Pechino, i social media e la propaganda globale

Di Bowen Xiao

Le piattaforme dei social media sono gli strumenti principali utilizzati dal Partito Comunista Cinese (Pcc) nell’ambito della sua campagna globale di disinformazione che mira a manipolare la storia della pandemia a proprio favore.

I media statali cinesi stanno pubblicando innumerevoli articoli – che spesso diffondono false teorie del complotto sul virus del Pcc o incolpano gli Stati Uniti – su Facebook e Twitter. Allo stesso tempo, un numero considerevole di diplomatici cinesi sta attivamente ‘postando’ sui propri account social media le versioni dei fatti approvate dallo Stato.

Negli ultimi giorni, i media gestiti dallo Stato stanno inoltre incentivando gli hashtag «Trump Pandemic» e «Trump Virus» sui social media, e alcuni negli Stati Uniti stanno seguendo il loro esempio. La spinta propagandistica ha suscitato la preoccupazione dei legislatori statunitensi di entrambe le fazioni, secondo i quali una tale campagna non è solo disonesta, ma anche pericolosa.

Per verificare se le aziende Twitter e Facebook fossero a conoscenza della campagna di disinformazione, di come la stavano contrastando o se avessero intenzione di farlo, Epoch Times li ha contattati, ma non ha ricevuto risposta.

Walter Lohman, direttore del Centro Studi Asiatici della The Heritage Foundation, ha dichiarato che gli Stati Uniti dovrebbero essere scettici nei confronti di qualsiasi informazione o numero proveniente dal Pcc, perché i dati sono «politicamente molto sensibili», il che li rende inaffidabili: «Si vede chiaramente che la Cina si trova in una lotta a lungo termine per l’influenza politica, che precede la pandemia del coronavirus, e continuerà a lungo dopo la sua risoluzione».

La spinta alla disinformazione – che prende sempre più di mira gli Stati Uniti ma non solo – è una tattica comune usata dal Pcc come parte della sua più ampia strategia globale. I ‘bot’ del Pcc hanno anche brulicato su Twitter per difendere il regime comunista, attaccare gli Stati Uniti e fare da pappagallo a queste voci di propaganda. Il portavoce del ministero degli Esteri cinese Zhao Lijian è stata una delle voci più attive nel diffondere la disinformazione su Twitter, ed è stata una delle prime a sostenere che il virus provenisse dagli Stati Uniti. Zhao ha più di 500 mila follower su Twitter. Molti dei suoi post di cospirazione sono ancora online.

Ray Walsh, esperto di privacy digitale di Pro-Privacy, ha dichiarato a Epoch Times: «Non c’è dubbio che il governo cinese è consapevole che i social media forniscono un potenziale estremamente efficace e virale per la diffusione della disinformazione. Ciò rende i social media uno strumento così utile per diffondere notizie false e causare discordia e confusione. Inoltre il Pcc sta probabilmente tentando di seminare la cospirazione che il virus provenga dagli Stati Uniti, non solo per «convincere la sua stessa gente», ma anche gli altri Paesi».

In Cina la gente non ha accesso a queste piattaforme di social media e il Pcc ne approfitta per alimentarla con la sua costante propaganda. Anche se le voci dalla Cina possono cambiare rapidamente, gli obiettivi sono gli stessi: non assumersi la responsabilità per la cattiva gestione del loro virus e ritrarre l’immagine di aver contenuto con successo l’epidemia.

Riferendosi alla disinformazione, Lohman dichiara che «non è molto sorprendente, anche se la sfacciataggine lo è. La Cina ha da tempo perseguito un piano di guerra politica contro Taiwan, i tibetani, gli uiguri, il Falun Gong e altri nemici che lo Stato cinese percepisce tali».

Ci sono diverse potenziali ragioni per cui gli Stati Uniti sono il principale obiettivo della propaganda cinese, anche se altri Paesi occidentali come l’Italia, in misura minore, sono stati recentemente presi di mira dai media statali. Gli Stati Uniti sono visti dalla Cina come principale concorrente. La Cina è anche «probabilmente impegnata in quello che percepisce come un comportamento “tit-for-tat” nella sua guerra commerciale con gli Stati Uniti, che hanno «attaccato un pilastro chiave della legittimità del Pcc». Un’altra ragione è che Trump ha ripetutamente indicato la Cina come la fonte del virus del Pcc, emerso a Wuhan nel dicembre 2019, e Pechino è intenzionata a evitare di essere ritenuta responsabile.

Nelle ultime settimane il Pcc non ha rivendicato nuovi casi del virus, ma si sostiene anche che la Cina si trova ora ad affrontare una minaccia più grande dalle infezioni importate da oltreoceano. Tuttavia, una serie di documenti interni governativi ottenuti da Epoch Times, dimostra che la situazione a Wuhan è molto peggiore di quella che è stata ufficialmente denunciata. I cittadini cinesi descrivono anche una realtà diversa sul campo. È quindi difficile accertare la realtà della situazione in Cina, afferma Lohman: «In una nazione grande come la Cina, con 1,3 miliardi di persone, è difficile immaginare che il coronavirus sia stato eradicato e che tutti i nuovi casi siano stati importati. E’ una questione aperta, come ad esempio, nel sistema carcerario cinese e nei campi di lavoro non soggetti a verifiche esterne, non è noto se il virus si sia diffuso all’interno. Allo stesso modo, non si sa, ma è difficile dare credito all’idea che nell’intero esercito cinese di due milioni di persone non ci siano stati casi positivi».

Lotta alla propaganda

I legislatori chiedono a Twitter di bandire i funzionari del Pcc dalla piattaforma dei social media, e un gruppo di senatori invitano alla creazione di una nuova task force per contrastare direttamente la propaganda. Il sen. Ben Sasse e il suo collega repubblicano Mike Gallagher, in una lettera del 20 marzo inviata al Ceo di Twitter Jack Dorsey, hanno scritto che i funzionari cinesi dovrebbero essere banditi dalla piattaforma: «Con la messa al bando di Twitter in Cina, il Pcc tiene i suoi cittadini all’oscuro di tutto, e diffondendo la loro propaganda su Twitter, il Partito Comunista Cinese sta mentendo al resto del mondo. La propaganda che offusca l’origine del virus del Pcc «compromette potenzialmente gli sforzi per contenere e controllare l’epidemia» e quindi, «questo comportamento giustifica la loro rimozione dalla piattaforma».

Il 25 marzo, il senatore Josh Hawley ha presentato una risoluzione che chiede un’indagine internazionale sull’insabbiamento iniziale del virus da parte del regime, e che la Cina risarcisca «tutte le nazioni colpite dal virus del Pcc, per aver mentito sulla sua diffusione».

Nel frattempo, una risoluzione bipartisan introdotta il 24 marzo dal repubblicano Jim Banks, guidata dal collega Seth Moulton e sostenuta da 35 co-sponsor, condanna il regime cinese per aver intenzionalmente minimizzato l’epidemia del virus del Pcc.

 

Epoch Times chiama il nuovo coronavirus ‘virus del Pcc’ perché l’insabbiamento e la mala gestione del Partito Comunista Cinese (Pcc) hanno permesso al virus di diffondersi in tutta la Cina e di creare poi l’attuale pandemia globale.

Articolo in inglese: Beijing Utilizing Social Media to Spread Propaganda Globally

 

 
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