onesti, di qualità e imparziali».

Altri esempi di protezione della mente sono poi l’evitare film, video o musica che inneggiano alla violenza, alla misoginia o ad altre tendenze malsane, cosi come scegliere marche che sostengono la comunità e promuovono un’immagine positiva di sé: «Si tratta di proteggere quello che accade nella propria psiche».

COME SI E’ ARRIVATI A QUESTO PUNTO

Cosa alimenta questa crescente campagna per catturare i nostri cuori, menti e portafogli? La storia ci rivela che all’opera c’è qualcosa di piu delle sole forze di mercato.

Ai vecchi tempi, le pubblicità erano piuttosto essenziali: una semplice descrizione dei beni e servizi. Ma nel 1920 tutto è cambiato: Edward Bernays, ispirato dalle ricerche di suo zio Sigmund Freud, si servì della psicologia per sviluppare una nuova strategia di marketing che mirava a influenzare il subconscio; chiamò questa strategia ‘ingegneria del consenso’: in sostanza, una forma di ipnosi di massa. Contemporaneamente, nasceva anche il consumismo di massa, un modello economico in cui la gente compra le cose non solo per necessità, ma per piacere, prestigio, o persino per ribellione.

Bernays ha realizzato la sua prima campagna pubblicitaria strategica nel 1929: i proprietari della marca di sigarette Lucky Strike stavano cercando da tempo di conquistare il mercato femminile, ma all’epoca fumare era considerato un tabù per una donna rispettabile; cosi chiesero aiuto a Bernays, che ingaggiò delle giovani donne e diede loro delle sigarette da accendere platealmente durante la sfilata di Pasqua di New York del 1929. E informò in anticipo la stampa, presentando l’evento come una coraggiosa dimostrazione di emancipazione femminile, riferendosi alle sigarette come «Torce della libertà». L’indomani la notizia venne pubblicata a livello nazionale e da quel momento il numero delle fumatrici crebbe costantemente.
Oggi potremmo considerarla una trovata pubblicitaria, ma al tempo provocò un profondo cambiamento culturale. Non a caso la rivista Life ha inserito Bernays nella lista dei 100 uomini americani piu influenti del XX secolo.

DA CITTADINI A CONSUMATORI

In passato i pensieri e le azioni delle persone derivavano generalmente dall’ambiente familiare, dalla tradizione e dal mondo naturale. Nel XX secolo, invece, la pubblicità ha iniziato ad avere una forte influenza sociale, e ha trasformato dei cittadini che pensavano in maniera indipendente in consumatori con sogni e desideri plasmabili.

Dopo la Rivoluzione Industriale, le nuove tecnologie hanno reso possibile la nascita della produzione di massa, ma non bastava: affinchè il modello economico industriale funzionasse al meglio, era necessario un pubblico uniforme e prevedebile.

Sempre nel libro Propaganda, Bernays sostiene che le masse debbano essere guidate da un «governo invisibile» al fine di garantire la stabilità sociale; nella fattispecie, sfruttando i desideri inconsci descritti da Freud, Bernays ha dimostrato che controllare le masse può essere piuttosto facile: «Siamo dominati: la nostra mente plasmata, i nostri gusti formati, le nostre idee suggerite, in gran parte da persone di cui non sappiamo nulla».
Nella sua visione, Bernays immaginava dei «saggi» superiori che controllassero lo sviluppo della società per il bene delle masse; ma all’atto pratico le cose sono andate diversamente: le tecniche di Bernays sono state usate da chiunque avesse dei secondi fini per plasmare l’opininione pubblica.
Incluso lo stesso Bernays, che negli hanni Trenta lanciava una campagna pubblicitaria descrivendo le sigarette come un ottimo sistema per lenire il mal di gola e mantenersi in forma, sebbene fosse ben cosciente che erano già emerse le prime prove dei danni che il fumo provoca alla salute (e infatti, scoraggiava l’inclinazione al fumo di sua moglie).

Anche la propagnanda del ministro nazista Joseph Goebbels si ispirò ampiamente ai lavori di Bernays; e il presidente americano Franklin Delano Roosevelt, aveva valutato la possibilità di assumere Bernays per ‘vendere’ al pubblico americano la Seconda Guerra Mondiale, ma il giudice della Corte Suprema Felix Frankfurter lo convinse a non farlo: in una lettera indirizzata al presidente, il giudice descrisse Bernays e i suoi colleghi come «avvelenatori professionisti della mente umana, che per conseguire i propri obiettivi fanno leva sull’irrazionalità, sul fanatismo e sull’egoismo delle persone».

Articolo in inglese: Advertising Overload: Guarding Your Mind in the Age of Consumption

Traduzione di Marco d’Ippolito

 
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