L’industria farmaceutica e il ‘pregiudizio’ verso gli psicofarmaci

Mangiare troppo, essere lasciati dal proprio partner, non ricevere risposta alle proprie email, addormentarsi presto di sera e svegliarsi di prima mattina. Potrebbero essere tutti sintomi di malattie mentali, patologie croniche spesso stigmatizzate che, secondo quanto sostiene l’industria farmaceutica negli Stati Uniti, milioni di persone non avrebbero ancora capito di poter risolvere solo con i farmaci.
Ma fortunatamente ci sono gruppi di supporto come il Glenn Close’s Bring Change to Mind [guida al cambiamento mentale, di Glenn Close, ndt] e i gruppi principali fondati dalle industrie del settore farmaceutico, come l’American Foundation for Suicide Prevention [Fondazione americana per la prevenzione del suicidio, ndt] (Afsp) e la National Alliance on Mental Illness [Alleanza nazionale sulla malattia mentale, ndt] (Nami) che si ‘prodigano’ affinché il messaggio venga recepito.

L’elevazione a ‘malattia mentale’ di sintomi assolutamente quotidiani, e il diffondersi di accuse da parte chi ne soffre di essere vittime di ‘pregiudizio’, hanno creato la situazione ideale per i produttori di farmaci, perché hanno permesso loro di aggregare pazienti in lobby che sembrano ‘popolari’ ma che in realtà difendono i loro costosi psicofarmaci. E anche se questi gruppi affermano di combattere il ‘pregiudizio’ verso le malattie mentali, in realtà, sempre su indicazione delle case farmaceutiche, spendono il loro tempo per opporsi a legislatori e assicuratori e a cercare di farsi rimborsare i dispendiosi medicinali: «Quando gli assicuratori ostacolano i rimborsi delle nuove prescrizioni mediche ai pazienti», scrive il Los Angeles Times, questi gruppi «di solito, passano all’azione: i pazienti compaiono in pubblico e alle associazioni dei consumatori, e poi contattano i legislatori».

I principali gruppi dei pazienti comprendono anche la Depression and Bipolar Support Alliance [Alleanza di Supporto contro la Depressione e il Disturbo Bipolare, ndr], che – secondo il Los Angeles Times e la Nami – riceve metà delle sue sovvenzioni da industrie farmaceutiche, le quali infatti – riporta il Wall Street Journal – in due anni le hanno sborsato 23 milioni di dollari; e da quanto emerge da un resoconto di Mother Jones, negli anni 90 il colosso farmaceutico Eli Lilly è stato il principale finanziatore di Nami. Però una donna intervistata recentemente, che vuole rimanere anonima, afferma che alla Chicago Nami le hanno comunicato di non poterla aiutare per il suo disturbo borderline perché non ci sono ‘farmaci’ in grado di farlo.

Nel 2014, la Nami è riuscita a respingere la proposta della Casa Bianca di ridurre l’assistenza medica per Wellbutrin, Paxil, Prozac, Abilify, Seroquel e per altri costosi farmaci. Andrew Sperling, un lobbista della Nami che usa l’immagine di vittime anziane per ottenere finanziamenti pubblici al settore farmaceutico, sostiene che «la proposta mina una tutela fondamentale per i più sofferenti e per i vulnerabili bisognosi di assistenza sanitaria».

Un altro gruppo che in America usa il pretesto del ‘pregiudizio’ per vendere psicofarmaci è la Active Minds, la quale afferma di essere «la principale organizzazione no profit che autorizza gli studenti a parlare apertamente delle malattie mentali nel tentativo di educare altri e incoraggiarli a cercare aiuto […] Mediante eventi nei campus e programmi nazionali, l’Active Minds mira ad abbattere il pregiudizio che circonda le malattie mentali, e a creare un ambiente confortevole per un dialogo trasparente sulla questione, nei campus nazionali».

L’Active Minds si definisce un gruppo studentesco, ma se si va all’entrata della stanza del palazzo degli studenti alla Northwestern University di Evanston, nell’Illinois (in teoria il quartier generale dell’organizzazione) non si trova nessuno a rappresentarli, né si può trovare un addetto alla reception del sindacato studentesco che abbia mai sentito parlare di loro. E – a differenza dei gruppi studenteschi contro il cambiamento climatico o per i diritti Lgbt – le stravaganti magliette e gli evasivi mezzi per le pubbliche relazioni dell’Active Minds sembrano godere di scarsa ‘popolarità’.

Dopo i presunti suicidi di due studenti della Northwestern University, nel 2012, Active Minds e Nami sono entrate nel campus, dove hanno preso a condannare i preconcetti e gli ‘ostacoli’ alle cure, sostenendo che agli studenti non erano stati forniti gli psicofarmaci necessari. Ma i giornali hanno sempre omesso di raccontare nelle loro storie se gli studenti si fossero suicidati per il (presunto) bisogno di farmaci o per le tendenze suicide scatenate dai ben documentati effetti collaterali di quest’ultimi, specialmente nei ragazzi; effetti collaterali che emergono anche quando i pazienti interrompono il trattamento. Alla fine le morti, per l’Active Minds e la Nami, sono sembrate solo una spudorata opportunità di vendita.

Un gruppo più recente che urla al ‘pregiudizio’ e che definisce i disturbi alimentari e l’ansia quotidiana ‘malattia mentale’ è anche il Bring Change to Mind di Glenn Close, che ha tappezzato le metropolitane di Chicago con manifesti di sedicente ‘Pubblicità e progresso’. Se i suoi costosi spot pubblicitari (che vendono l’idea che chiunque, e in ogni caso, sia un ‘malato di mente’ e un futuro candidato all’utilizzo di psicofarmaci) sono un servizio pubblico, allora perché negare la ‘pubblicità e progresso’ a Exxon e Monsanto?

Anche se gli sforzi dei gruppi di Nami, Afsp, Active Minds e Glenn Close hanno portato al consumo di antidepressivi più elevato di sempre, la percentuale di suicidi negli Usa è cresciuta, e dopo il calo registrato negli anni 90, secondo USA Today, oggi si contano 38 mila casi di suicidi all’anno (nonostante oltre un quarto della popolazione, in alcune fasce di età, usi abitualmente antidepressivi); inoltre, anche nell’esercito il consumo di psicofarmaci è cresciuto del 700 percento: bisognerebbe chiedersi perché, con così tanta gente che fa uso di questi medicinali, i suicidi siano aumentati.

La verità è che certi costosi farmaci tanto cari a Wall Street, che la gente usa continuamente per decenni o per tutta la vita, sono spesso inefficaci e talvolta scatenano gli stessi problemi che dovrebbero impedire, come il suicidio. E nonostante le dispendiose campagne per convincere le persone che esse sono malate di mente e che hanno bisogno di psicofarmaci, il vero ‘pregiudizio’ è sempre più risolto verso le persone che non accettano la diagnosi e gli psicofarmaci di BigPharma.

 

Quelle espresse in questo articolo sono le opinioni dell’autore e non riflettono necessariamente la posizione di Epoch Times.

Articolo in inglese: How Pharma Uses the Charge of “Stigma” To Sell Psychiatric Drugs

Traduzione di Massimo Marcon

 
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