Pandemia, i medici di Dafoh lanciano forte appello al governo italiano

Sono sempre in prima linea – emergenza Covid-19 su tutte – salvano vite umane, e ora chiedono solo di essere attentamente ascoltati, per evitare ulteriori disastri umanitari. Sono i medici e, in particolare è la Dafoh (Doctors Against Forced Organ Harvesting, ovvero Medici contro il prelievo forzato di organi), importante organizzazione medica internazionale che opera a sostegno dell’etica nella medicina.

In un comunicato stampa del 7 maggio, il ramo italiano di Dafoh ha infatti chiesto espressamente al governo e parlamento italiano di «agire nei confronti del governo cinese per i decessi e i danni causati dalla pandemia di Covid-19».

Per l’Ong – che è stata anche premiata nel 2019 col Premio Madre Teresa di Calcutta per la legalità e candidata al Premio Nobel della Pace nel 2016 – non ci sono dubbi: «Il governo cinese era a conoscenza dell’esplosione dell’epidemia dalla fine del 2019», afferma il direttore esecutivo, il dottor Torsten Trey; quindi, quest’ultima, si legge nel testo del comunicato, non è stata «un evento accidentale, ma il risultato della sistematica disinformazione e dell’insabbiamento [del regime cinese, ndr] che hanno trasformato un’epidemia di portata locale in una pandemia».

Questa «condotta efferata» da parte del regime cinese, continua il dott. Trey, «ha causato la morte di centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo, mettendo in pericolo la vita di milioni di altre […] E altrettanto efferati sono il genocidio pianificato a tavolino e il prelievo forzato di organi perpetrati da oltre 20 anni in Cina ai praticanti del Falun Gong». La Dafoh, infatti, indaga da 14 anni sulle accuse contro la Repubblica Popolare Cinese di prelievo forzato di organi ai danni dei prigionieri di coscienza; quest’ultima dichiarazione fa infatti riferimento alla recente sentenza del noto giudice Geoffrey Nice che, presiedendo un tribunale internazionale, ha definito la Cina uno «Stato criminale», e sancito che la pratica della sottrazione di organi costituisce un crimine contro l’umanità.

La sentenza, oltre ad altre prese di posizione ufficiali sull’argomento e insieme al «precedente dell’epidemia Sars del 2003», in egual misura censurata da Pechino, doveva servire da «monito», sia alla Cina che ai Paesi del mondo libero, ma «la mancanza di azioni e provvedimenti da parte della comunità internazionale, dei governi e di istituzioni come l’Unhcr, ha invece trasmesso al regime cinese il messaggio che persino crimini di gravità inaudita […] possano essere liberamente perpetrati senza conseguenze».

«Se si permette al regime comunista cinese di continuare a calpestare indisturbato gli standard etici e i valori umani che sono alla base della nostra civiltà, la pandemia di Covid-19 potrebbe non essere l’ultimo disastro sanitario planetario ad avere origine in Cina. […] Data la gravità dei crimini contro l’Umanità commessi dal regime comunista cinese, e considerata la sua ostinata mancanza di trasparenza, il fatto che ne vengano accolte le delegazioni mediche nel nostro Paese è qualcosa di oltraggioso e inaccettabile.
Tutto questo non è più tollerabile. Siamo al punto in cui è necessaria una voce forte e risoluta, che dica la verità, e che metta la dittatura cinese di fronte alla responsabilità degli innumerevoli crimini contro l’Umanità che da decenni perpetra indisturbata», conclude il comunicato.

Manipolazione della verità da parte del regime cinese

Il 5 maggio la Dafoh ha rilasciato anche una relazione dettagliata di 41 pagine per la comunità internazionale, dal titolo Smascherare la pandemia di Covid-19; in questa si sottolinea che il fallimento della Cina nel contenere il virus del Pcc, ha mostrato al mondo come la natura ingannevole del regime possa portare a conseguenze mortali. La cattiva gestione del virus, emerso per la prima volta a Wuhan, va inoltre di pari passo con le tattiche che il Partito Comunista Cinese (Pcc) ha già adottato in passato, come negare, nascondere, disinformare e poi sfruttare la situazione per guadagnarci. Il tutto fa parte di quello che può essere definito un «protocollo dell’inganno». Infatti, negli ultimi decenni, mentre la comunità internazionale stava a guardare, il regime cinese ha ripetutamente applicato questo modello nelle violazioni dei diritti umani. E durante questa pandemia, «le conseguenze delle azioni del Pcc sono ora sperimentate in ogni angolo del mondo».

«La storia si è ripetuta con il Covid-19, ma con conseguenze ben più gravi», ha affermato il vice direttore del Dafoh, Rob Gray, in occasione dell’evento ‘virtuale’ internazionale, in cui è stata rilasciata la relazione.

