Pechino nasconde i veri dati sul Coronavirus?

Di James Gorrie

 

Secondo le statistiche ufficiali aggiornate al 24 gennaio, 41 persone erano morte e oltre 800 erano sotto osservazione o si erano ammalate a causa del coronavirus a Wuhan. Questi dati evidenziano più del doppio dei decessi e il triplo del numero di persone infette rispetto al giorno prima.

Nella loro forma attuale, questi dati portano il tasso di mortalità al due-tre per cento. Rispetto al tasso di mortalità complessivo di quasi il 10 per cento dell’epidemia della Sars (Sindrome respiratoria acuta grave) diffusasi negli anni 2002-2003, il livello di letalità di questo nuovo virus sembra relativamente basso. Almeno questo è quello che emerge dai notiziari ufficiali di Pechino.

Ma sono davvero questi i fatti? I dati di Pechino sono veritieri? Probabilmente no.

I numeri non quadrano

In realtà i conti non tornano perché non è ragionevole pensare che siano presenti solo 900 casi di individui infetti in una città di 11 milioni di persone, dove almeno decine di migliaia, e forse anche centinaia di migliaia di persone, dall’inizio dell’epidemia a metà dicembre, sono state esposte giornalmente al virus.

Si tratta di oltre un mese, con persone che viaggiano dentro e fuori da Wuhan senza alcuna precauzione da parte delle autorità cinesi. È solo dal 20 gennaio, infatti, che la Cina ha ammesso che il virus si diffonde facilmente per via contatto umano.

Ma allo stesso tempo, le autorità mediche cinesi, come Wang Guangfa, uno specialista pneumologo di Pechino, insistono sul fatto che, anche se il virus può infettare una persona con il contatto delle mani sugli occhi, l’intervento contro il contagio a Wuhan è stato effettuato «in modo rapido ed efficace».

Questo non è credibile. Un’affermazione così palesemente politicamente corretta, nasconde che in realtà il virus è ormai un problema essenzialmente globale.

Alcune nazioni conoscevano il pericolo già da alcune settimane

Nel frattempo, nello stesso periodo, altre nazioni informate dell’epidemia che stava diffondendosi, prendevano le loro precauzioni.

Queste nazioni avevano informazioni diverse dalle autorità cinesi? Ci sono state informazioni nascoste da Pechino? Ovviamente la risposta è: «No».

È probabilmente molto più realistico un articolo del Daily Beast che sostiene che il numero di persone infette si aggiri intorno alle migliaia. Questo ha molto più senso da un punto di vista statistico. Si può infatti affermare che i dati rilasciati dal PCC sul tempo d’incubazione di circa due settimane siano sicuramente falsi.

Il 21 gennaio, il Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie (CDC) di Atlanta, ha annunciato: «Non è ancora chiaro quanto facilmente questo virus si stia diffondendo tra le persone». Questa è un’affermazione molto moderata. Tuttavia Il CDC ha anche detto: «questa è una situazione in rapida evoluzione».

Totalmente sotto controllo?

L’affermazione del presidente Trump secondo cui negli Stati Uniti il virus sarebbe «totalmente sotto controllo» è nel migliore dei casi sconsiderata. Nel mondo reale, quante altre situazioni «in rapida evoluzione» sono in realtà «sotto controllo»? Non molte.

Ad esempio gli incendi boschivi, sono «situazioni in rapida evoluzione», così come le rivoluzioni politiche come quella di Hong Kong. Andando oltre, né quegli eventi, né le azioni imprevedibili che si verificano nella foga della battaglia, né la diffusione precoce e incontrollata di un nuovo ceppo di un virus altamente contagioso possono essere descritti come «sotto controllo».

In realtà, contrariamente alla versione ufficializzata dagli organi d’informazione del PCC, il contagio non è per nulla sotto controllo. Il fatto che si stia rapidamente diffondendo in più parti del mondo ne è una prova evidente.

