La complessa etica dei prezzi nelle carestie

Ogni volta che avviene un disastro, lo schema si ripete. Che si tratti di un uragano, di un incendio o di una pandemia, portano con sé una nuova serie di lamentele a riguardo dei mercanti che creano «sovrapprezzi».

E, prevedibilmente, ogni volta che tali lamentele appaiono, ci sono anche le repliche di un’ondata di opinioni degli economisti che difendono l’aumento dei prezzi in quanto metodo efficiente per razionare la domanda in eccesso e incentivare l’aumento dell’offerta.

La risposta degli economisti è convincente, ma lascia la maggior parte delle persone indifferenti. Per quanto efficiente, la maggior parte delle persone pensa ancora che il cambio dei prezzi sia profondamente immorale.

A quanto pare, la questione di cosa renda giusto un prezzo, è stata dibattuta dai filosofi morali fin dai tempi degli antichi greci. E mentre questi dibattiti forniscono un certo sostegno alla moderna condanna del sovrapprezzo, le questioni etiche in questione si rivelano essere molto più complicate di quanto la maggior parte della gente apprezzi.

Una delle prime teorie sul giusto prezzo era stata descritta nell’antica Grecia da Aristotele. Aristotele pensava che uno scambio giusto comportasse una sorta di uguaglianza. Scambiare in modo equo con un’altra persona significa rinunciare a qualcosa di valore uguale a quello che si ottiene. Il valore di una cosa, a sua volta, è in funzione del bisogno che soddisfa: una casa ha un valore più alto di un libro, perché la casa soddisfa un bisogno più grande. E il bisogno, a sua volta si misura approssimativamente in base alla quantità di denaro che si è disposti a pagare per essa.

Circa 1.500 anni dopo, San Tommaso d’Aquino ha fatto un passo avanti rispetto ad Aristotele. Se il valore è una funzione del bisogno, e il denaro è il meccanismo per misurare e confrontarlo, allora il prezzo giusto equivale al prezzo di mercato: il prezzo che emerge dall’elaborazione dei bisogni delle varie persone che competono nel mercato. E come il prezzo di mercato varierà da un luogo all’altro e di volta in volta secondo le considerazioni della domanda e dell’offerta, così farà anche il giusto prezzo.

La conclusione che il prezzo giusto sia quello di mercato – una conclusione che è stata la comprensione dominante del prezzo giusto in tutta la storia – non significa che tutto vada bene. D’Aquino, per esempio, pensava che se si ha un bene di cui qualcun altro ha disperatamente bisogno, ma di cui il proprietario potrebbe facilmente fare a meno, è sbagliato alzare il prezzo per approfittarsene.

Circa 400 anni dopo, John Locke ha preso una simile posizione, ma, curiosamente, nonostante lui pensasse che sarebbe stato sbagliato approfittare della disperazione di particolari acquirenti, riteneva però che un prezzo giusto potesse e dovesse riflettere la crisi del mercato nel suo complesso. Scrisse: Se c’è una carestia a Dunkerque, ma non a Ostenda, allora è moralmente ammissibile vendere grano a un prezzo più alto a Dunkerque che a Ostenda.

La posizione di Locke potrebbe sembrare insensibile, ma si basa su una preoccupazione umanitaria per garantire che la gente ottenga ciò di cui ha bisogno per sopravvivere in tempi difficili. Costringere i venditori a vendere allo stesso prezzo in caso di carestia, potrebbe significare che gli acquirenti della città colpita dalla carestia finiscano per non avere nulla, perché la merce venduta a meno del prezzo di mercato verrebbe subito presa dagli scaffali e accumulata, o rivenduta sul mercato secondario.

Impedire l’aumento dei prezzi non serve a risolvere il problema della scarsità di fondo che ha causato l’aumento stesso.

Che cosa dire di tutto questo e dei dibattiti contemporanei sul sovrapprezzo? Da un lato, naturalmente è sbagliato utilizzare le sofferenze del prossimo come un’opportunità per il proprio guadagno, e dall’altro, un sistema di prezzi di mercato che rifletta accuratamente le condizioni della domanda e dell’offerta gioca un ruolo vitale nel promuovere il benessere umano, proprio per le ragioni che portano certi economici contemporanei a criticare le leggi anti-sovrapprezzo.

Alla fine, non bisogna necessariamente scegliere da che parte stare. Gli economisti hanno probabilmente ragione quando affermano che le leggi che vietano questi aumenti dei prezzi sono sbagliate e possono produrre conseguenze dannose e indesiderate, ma anche i critici hanno in parte ragione.

Solo perché si ha il diritto di far pagare un prezzo elevato non significa che sia sempre la cosa giusta da fare. Determinare quando lo è, e quando non lo è, è una decisione difficile e dipende dal contesto. In altre parole, non è proprio il tipo di questione che si risolve al meglio con l’ottuso strumento della regolamentazione legale.

 

 

Matt Zwolinski è professore di filosofia all’Università di San Diego e direttore del Centro per l’etica, l’economia e le politiche pubbliche dell’Usd. È un collaboratore della rivista trimestrale dell’Independent Institute The Independent Review.

Le opinioni espresse in quest’articolo sono quelle dell’autore e non riflettono necessariamente quelle di The Epoch Times.

 

Articolo in inglese: The Complicated Ethics of Price Gouging

 
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