Pennetta: «C’è tempo per smettere»

Prima del via alla nuova stagione, è stata intervista una protagonista del tennis italiano e mondiale. Flavia Pennetta è stata la prima donna ad entrare nella top ten delle tenniste più forti al mondo, il 25 febbraio compirà 33 anni ma non ha nessuna intenzione di smettere di rincorrere sogni ed ambizioni. Dopo tanti infortuni è tornata a scalare la classifica WTA e ha messo in bacheca il trofeo più prestigioso della sua carriera. 

Sei tornata n°1 d’Italia e 12 del mondo, dopo 5 anni, e vinto un Premier Mandatory. Tutta la tua carriera racconta che i picchi più alti li hai raggiunti quando sembrava avessi toccato il fondo. Possiamo dire che non ti piacciono le cose semplici?

Sarebbe troppo facile altrimenti. Scherzi a parte non c’è cosa più bella e più soddisfacente di tornare a raggiungere certi risultati dopo un periodo nero, quando veramente in pochi avrebbero più puntato su di te.

Dopo la vittoria in California hai faticato un pò, poi agli US Open, come spesso accade, la ripresa. Questa discontinuità di risultati è stata frutto di un comprensibile appagamento?

Non mi sento mai appagata, altrimenti non continuerei a faticare, allenarmi e partecipare a tornei. Possiamo dire che si tratta di semplici alti e bassi che fanno sempre parte di una stagione lunga e così intensa come quella del circuito Wta.

Agli US Open hai messo per quattro giochi alle corde Serena Williams, che solo giocando il suo miglior tennis si è tirata fuori dai guai. Quello dell’americana è uno dei pochi scalpi prestigiosi che ti mancano. Nessuna italiana contro le top players vanta i tuoi numeri. Cosa significa poter dire di aver battuto spesso e volentieri le più forti al mondo?

Oltre a una naturale soddisfazione personale, è la dimostrazione che il lavoro svolto è stato portato avanti bene. Serena è Serena, per vincere contro di lei bisogna non commettere un solo piccolo errore e sperare che lei non sia al meglio della condizione: partita perfetta, più un pò di fortuna.

Al contrario, ti è capitato di uscire sconfitta da tenniste di bassa classifica. Lo stesso  capita spesso a Camila Giorgi. C’è un motivo, secondo te? Affrontare le top players comporta stimoli maggiori?

Non credo, a questi livelli bisogna sempre entrare in campo ed affrontare le avversarie come se fossero tutte delle top players, altrimenti si rischia molto facilmente di prendere delle brutte imbarcate. Nel tennis non basta mandare la palla dall’altra parte della rete.

Tennisticamente parlando sei un’italiana ‘anomala’: il veloce è la tua superficie, i risultati, di assoluto spessore, dicono sia la racchetta migliore di sempre sul cemento. Sulla terra battuta invece, nonostante i sette Wta vinti, manca un grande risultato. È solo un caso?

Si, in Italia siamo terraioli per definizione, come gli spagnoli. Mi alleno su questa superficie da sempre ma non so darti una motivazione sul perchè. Il veloce mi piace molto e negli anni mi ha dato grandi soddisfazioni. Forse sono la miglior racchetta di sempre perché la mia Wilson è la miglior racchetta di sempre…

Tutti aspettano Camila Giorgi e cercano certezze in Sara Errani, ma a fine 2014  eri ancora tu la tennista n°1 d’Italia. Cosa c’è dietro alle veterane?

La volontà di non accontentarsi mai e di voler continuare a fare sacrifici, giocare e togliersi altre soddisfazioni. Insieme abbiamo creato un gruppo fantastico che ci ha portato ai più alti risultati in Fed Cup, ma sono sicura che presto arriveranno soddisfazioni anche dalla nuova generazione.

Il famoso selfie, dove quasi confessavi la liason con Fabio Fognini, alzò un polverone: si parlò più del gossip (in Italia siamo esperti in materia, ahinoi) che della vittoria ad Indian Wells. Una cosa fatta con spontaneità sicuramente da parte tua, ma che forse nell’era dei social è stata un pò controproducente, che ne pensi?

Le solite esagerazioni, si è trattato semplicemente di una foto. In fondo siamo ragazzi normali, come tutti i nostri coetanei.

Rifaresti la stessa cosa?

Certamente. Non ci ho trovato nulla di ‘sporco’, sbagliato.

Nel tennis capita che i giudici di gara sbaglino, ma al termine dell’incontro tutto finisce, nel calcio non accade e gli animi restano accesi per settimane. Una questione di mediaticità dello sport o anche di mentalità di chi lo pratica?

Sicuramente la mentalità e il modo in cui si è stati abituati fin da piccoli non può non incidere. L’educazione allo sport è di fondamentale importanza per lo sviluppo di un futuro professionista, la pressione mediatica ci sarà sempre e chi più chi meno dovranno affrontarla tutti. Anche per questo bisogna allenarsi.

Nell’estate del 2013 hai detto di pensare al ritiro, dicesti: «Per come sono fatta e per la mia storia, non penso sia giusto giocare certi tornei». Quanta voglia hai ancora?

Tanta ma veramente tanta, altrimenti non sarei arrivata cosi al termine di questa stagione.

E poi… farai la mamma?

E poi… vedremo.

Un desiderio sportivo per il 2015?

Sicuramente riuscire a continuare a giocare il mio miglior tennis, se così sarà non potrò avere rimpianti. Mi piacerebbe togliermi qualche altra soddisfazione nel doppio, visto l’affiatamento e la complicità che si è instaurata con Martina [Hingis ndr].

E un desiderio non sportivo…?

Nel cassetto ce ne sono tanti, ma se li dico poi non si avverano…

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