Il regime del Pcc è la peggiore infezione

Allora perché il Pcc ha aspettato cinque settimane prima di adottare misure precauzionali?

Tutti conoscono la risposta. Il regime cinese ha minimizzato la minaccia e ha mentito sul numero di persone colpite da malattia o morte per conservare l’illusione di avere il controllo della situazione. Dato il passato fallimento, non può permettersi di apparire peggiore di quanto non sia già.

La lezione su questa epidemia potenzialmente globale è di natura politica e ideologica. Il regime a partito unico, con la sua necessità intrinseca di essere sempre visto come la forza saggia a guida del Paese, è già di per sé una cosa abbastanza grave. Si commettono errori terribili, eppure i membri del Partito Comunista raramente si assumono le loro responsabilità. Se qualcuno viene incolpato, viene usato come capro espiatorio per dare all’opinione pubblica la soddisfazione che sia stata fatta giustizia e, allo stesso tempo, esonerare il Partito dalle sue colpe.

Ma quando un solo uomo governa una nazione, prende personalmente ogni decisione che quindi si riflette direttamente e spesso negativamente su di lui. Questo rende rischioso dire la verità. Quale consigliere vorrebbe subire le conseguenze nel comunicare all’onnipotente leader la pessima notizia di una nuova epidemia di virus, vista l’economia in crisi?

Tale atteggiamento e la paura di essere visti come incompetenti non è una novità; in realtà è una procedura operativa standard per il PCC, sin dalla sua fondazione.

La peste suina africana è la dimostrazione del futuro

Ad esempio si prenda l’epidemia di peste suina africana (ASF) del 2019. Le autorità cinesi sapevano che, essendo la carne di maiale un alimento base in Cina, una malattia così contagiosa avrebbe potuto diffondersi e minacciare l’approvvigionamento alimentare della nazione, se non fosse stata contenuta in modo rapido e completo. Eppure Pechino non ha agito per fermare la diffusione della malattia.

Anzi si è verificato il contrario. Per un periodo il regime cinese ha agito e preso precauzioni in modo superficiale e, con l’aggravarsi della situazione, si è limitato a censurare le notizie, portando come risultato la carenza di cibo e l’inflazione dei prezzi che il popolo cinese sta sopportando ancora oggi. Eppure, per tutto il tempo, la linea ufficiale del Partito affermava che l’epidemia era sotto controllo.

Qualche buona notizia?

Ma la buona notizia è che il regime cinese sta finalmente agendo. Dal 23 gennaio, la città di Wuhan è stata messa in quarantena. Tutti i mezzi di trasporto pubblico in entrata e in uscita dalla città sono stati fermati. Ancora più drasticamente, le autorità cinesi hanno esteso la quarantena ad almeno altre dodici città.

Inoltre, la celebrazione del Capodanno lunare cinese, la più grande festa e il periodo principale di shopping dell’anno, è stata cancellata. Questo non fermerà tutti i viaggi in entrata e in uscita dalla Cina, che a questo punto potrebbe invece essere la decisione più saggia, ma almeno è qualcosa.

Naturalmente tutto questo doveva essere intrapreso molto prima. Purtroppo, la proverbiale mucca infetta dal coronavirus ha lasciato la stalla settimane fa, con risultati prevedibili. La malattia si è diffusa ben oltre la Cina, a Singapore, Thailandia, Giappone, Corea del Sud, Vietnam, Arabia Saudita, India e, come riferisce la Bbc, Scozia.

L’infezione da coronavirus è pericolosa, ma chiaramente i rischi che derivano dal virus della dittatura cinese sono molto peggio.

 

James Gorrie è uno scrittore e relatore californiano. È l’autore di “The China Crisis”.

Le opinioni espresse in quest’articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente le opinioni di Epoch Times.

 

Articolo in inglese: Is Beijing Hiding the Severity of the Coronavirus Threat?

Per saperne di più:

 
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