L’Occidente è come la Francia che si arrese a Hitler?

Winston Churchill una volta osservò che le nazioni che cadono combattendo hanno la capacità di risorgere in seguito. Quelle che si arrendono facilmente, riteneva invece, rischiano di non ritornare mai più al loro antico splendore.

Così fu per la Terza Repubblica in Francia. Dopo l’invasione tedesca nel maggio 1940, le forze armate francesi persero ben presto la motivazione a combattere e il governo francese intraprese la via dell’armistizio con la Germania nazionalsocialista.

Pur di non firmare la svendita della nazione, il primo ministro Paul Reynaud rassegnò le dimissioni. La leadership francese ricadde sull’anziano maresciallo Philippe Pétain, che di li a poco firmò un accordo  con Hitler che in sostanza annientò la Terza Repubblica. Il governo di Pétain fu trasferito da Parigi alla località turistica di Vichy dove rimase formalmente responsabile dell’amministrazione civile in Francia. 

L’assemblea nazionale collaborazionista garantì a Pétain poteri dittatoriali e fu instituito un regime autoritario che sovvertì le politiche più tipicamente liberali a favore di un controllo diretto dell’economia francese. Parigi perse la sua posizione di avanguardia della cultura europea; contemporaneamente i media francesi – direttamente controllati – promuovevano la narrativa antisemitica del regime di Hitler. 

‘La Francia di Vichy’ – il nome comunemente attribuito allo stato francese guidato da Pétain – divenne un alleato semi-indipendente della Germania nazionalsocialista fino alla fine del 1942, quando Berlino assunse il pieno controllo. La Francia fu costretta a ridurre le sue difese militari e a pagare un pesante tributo in oro, forniture e derrate alla Germania. Alla polizia di Vichy fu dato ordine di rastrellare tutti gli ‘indesiderabili’: in seguito più di 70 mila persone furono giustiziate.

I patrioti francesi furono costretti alla clandestinità: affrontarono l’ingrato compito di resistere all’occupazione straniera mentre le proprie istituzioni collaboravano col nemico. 

In Francia la libertà fu ripristinata quando le forze congiunte americane, britanniche, canadesi e le truppe alleate sbarcarono in Normandia nel giugno del 1944. I liberatori si fecero strada attraverso l’intricata boscaglia e le città dell’Europa continentale e alla fine assicurarono la resa incondizionata del regime nazista.

L’ideologia socialista è sopravvissuta per plagiare il mondo libero

In quello che oggi può essere considerato uno sfortunato incidente della storia, il patto tirannico prebellico tra Germania nazionalsocialista e Urss, le due potenze che invasero la Polonia per cercare di spartirsi il controllo sull’Europa, giunse ad una fine prematura nel giugno del 1941. Adolf Hitler tradì il suo cugino ideologico Joseph Stalin e invase l’Unione Sovietica.

I progressisti occidentali, come ad esempio Franklin Delano Roosevelt, erano lieti di aver portato lo ‘Zio Joseph’ dalla nostra parte. Intellettuali e politici progressisti avevano tessuto le lodi – e ignorato le atrocità – dell’Urss sin dai primi anni della rivoluzione russa ed erano stupidamente in sintonia con i piani utopistici del Comintern per un nuovo ordine mondiale.

Una piena vittoria della libertà avrebbe dovuto comprendere la sconfitta dell’Unione Sovietica. Questo avrebbe eliminato la minaccia del socialismo internazionale in tutte le sue forme – comunista, fascista e maoista – per generazioni a venire. Ma per Stati Uniti, Canada, Regno Unito e per i popoli amanti della libertà in tutto il mondo, un tale felice esito era ancora a venire.

Dunque, come risultato del patto di convenienza dell’Occidente tra il 1941 e il 1945, le potenze dittatoriali del socialismo internazionale scamparono alla guerra e seguitarono a plagiare il mondo libero fino ai nostri giorni.

Lezioni di Storia

Le analogie storiche sono perfette di rado, ma possono essere utili a comprendere le circostanze attuali. È stato spesso detto, infatti, che quelli che ignorano gli errori del passato sono condannati a ripeterli.

Negli annali di storia moderna, un regime di ‘Vichy’ viene definito come quello che preferisce la collaborazione col nemico alla resistenza nazionale e alla netta indipendenza. 

