Perché il virus del Pcc si è diffuso tra la famiglia reale saudita?

Si ritiene che ben 150 membri della famiglia reale di Al Saud, che governa l’Arabia Saudita, abbiano contratto il virus del Pcc, o nuovo coronavirus.

L’8 aprile, infatti, il New York Times ha riferito che anche il nipote del re Salman, il principe Faisal bin Bandar bin Abdulaziz Al Saud, è stato ricoverato in terapia intensiva a causa delle complicazioni da Covid-19. Il principe Faisal è  il governatore della regione di Riyadh.

L’articolo editoriale di Epoch Times, Il Covid-19 ‘segue’ i Paesi amici della Cina comunista, analizza i possibili collegamenti tra i Paesi più colpiti e le strette relazioni che hanno con il Pcc.

A proposito di collegamenti con il Pcc, il 3 febbraio, il Ministero degli Affari Esteri cinese ha rilasciato una dichiarazione: «Il principe Faisal bin Farhan Al Saud ha espresso il suo sostegno agli sforzi della Cina contro l’epidemia da coronavirus». L’elogio del principe Faisal è arrivato in un momento in cui il regime era fortemente sospettato di coprire la gravità dell’epidemia.Poco dopo, l’agenzia di stampa cinese Xinhua News Agency ha riferito che il 6 febbraio, durante una telefonata con il leader cinese Xi Jinping, il re Salman bin Abdulaziz Al Saud ha elogiato gli sforzi di Pechino nel combattere l’epidemia.

Il 28 marzo Xinhua ha riferito che Re Salman si è congratulato con il regime cinese per aver contenuto l’epidemia, affermando che l’Arabia Saudita e la Cina sono amici e resteranno uniti nella buona e nella cattiva sorte.

Un partenariato strategico globale

L’Arabia Saudita e il regime cinese hanno forti legami economici.

Alla luce del fatto che il petrolio è un importante materiale strategico per l’energia e la sicurezza, l’Arabia Saudita gode infatti di uno status strategico unico e significativo per il Partito Comunista Cinese (Pcc).
L’Arabia Saudita è infatti il più grande produttore ed esportatore di petrolio del mondo, mentre la Cina, che è il più grande importatore di petrolio del mondo, importa il 70 per cento del greggio che raffina e quasi la metà del suo consumo di gas naturale.

Nel gennaio 2016, durante il tour di Xi Jinping in tre nazioni nel Medio Oriente, la Cina e l’Arabia Saudita hanno deciso di rafforzare i loro legami bilaterali e di trasformarli in una partnership strategica globale, concordando di costruire una stabile cooperazione a lungo termine in materia di energia, e uno sforzo congiunto nello sviluppo della Banca asiatica per gli investimenti infrastrutturali (Aiib) avviata dalla Cina. Sono stati inoltre firmati una serie di accordi di cooperazione che riguardano settori quali l’energia, le comunicazioni, l’ambiente, la cultura, la scienza e la tecnologia.

Il regime comunista cinese riconosce inoltre l’Arabia Saudita come partner commerciale chiave della sua Iniziativa per la via della seta (Bri, nota anche come One Belt Road).

Come indicato da Forbes, «Non ci vuole un esperto di geopolitica dell’Eurasia per notare che molti dei Paesi che hanno ricevuto finora finanziamenti dall’Aiib sono integrati lungo la via della seta (Bri) della Cina».

Nel marzo 2017, Re Salman ha cementato i legami con Pechino, supervisionando la firma di accordi per un valore di 65 miliardi di dollari (58 miliardi di euro), che riguardano tutto, dall’energia allo spazio.

Un comunicato ufficiale pubblicato sull’agenzia di stampa dello stato saudita Spa, specificava che i documenti includevano un memorandum d’intesa (Mou) per la partecipazione del regno alla missione lunare Chang E-4 della Cina e un accordo di partnership per la produzione di droni.

Il 7 dicembre 2018, il razzo Long March-2d che trasporta due satelliti per l’Arabia Saudita, è stato lanciato dal Jiuquan Satellite Launch Center nel nord-ovest della Cina.

Nel febbraio 2019, l’Arabia Saudita e la Cina hanno concluso il «Saudi-Chinese Investment Forum» con accordi di cooperazione economica bilaterale congiunta. Gli accordi da 28 miliardi di dollari (25 miliardi di euro) sono stati approvati dal principe ereditario saudita Mohammed bin Salman bin Abdulaziz Al Saud durante la sua visita a Pechino.

Il ministro saudita dell’Energia, dell’industria e delle risorse minerarie Khalid bin Abdulaziz Al-Falih è stato intervistato dalla Xinhua a Dhahran il 15 febbraio 2019. Il ministro saudita ha espresso fiducia nella profonda integrazione tra la Visione 2030 dell’Arabia Saudita e la Bri della Cina.

