Elezioni Usa, cosa sono le liste alternative di grandi elettori e cosa succederà il 6 gennaio?

Di Zachary Stieber

Negli Stati Uniti, diventa presidente il candidato che ottiene la maggioranza dei cosiddetti voti elettorali, ovvero quelli dei ‘grandi elettori’ del Collegio Elettorale.

In questo sistema, ogni Stato vale un determinato numero di ‘grandi elettori’, che votano poi nel Collegio Elettorale. Per questo, quando i cittadini di uno Stato votano per un candidato, stanno in realtà votando per le liste statali dei grandi elettori presentate dal suo Partito.

Alla fine del processo, i voti dei legittimi ‘grandi elettori’ vengono contati dal Congresso. Se un candidato ottiene almeno 270 voti, si aggiudica la presidenza degli Stati Uniti d’America.

Liste alternative di grandi elettori

Il 14 dicembre, i grandi elettori di ciascuno Stato si sono riuniti e hanno votato per il prossimo presidente degli Stati Uniti. In sette Stati decisivi dove Joe Biden è stato certificato come vincitore delle elezioni, i grandi elettori del Partito Democratico hanno votato come previsto in favore di Biden, ma al contempo in questi Stati anche i grandi elettori repubblicani si sono riuniti e hanno votato in favore del presidente Donald Trump.

Questo fenomeno ha quindi creato sette ‘liste alternative’ di grandi elettori, anche noti come ‘elettori duellanti’ [dueling electors, ndr]. Ora, entrambi i gruppi stanno inviando i propri certificati di voto al Congresso, che dovrebbe riunirsi in sessione congiunta il 6 gennaio 2021 per contare i voti del Collegio Elettorale.

Le ‘liste alternative’ sono un fenomeno molto raro, ma non senza precedenti nella storia americana. L’ultima volta si è verificato nelle elezioni del 1960, quando il governatore delle Hawaii ha certificato i grandi elettori favorevoli al candidato repubblicano Richard Nixon, ma i grandi elettori democratici hanno comunque inviato i propri voti in favore di John F. Kennedy.

Un successivo riconteggio ha stabilito che in effetti era stato Kennedy a ottenere il maggior numero di voti alle Hawaii, e così è stato lui ad essere dichiarato vincitore dello Stato durante la sessione congiunta del 1961.

Recentemente John Eastman, professore di diritto presso la Chapman University School of Law, ha citato il caso Kennedy-Nixon mentre parlava con Ntd Television delle liste alternative inviate dai repubblicani: «Qui abbiamo un precedente storico, e in ciascuno di questi Stati ci sono cause pendenti che mettono in discussione i risultati delle elezioni. Se le cause avessero successo, allora i grandi elettori di Trump, che si sono riuniti e hanno votato, potrebbero vedere i propri voti certificati e contati in occasione della sessione congiunta del Congresso del 6 gennaio».

Tuttavia Gary Gegg II, direttore del McConnell Center presso l’Università di Louisville, ha spiegato all’edizione americana di Epoch Times che, in assenza di «concrete prove di brogli» tali da spingere il Congresso a certificare le liste alternative di grandi elettori, saranno le liste certificate dai governatori statali ad essere contate, che nel caso dei sette Stati in questione sono tutte a favore di Biden. I voti del Collegio Elettorale sono stati «contati ufficialmente» e inviati a Washignton, ha aggiunto Gregg II: «Non c’è niente da fare, finché non arrivano al Congresso».

Anche Robert Hardaway, professore presso lo Sturm College of Law dell’Università di Denver, ha dichiarato che si tratta «ovviamente di un’eventualità improbabile» dal momento che per ora «nessuna contestazione legale di Trump e dei suoi sostenitori ha avuto successo». Tuttavia, Hardaway ha aggiunto che «c’è una ragione» dietro la mossa dei repubblicani: «Se più avanti verrà stabilito che si dovevano contare le liste dei repubblicani, loro avranno già i voti pronti».

In tre dei sette Stati in questione – Michigan, Pennsylvania e Wisconsin – i repubblicani controllano attualmente i Parlamenti statali, mentre i democratici detengono i palazzi del governatore. Nel New Mexico e nel Nevada, i democratici controllano entrambe le istituzioni. Mentre in Georgia e in Arizona sono i repubblicani ad avere il controllo di entrambe.

In tutti questi sette Stati, i repubblicani schierati con Trump non sono riusciti a ottenere abbastanza sostegno da far certificare le liste alternative di grandi elettori dal massimo funzionario elettorale – che solitamente è il segretario di Stato – e neanche i parlamenti di questi Stati hanno esercitato il loro diritto costituzionale di prendersi questo potere e scegliere a quale candidato debbano andare i voti dei grandi elettori.