Due virus

Nella relazione viene citato il medico Li Wenliang (poi deceduto per aver contratto il virus da un paziente), che dopo aver segnalato sui social la presenza del virus, era poi stato rimproverato dalla polizia per «falsi allarmismi». Il dott. Li è uno dei tanti presi di mira dalla censura draconiana di Pechino. Qualcosa di analogo era già successo nel 2002 durante le prime settimane dell’epidemia da Sars (sindrome respiratoria acuta grave), dove per mesi i funzionari cinesi non hanno avvertito il pubblico, ma hanno invece recluso per 45 giorni l’eminente chirurgo militare cinese Jiang Yanyong, per i suoi tentativi di rendere noto l’insabbiamento delle autorità. All’indomani dell’epidemia che si era diffusa in decine di Paesi, l’Organizzazione Mondiale della Sanità aveva aggiornato il Regolamento sanitario internazionale per rafforzare la comunicazione del rischio sanitario, chiedendo ai Paesi di notificare tempestivamente all’agenzia delle Nazioni Unite qualsiasi emergenza sanitaria pubblica.

Jiang, che ha ricevuto il Ramon Magsaysay Award per la sua schiettezza, nel corso degli anni ha dovuto affrontare continue vessazioni da parte delle autorità. Ora 88enne, è agli arresti dall’aprile 2019, per aver chiesto alle autorità un «riesame» sulle proteste pro-democrazia di piazza Tienanmen del 1989, che il regime ha soppresso nel sangue con carri armati e proiettili. «Sembra che contraddire le parole del Pcc durante le fasi iniziali di un’epidemia o di una pandemia, in una forma o nell’altra, comporti l’ergastolo», si legge nella relazione Dafoh.

Violazione dell’etica medica

La relazione indica che negli ultimi due decenni, casi simili si sono verificati anche in campo medico in Cina, e potrebbero provocare altri danni se continuassero a persistere senza sosta.

Dal 2006, hanno continuato a emergere studi secondo i quali il regime cinese stava prelevando organi dai prigionieri di coscienza per il mercato nero dei trapianti.

Lo scorso giugno, dopo aver esaminato le prove scritte e le testimonianze dei testimoni, il tribunale indipendente ‘China Tribunal’, con sede a Londra, ha sentenziato che queste pratiche sancite dallo Stato durano da anni «su ampia scala»: un’azione «indicativa» di genocidio. Il tribunale ha stabilito che la principale fonte di organi proviene dai praticanti (incarcerati) del Falun Gong, che dal 1999 sono oggetto di gravi persecuzioni a livello nazionale.

Adnan Sharif, segretario di Dafoh, all’evento di martedì ha richiamato l’attenzione sui tempi di attesa sospettosamente brevi – tre giorni – per trovare gli organi corrispondenti per i pazienti anziani infettati dal nuovo coronavirus, ai quali sono stati trapiantati i polmoni in Cina. «Il Pcc voleva dimostrare la genialità scientifica nell’essere il primo Paese a fare un trapianto di polmoni in questo contesto, ma quello che ha ottenuto è l’aver sollevato altre domande sulle fonti degli organi». Dal 2015 il regime cinese sostiene che gli organi per i trapianti vengano recuperati attraverso un sistema di donazione volontaria, ma uno studio del 2019 del Bmc Medical Ethics, ha scoperto che il regime cinese ha probabilmente falsificato i dati della donazione di organi utilizzando una funzione quadratica. È solo un altro esempio di come il regime manovri i dati.

Avvertimento contro il silenzio

Dafoh ha affermato che il silenzio della comunità internazionale di fronte a tali tragedie sui diritti umani ha le sue conseguenze: l’incarcerazione di massa degli uiguri nella regione nord-occidentale della Cina, nello Xinjiang, (sulle orme della persecuzione del Falun Gong); la tecnologia di sorveglianza pervasiva della Cina che si sta espandendo oltreoceano; e i falsi dati pubblicati durante l’attuale epidemia.

Modelli statistici, testimonianze oculari e documenti ottenuti da Epoch Times hanno dimostrato che le autorità cinesi non stanno riportando tutte le infezioni virali e i decessi. Non riuscendo a contenere il virus all’interno dei confini nazionali, il regime cinese ha poi cercato di reinventarsi come leader sanitario globale, esportando forniture mediche, che non rispettavano gli standard degli altri Paesi. Allo stesso tempo, per sviare le sue colpe, conduce un’aggressiva campagna di disinformazione sui social media e sui media statali cinesi.

La relazione termina citando un discorso di Chen Guangcheng, l’avvocato cinese per i diritti umani che nel 2012, nonostante fosse sorvegliato, è riuscito a fuggire negli Stati Uniti: «La natura, l’intento e le azioni del Pcc non dovrebbero più continuare senza sosta. Il Pcc è il più grande e grave virus esistente».

 

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Articolo in inglese: Pandemic Coverup Shines a Light on Beijing’s Pattern of Deception: Report

 
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