Nel novembre 2019, l’Agenzia di stampa saudita ha comunicato che entrambi i Paesi hanno tenuto un’esercitazione navale congiunta nel Mar Rosso, mirante a «costruire la fiducia reciproca, a rafforzare la cooperazione tra la Marina Reale saudita e la Marina del Popolo cinese, e a scambiare e sviluppare esperienze nel campo del terrorismo marittimo e della pirateria».

La Via della Seta

Secondo il report di Oxford Business Group, l’Arabia Saudita è il quarto Paese con il più alto numero di progetti legati al Bri per volume (106) e il secondo per valore (195,7 miliardi di dollari).

Il 14 febbraio 2019 Powerchina, il più grande Epc contractor cinese in Arabia Saudita, si è aggiudicato la gara per il progetto di costruzione del monitoraggio stradale in Arabia Saudita, che prevede principalmente la costruzione di oltre 6.600 punti di monitoraggio e 145 piccole stazioni base all’interno della capitale Riyadh.

Il 22 febbraio 2019, la società statale Saudi Aramco ha firmato un accordo per la costituzione di una joint venture con il conglomerato cinese Norinco per lo sviluppo di un complesso di raffinazione e petrolchimico nella città di Panjin, per un valore di oltre 10 miliardi di dollari (9 miliardi di euro).

Il 24 febbraio 2019, la National Housing Company (Nhc) dell’Arabia Saudita e la China State Construction Engineering Corporation (Cscec) hanno siglato un accordo da 666,7 milioni di dollari (600 milioni di euro) per la costruzione di oltre 5.000 unità abitative a Riyadh.

La Saudi Arabian General Investment Authority (Sagia),ha comunicato che il 27 febbraio 2019, l’Arabia Saudita e la Cina hanno firmato 35 memorandum d’intesa (Mou) per un valore di oltre 28 miliardi di dollari (25 miliardi di euro). Gli accordi sono stati concordati al Saudi-China Investment Forum di Pechino, al quale hanno partecipato il principe Mohammed bin Salman bin Abdulaziz Al Saud e diversi altri ministri di alto livello, tra cui Khalid al-Falih, ministro dell’energia del regno.

L’Arabia Saudita accoglie Huawei

Nel 2018, la Saudi Telecom Company (Stc) ha accettato di implementare la rete 5G con l’equipaggiamento Huawei, aprendo ufficialmente il suo primo showroom di punta a Riyadh nel gennaio 2019, il più grande avamposto del Medio Oriente.

Nel febbraio 2019, la Saudi Telecom Company ha firmato il contratto «Aspiration Project» con Huawei, che prevede la modernizzazione della rete wireless E2e e la costruzione della rete 5g.

Nell’ottobre 2019, Zain Ksa, uno dei principali gruppi di telecomunicazioni nella regione del Medio Oriente e primario operatore nel settore delle telecomunicazioni dell’Arabia Saudita, ha lanciato i servizi 5g in tutto il paese attraverso la sua rete 5g alimentata da Huawei.

Secondo quanto riferito, la prima fase di lancio della vasta rete 5g di Zain ha coperto più di 20 città dell’Arabia Saudita. È stata supportata da 2.000 torri 5g, il che la rende la più grande rete 5g della regione, includendo anche numerosi settori, come quello finanziario, agricolo, turistico, dell’intrattenimento, dell’auto, della salute e dell’istruzione.

Il 28 ottobre 2018, Zain Group è stato selezionato da Huawei per diventare un partner strategico nell’offerta di servizi «Huawei Cloud» in Kuwait e in tutta la regione del Medio Oriente e del Nord Africa (Mena).

L’Arabia Saudita apre l’Istituto Confucio

Il 10 giugno 2019, la prestigiosa King Saud University (Ksu) ha accettato di costruire un Istituto Confucio nel campus. La decisione saudita e i legami con l’istituto sono arrivati in un momento in cui molti Paesi e università hanno chiuso l’agenzia. Dal luglio 2019, almeno tredici università americane, tedesche, francesi, svedesi e canadesi, hanno interrotto la loro collaborazione con gli istituti.

Gli Istituti Confucio sono considerati come lo strumento della Cina comunista per sviluppare il suo soft power all’estero e condurre operazioni di spionaggio.

Il 27 febbraio 2019, la sottocommissione permanente per le indagini della commissione statunitense per la sicurezza interna e gli affari governativi, ha pubblicato un report bipartisan, dove si afferma che gli Istituti Confucio sono finanziati e controllati dal regime cinese e dimostrano una mancanza di trasparenza e di reciprocità con gli Stati Uniti.

Il presidente della sottocommissione britannica per gli affari esteri Tom Tugendhat ha pubblicato un articolo sul Daily Mail in cui scrive: «La verità è che la pandemia da coronavirus ha rivelato ciò che molti di noi sanno da anni – che la nostra dipendenza economica dalla Cina e l’inchinarsi al suo governo ha un prezzo molto alto».

 

Le opinioni espresse in quest’articolo sono quelle dell’autore e non riflettono necessariamente quelle di Epoch Times.

 

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Articolo in inglese: Perspectives on the Pandemic: Why Is the CCP Virus Widespread Among the Saudi Royal Family?

 
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