Ora, secondo l’ente governativo Congressional Research Service, quando viene ricevuta una lista alternativa, i membri del Congresso la prendono in considerazione, se è stata inviata da un autorità statale diversa da quella della lista certificata, e conducono quindi una votazione. L’accettazione effettiva della lista alternativa richiede l’accordo dei parlamentari sia della Camera che del Senato.

Se invece non ci sono conflitti tra le autorità statali, viene accettata quella emessa in base alle leggi elettorali dello Stato. Se non c’è una precisa delibera di un’autorità statale su quale lista debba essere conteggiata, le due Camere si accordano contemporaneamente su quale lista di voti vada accettata, o eventualmente possono anche respingerle entrambe. Se invece le due Camere non raggiungono un accordo, si procede alla conta dei voti dei grandi elettori certificati dal governatore.

La sessione congiunta del Congresso

Dopo il voto dei Grandi Elettori del 14 dicembre, l’attenzione è passata sull’ormai imminente sessione congiunta, che si terrà il 6 gennaio, appena tre giorni dopo il giuramento dei neo-eletti membri del Congresso.

Almeno quattro parlamentari della Camera – i repubblicani Mo Brooks (R-Ala.), Marjorie Taylor Greene (R-Ga.), Barry Moore (R-Ala.), e Bob Good (R-Va.) – hanno dichiarato pubblicamente che intendono contestare le liste certificate dei grandi elettori durante la sessione congiunta.
Ma perché vengano prese in considerazione dal Congresso, le contestazioni devono essere sollevate per iscritto da almeno un membro della Camera e da un senatore.

Nel 2016, ad esempio, alcuni membri democratici della Camera hanno sollevato delle contestazioni, ma sono state rapidamente scartate perché nessun senatore è intervenuto in loro sostegno. Nel 2004, la deputata Stephanie Tubb Jones (D-Ohio) e la senatrice Barbara Boxer (D-Calif.) hanno contestato i voti dell’Ohio, ma entrambe le Camere hanno respinto l’obiezione.

Secondo il Congressional Research Service, il presupposto di una contestazione dovrebbe essere che i voti del Collegio Elettorale non sono stati «espressi regolarmente» dai grandi elettori, e/o che i grandi elettori non sono stati «legalmente certificati» in base alle legge elettorali dello Stato.

Se una contestazione soddisfa i requisiti, la sessione congiunta viene sospesa, e ogni Camera si ritira per riunirsi e discutere l’obiezione e scegliere se votare o meno in suo sostegno. A meno che entrambe le Camere non votino a maggioranza in favore della contestazione, questa viene respinta. Se invece viene approvata, rende nulli i voti del Collegio Elettorale dello Stato, o potrebbe portare all’accettazione di una lista alternativa.

Diversi esperti ritengono sia praticamente impossibile che una qualche contestazione abbia successo nella situazione attuale.

Il già citato Gregg II ha dichiarato: «È decisamente fuori dal campo del possibile. La possibilità che un senatore sia d’accordo, che un senatore repubblicano sia d’accordo, è già difficile. Dunque far sì che il Senato e la Camera siano d’accordo? A questo punto… questo non succederà».

Anche il noto accademico e costituzionalista Alan Dershowitz ha dichiarato a Ntd Television: «Non succederà che entrambe le Camere approvino le obiezioni».

Tuttavia, altri esperti la pensano diversamente.

Ad esempio, il professor Eastman ha dichiarato: «Penso che quando si arriverà alla sessione congiunta del Congresso, ci sarà una lotta su quali delle liste di elettori debbano essere contate in base alle prove e alle violazioni dei regolamenti mostrate in quel momento».

In base agli attuali conteggi certificati delle votazioni, Biden ha dalla sua 306 Grandi Elettori, mentre Trump 232.

Il precedente più notevole risale al 1877, quando una sessione congiunta del Congresso si riunì per contare i voti del Collegio Elettorale e furono presentate liste alternative di grandi elettori in diversi Stati, dove i conteggi dei voti popolari presentavano controversie. Alla fine la Camera controllata dai democratici e il Senato controllato dai repubblicani raggiunsero un compromesso, creando una commissione speciale che includeva membri della Camera, senatori e giudici della Corte Suprema.

La commissione si riunì per settimane prima di decidere il 2 marzo di assegnare i voti controversi del Collegio Elettorale a Rutherford Hayes, un repubblicano, consegnandogli così la presidenza degli Stati Uniti.

 

Articolo in inglese: Explainer: Dueling Electors and the Upcoming Joint Session of Congress

 
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