Perché il Russiagate americano è in realtà un nuovo Watergate

L’indagine dell’Fbi sui consiglieri della campagna elettorale di Trump può essere paragonata allo scandalo del Watergate, nel senso che è stata un’irruzione  ̶  di tipo elettronico  ̶  per frugare nell’apparato delle comunicazioni della campagna. A sostenerlo è il giornalista investigativo Lee Smith.

Smith, membro esperto dell’istituto conservativo ‘Hudson’, ha di recente pubblicato il libro The Plot Against the President [Il complotto contro il presidente, ndt], che sostiene la tesi secondo cui il personale della campagna presidenziale dell’ex segretario di Stato Hilary Clinton avrebbe chiesto all’Fbi di spiare la campagna del suo avversario Donald Trump, al fine di danneggiarla.

Il giornalista sostiene inoltre che il governo Obama abbia condotto un’operazione contro Trump, probabilmente già da fine 2015, ovvero molto prima che l’Fbi aprisse ufficialmente la sua indagine di controspionaggio il 31 luglio 2016. Dopo le elezioni, spiega Smith, l’operazione ha cambiato marcia, e da allora si è concentrata sul cancellare il risultato delle elezioni.

Le origini del dossier

Una parte del lavoro di Smith ha provato a cercare di ripercorrere le origini del dossier ‘Steele’, una raccolta di affermazioni non comprovate secondo cui Trump avrebbe collaborato con la Russia per influenzare le elezioni.

Si ritiene che il dossier sia stato creato dall’ex spia britannica Christopher Steele, che ha ricevuto un compenso in denaro per questo lavoro – tramite intermediari – dalla campagna della Clinton e dal Comitato Nazionale Democratico (Dnc).
Il dossier è stato utilizzato dall’Fbi per ottenere un mandato di spionaggio dalla Fisa sull’ex consigliere della campagna Carter Page; un evento che, dopo essere stato revisionato dal Dipartimento di Giustizia, si è tramutato in un’indagine penale.

Smith ritiene che il dossier non sia stato effettivamente scritto da Steele, ma che sia stato frutto di uno sforzo collettivo per conto della campagna della Clinton: «Abbiamo invertito l’ordine, no? Di solito si inizia con persone che sanno come scrivere qualcosa, come scrivere un documento per ottenere un mandato di spionaggio  ̶  ha affermato  ̶  E non è che viene fuori dal nulla da Christopher Steele, che ha trovato tutte queste cose meravigliose e deve andare dall’Fbi. È il contrario».

Dal punto di vista di Smith, Steele ha svolto la funzione di un ‘venditore’, che si è servito della reputazione costruita attraverso il suo precedente lavoro con l’Fbi, per commercializzare il dossier all’ufficio così come alla stampa. Il giornalista ha inoltre suggerito che l’Fbi stessa potrebbe aver svolto un ruolo nella composizione del dossier.

Smith ha fornito l’esempio di Vladimir Trubnikov, un ex direttore dell’intelligence russa, che è stato presumibilmente una delle fonti di Steele. Trubnikov è stato, in effetti, una fonte per Stefan Halper, un professore di Cambridge che era stato di fatto scoperto come informatore dell’Fbi, usato per curiosare sui consiglieri della campagna di Trump.

Halper ha indicato Trubnikov come fonte di un documento che aveva preparato per un think tank segreto del Dipartimento della Difesa nel 2015-2016. Il professore ha anche invitato Trubnikov a insegnare al Seminario sull’Intelligence (Cis) di Cambridge almeno due volte — nel 2012 e nel 2015 — e Trubnikov  ha accettato entrambe le volte, secondo quanto si apprende da una causa per diffamazione intentata contro Halper da Svetlana Lohkova, una partecipante al Cis.

Secondo la Lohkova, una storica di origine russa che vive nel Regno Unito, Halper ha raccontato bugie ai media, quando aveva raccontato che lei si fosse avvicinata all’ex consulente di Trump, il tenente generale Michael Flynn, e lo avesse coinvolto in una relazione per conto dell’intelligence russa.

Michael Flynn

Secondo Smith, il dipingere Flynn – un veterano dell’esercito con trent’anni di esperienza ed ex capo dell’Agenzia di Intelligence per la Difesa – come una persona compromessa dai russi, ha giocato un ruolo di maggiore rilievo nell’operazione anti-Trump.

La ragione principale è che Flynn ha parlato di riformare l’intelligence americana, afferma Smith: «Il generale Flynn voleva scoprire cosa stesse facendo la comunità dell’intelligence: fino a che punto servisse il popolo americano e fino a che punto stesse riempiendo il proprio portafoglio e soddisfando i propri desideri e fantasie politiche, e se volevano vedere la burocrazia prendere forma a nome dei loro interessi, e non a nome del popolo americano».

Flynn è arrivato al punto di dare seguito a un audit della comunità dell’intelligence: «Flynn intendeva chiedere al servizio di intelligence, e a tutte le centinaia di persone al suo servizio, le dimissioni», afferma Smith.
Questo non significa necessariamente che i funzionari sarebbero stati licenziati, fa notare, «ma avrebbero dovuto giustificare quello che stavano facendo, e molti di loro non ce l’avrebbero fatta».

«Vediamo, quindi, quanto sia stato importante per queste persone il fatto che il generale Flynn sia stato stanato e allontanato; al contrario, vediamo anche quanto sia stato importante il lavoro del generale Flynn».

Flynn è stato uno dei consiglieri di Trump indagati dall’Fbi per una presunta collusione con la Russia. Si è dichiarato colpevole il 30 novembre 2017, e colpevole di aver mentito all’Fbi, ma recentemente è passato a un’offensiva legale e presenterà una mozione per chiedere a un giudice federale di archiviare il caso contro di lui, secondo quanto ha affermato il suo avvocato Sidney Powell in una recente audizione in tribunale.

Powell ha accusato il governo di aver sottratto delle informazioni di carattere divulgativo a Flynn, e di non avere una ragione adeguata per indagare su di lui. I pubblici ministeri non erano d’accordo.

Nuovo sguardo alla comunità dell’intelligence

Smith crede che l’operazione anti-Trump stia fondamentalmente colpendo le agenzie di intelligence statunitensi: «Non vedo come la comunità dell’intelligence possa uscirne fuori. Dovrà essere fatta una profonda e approfondita rivalutazione del ruolo che la comunità dell’intelligence dovrebbe svolgere», ha affermato.

«Certamente, nessun americano vuole essere governato dalla comunità dell’intelligence. Non vogliamo essere governati da funzionari non eletti. Né essere da questi spiati. E non vogliamo neanche che dei burocrati non eletti cerchino di eliminare il presidente che è stato eletto dal pubblico americano».

Coinvolgimento dei media

Per Smith, la maggior parte dei media sono complici dell’operazione, o persino indispensabili per essa. Divenendo parte attiva nel divulgare quella che Smith chiama la ‘teoria della cospirazione’ della collusione tra Trump e la Russia, la stampa ha causato gravi danni alla sua stessa credibilità e sopravvivenza: «È un evento che potrebbe portare alla loro estinzione», ha concluso.

 

Articolo in inglese: Russia Probe Was Watergate-Like Breach of Trump Campaign, Investigative Journalist Says

 
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