Parliamoci chiaro, l’economia cinese sta per crollare e Xi lo sa

Di Gregory Copley

I principali investitori hanno iniziato a mettere in discussione la fattibilità degli investimenti in Cina, dopo averli difesi per decenni.

E il declino economico della Cina è di fatto in corso da più di un decennio. Il leader del Partito Comunista Cinese (Pcc) Xi Jinping lo riconosce, e sa che deve gestire il declino sopprimendo coloro che in Cina si sono abituati alla ricchezza e a un certo grado di libertà.

È probabile che un ritorno all’economia maoista della «circolazione interna» sarà presentato al 20° Congresso del Partito del Pcc nell’ottobre 2022 come irreversibile e necessario. Xi si presenta già come l’unico leader in grado di gestire l’«implosione controllata» della Cina, e tornare all’isolazionismo maoista. Deve dipingersi come un leader robusto che sfida i nemici del Partito.

Quindi quali sono le ramificazioni del crollo o del declino dell’economia cinese?

Questo tema ha ricevuto poca considerazione da parte dei governi stranieri. Al contrario, si è manifestata una fede religiosa nelle affermazioni irrealistiche della crescita economica cinese e nell’evitare la pianificazione di emergenza per far fronte a un collasso cinese.

Molto dipenderà da come si sfalderà l’economia cinese. Imploderà a grande velocità o riuscirà a garantire stabilità all’interno della Repubblica Popolare Cinese (Rpc)? Ci sarà un improvviso punto di rottura quando la Repubblica Popolare Cinese tornerà a uno Stato maoista?

Intanto, la domanda della Rpc per molte materie prime è diminuita.

I prezzi del minerale di ferro hanno raggiunto il picco all’inizio del 2021 perché c’è stato un crollo della domanda cinese di acciaio (e quindi di minerale di ferro) e un simultaneo eccesso di offerta mondiale nel mercato dell’acciaio.

L’idea che il calo della domanda di minerali della Rpc sia temporaneo non affronta la realtà, cioè che Xi ha iniziato a chiudere gran parte del settore privato cinese con mezzi che ne rendono difficile il rilancio.

Il fatto che la Cina abbia detto di aver ridotto le importazioni di minerale di ferro dall’Australia, il suo più grande fornitore, come punizione perché il governo australiano ha adottato una «linea anti-Rpc», è solo una delle tattiche di Pechino per mascherare il calo della domanda. Anche altri fornitori, come il Brasile, vedranno un calo della domanda. E il massiccio progetto cinese per lo sviluppo di giacimenti di minerale di ferro in Guinea, nell’Africa occidentale, sembra destinato a svanire.

La Cina ha tentato di ritrarre una «rapida ripresa» dalla crisi Covid-19 del 2020, aumentando la produzione industriale nazionale. Quella finzione ora è finita. Gli investimenti cinesi in Australia, circa 13 miliardi di dollari nel 2016, sono scesi a ben meno di 1 miliardo di dollari nel 2020. Entro il 2019, il minerale di ferro rappresentava quasi un quarto delle esportazioni totali dell’Australia, l’81,7% delle quali è andato in Cina. Entro il 2021, il calo della domanda cinese per tutte le esportazioni australiane era diventato netto. I fondi di Pechino per la Belt and Road Initiative (Bri, nota anche come «One Belt, One Road») sono stati minimi da alcuni anni.

È improbabile che Australia e Brasile trovino mercati sostitutivi per le loro esportazioni di minerali prima che il mercato cinese crolli. Ciò significa che entreranno in una rapida recessione economica.

È probabile che gli Stati Uniti godranno di una parziale protezione nel declino economico della Rpc a causa dell’urgente bisogno della Cina di cibo prodotto in America e che la Rpc non può reperire altrove in quantità sufficienti. Certo, l’industria aerospaziale statunitense (in particolare Boeing) era diventata dipendente dalla Cina. Boeing è stato infatti visto come uno degli apologeti di Pechino. Ma il mercato cinese degli aerei da trasporto di fabbricazione statunitense era comunque in declino.

Praticamente tutti i Paesi sono diventati dipendenti dal commercio con la Cina, quindi un crollo nella Rpc farebbe precipitare una recessione economica globale, in un momento in cui il mondo non si è ancora ripreso dai danni economici causati dai lockdown per il Covid-19.

Si consideri quanto segue:

  • Le indicazioni di una trasformazione economica e della chiusura della Rpc sono ora troppo chiare per essere ignorate.
  • Non sembrano esistere piani coerenti tra i principali partner commerciali della Cina per gestire l’imminente collasso dell’economia della Rpc, sebbene, entro maggio 2021, alcuni governi abbiano finalmente iniziato a riconoscere un rallentamento economico.
  • Gran parte del mondo probabilmente entrerà in una grave recessione entro la fine del 2022.
  • I cittadini della Cina continentale dovranno affrontare sfide crescenti entro la metà del 2022. Entro il 2023, la fame e i disordini potrebbero essere evidenti.

La priorità di Xi è gestire il declino dell’economia cinese, e quindi la sua sicurezza interna ed esterna, in modo da mantenere il controllo del Pcc e che il Pcc mantenga il controllo della Cina. Tutte le altre considerazioni sono secondarie, incluso se la Rpc rimane «ricca».

Xi deve proiettare fiducia e dominio durante un periodo di perdita per ogni singola persona in Cina. Quindi le spacconate e le minacce di Xi si intensificano, ma sono messe in scena per evitare il conflitto militare. Xi deve evitare il conflitto diretto a tutti i costi, pur perseguendo la strategia del rischio al livello più aggressivo.

Questo è inevitabile se Xi vuole dominare il Congresso del Partito dell’ottobre 2022.

La vera «minaccia cinese» per il mondo, deriva più dal suo collasso economico che da una grande guerra calda.

 

Gregory Copley è presidente dell’International Strategic Studies Association con sede a Washington. Nato in Australia, Copley è membro dell’Ordine dell’Australia, imprenditore, scrittore, consigliere governativo ed editore di pubblicazioni per la difesa. Il suo ultimo libro è The New Total War of the 21st Century and the Trigger of the Fear Pandemic.

Le opinioni espresse in quest’articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente quelle di Epoch Times.

Articolo in inglese: What If China’s Economy Collapses?

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