Negli ultimi 60 anni, Paesi liberi come Stati Uniti, Canada e Gran Bretagna si sono ritirati di fronte alla lenta invasione da parte dello stesso corpo di concezioni socialiste e ambizioni autoritarie che invasero la Polonia nel 1939 e inaugurarono alcuni tra i capitoli più sanguinosi nella storia dell’uomo. 

I progressisti occidentali ritenevano che la via migliore da seguire fosse quella della ‘convergenza’ tra comunismo orientale e socialdemocrazia occidentale. 

Ma regimi militari comunisti come quello della ex-Urss o quello attualmente in auge nella Repubblica Popolare Cinese vedevano quella convergenza con uno stato d’animo meno paritetico.  Per i regimi marxisti comportava la costante acquisizione di Paesi socialisti ‘clienti’ e il ridimensionamento dell’influenza occidentale nel mondo. 

Dagli anni ’80 in poi, il movimento ‘neo-conservatore’ guardava ad un ‘nuovo ordine del mondo’ basato su principi di libero scambio e sull’emergere di un’economia mondiale di libero mercato. Immaginava una ‘fine della storia’ che avrebbe rovesciato le previsioni della contrapposizione marxista e inaugurato il trionfo della democrazia e del capitalismo in tutto il mondo. 

A dispetto delle più fervide speranze, non si è mai giunti fin lì. Al contrario ci si è abituati ad una repubblica di ‘Vichy’ dell’Occidente. L’élite politica progressista, le big tech, la finanza, le accademie, il giornalismo, il settore pubblico, l’istruzione, lo spettacolo e l’arte hanno via via allontanato i Paesi dalle loro origini fondanti in fatto di diritto naturale, liberalismo classico, governo costituzionale, uguaglianza giuridica, pratica religiosa e abitudini morali.

Riprendere i destini dell’Occidente

Nel 2020 le questioni irrisolte circa le origini del Covid-19 e le altre misure prese di prepotenza dal regime di Pechino, delineano tristi presagi di futuro. E mentre entriamo nel terzo decennio del 21esimo secolo, la dittatura del Partito Comunista Cinese continua a rappresentare un pericolo chiaro e imminente per l’Occidente. 

Come ha recentemente evidenziato lo studioso americano R.R. Reno sulle pagine della rivista First Things, «Il potere della Cina di oggi nasce dalla portata gigantesca della sua occidentalizzazione». La paura della dominazione cinese, dice «non è la paura di finire succube di una civiltà confuciana aliena». Il comunismo cinese è solo un’altra deleteria versione del marxismo occidentale: promette al suo popolo sicurezza e benessere solo in cambio della sua sottomissione ad uno Stato totalitario.

Tutti sono stati manipolati, in un modo o nell’altro, dall’utopia secolare cui Marx diede espressione. Si è così sopraffatti e demoralizzati da racconti di mali passati che si considera qualsiasi cosa al di sotto della nostra perfezione, intollerabile.

Per molti versi, la più grande minaccia all’Occidente risiede ancora nell’Occidente stesso. Al momento, manca un vocabolario e la volontà di esprimere il potenziale eroico delle libertà che Dio ha donato all’Uomo. Abbiamo praticamente rinunciato all’eredità di una civiltà vitale e produttiva. 

Più di qualsiasi cosa c’è disperatamente bisogno di trovare e mantenere leader sicuri che investano emotivamente nella ripresa di vitalità dei Paesi liberi. Senza una forte leadership si continuerà a far crescere vuoti di potere interni che regimi nemici cercheranno di infiltrare e sfruttare. 

Diversamente dal caso della Francia di Vichy, non ci saranno eserciti di liberazione a venire in soccorso. O si troverà  il coraggio di ricostruire il proprio destino legittimo o si rimarrà sterili custodi di Stati burocratici in declino all’ombra di Pechino.

La scelta è nostra!

 

William Brooks è uno scrittore e insegnante di Montreal. Attualmente lavora come redattore presso ‘The Civil Conversation’, per la Canada’s Civitas Society, ed è collaboratore di Epoch Times.

Le posizioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente le vedute di Epoch Times.

 

Traduzione di Gaetano D’Aloia

Articolo in inglese: ‘Vichy’ and the Destiny of the West

 
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