L’India fa sul serio, sulla Cina

Di Amrita Jash

In occasione dell’86° compleanno del Dalai Lama, il primo ministro indiano Narendra Modi ha stabilito un nuovo precedente, scrivendo su Twitter: «Ho parlato al telefono con Sua Santità il @DalaiLama per fargli gli auguri peril suo 86° compleanno. Gli auguriamo una vita lunga e sana». In cambio, il leader religioso tibetano si è definito «l’ospite più a lungo termine» dell’India, Paese che vede come «casa». Vari leader indiani hanno comunicato ufficiosamente i loro auguri, mentre il messaggio ufficiale di Modi al più alto leader religioso del Tibet che è in esilio, non è solo simbolico, ma di grande significato, dato il suo contesto politico e diplomatico.

Il Tibet è al centro della discordia nelle relazioni India-Cina, per via del suo significato politico e strategico, come esemplificato dal fatto che, durante il conflitto del 1962, i leader cinesi, tra cui Mao Zedong, riconobbero che «il conflitto non riguardava il confine o territorio, ma il Tibet». La contesa della Cina contro l’India sul Tibet è nata dopo l’accoglienza da parte di Nuova Delhi del Dalai Lama e del governo tibetano in esilio a Dharamshala, governo che Pechino percepisce come sovversivo e scissionista. La forza per l’indipendenza tibetana si aggiunge alle insicurezze di Pechino su quelli che chiama i «tre mali»: separatismo, estremismo e terrorismo. In questo, la Cina percepisce la forza di indipendenza del Tibet come una seria sfida alla sua sicurezza interna e stabilità sociale. Strategicamente, il Tibet è centrale nella disputa sul confine tra India e Cina: per l’India, la propria sicurezza è collegata alla sopravvivenza del Tibet come Stato cuscinetto; mentre per la Cina il controllo sul Tibet è significativo per la stabilità dei suoi confini con l’India. Ad esempio, la pesante costruzione di infrastrutture cinesi in Tibet in termini di ferrovie, aeroporti e autostrade è volta ad avvantaggiarsi sull’India al confine. Qualsiasi azione dell’India riguarda la Cina, data la priorità che la Cina attribuisce al Tibet nel suo calcolo della sicurezza nazionale, in quanto direttamente collegato alle sue dispute territoriali con l’India, in aggiunta alle sempre maggiori rivendicazioni di sovranità da parte delle forze indipendentiste pro-Tibet.

A questo proposito, l’appello di Modi al Dalai Lama ha indicato l’atteggiamento politico di Nuova Delhi, in un messaggio indiretto a Pechino: proprio come fa la Cina con il suo «amico per tutte le stagioni», il Pakistan. Per la Cina, l’accoglienza da parte dell’India del Dalai Lama e della popolazione tibetana in esilio è motivo di persistente preoccupazione, poiché secondo Pechino è un «pugnale puntato [dall’India, ndr] al ventre meridionale della Cina».

L’appello di Modi al leader spirituale tibetano il 6 luglio – proprio nel suo essere una novità rispetto al passato – ha rappresentato un cambio di toni per Pechino. Ciò che è degno di nota è anche che New Delhi non si è impegnata in alcuna forma di scambio di congratulazioni con Pechino in occasione del centenario del Partito Comunista Cinese il primo luglio. L’azione dell’India può essere letta in due contesti. Primo, al 100esimo anniversario del Pcc, il leader cinese Xi Jinping ha rilasciato il seguente messaggio: «Noi [la Cina, ndr] non permetteremo mai a nessuno di fare il prepotente, opprimere o soggiogare la Cina. Chiunque oserà provare, sbatterà la testa a sangue contro la Grande Muraglia d’acciaio forgiata da oltre 1,4 miliardi di cinesi». Secondo, quest’anno c’è stato il 70° anniversario dell’«accordo di 17 articoli/punti» firmato tra Pechino e Lhasa il 23 maggio 1951, che secondo i cinesi ha portato alla «pacifica liberazione del Tibet». In commemorazione di ciò, il Pcc ha pubblicato un documento intitolato Il Tibet dal 1951: liberazione, sviluppo e prosperità, in cui riafferma il controllo militare e amministrativo della Cina sul Tibet, il proprio diritto alla selezione del prossimo Dalai Lama e la stabilità dei confini. Per quanto riguarda la reincarnazione del 15° Dalai Lama, la Cina sostiene che il prossimo Dalai Lama dovrebbe essere selezionato con l’assenso di Pechino, come già fatto per il Panchen Lama, il secondo leader religioso tibetano. Tuttavia, il Dalai Lama e il popolo tibetano si sono costantemente opposti alla politica di Pechino.

Con questi pretesti, il calibrato passo in avanti di Nuova Delhi mostra solo che l’India vuole deliberatamente che la Cina sappia: se Pechino fa sul serio, allora anche Nuova Delhi! Cioè, l’India non è pronta per essere l’unica a «rispettare le sensibilità», se la Cina non lo fa. Mentre l’India ha mantenuto la sua posizione diplomatica su «One China Policy», la Cina non ha riconosciuto la sensibilità dell’India in termini di confine, la questione del Kashmir e ora il corridoio economico Cina-Pakistan. Per esempio, Pechino si è opposta all’abrogazione dell’articolo 370 della Costituzione da parte dell’India definendolo il tentativo «unilaterale» di Nuova Delhi di cambiare lo status quo in Ladakh. Inoltre, il Corridoio Economico Cina-Pakistan passa attraverso il Gilgit-Baltistan che sfida la sovranità dell’India lungo il Kashmir occupato dal Pakistan (PoK). Quindi, se alla Cina non interessa, perché all’India dovrebbe interessare la sensibilità della Cina? Poiché l’onere è di entrambe le parti, se la Cina continua a interferire nelle questioni interne dell’India, anche l’India giocherà le sue carte con saggezza. Più precisamente, l’azione dell’India fa capire che New Delhi non temerà mai alcuna pressione da Pechino.

A conti fatti, questo dimostra che, a meno che il regime cinese non cambi atteggiamento, l’India continuerà a tener testa, non solo militarmente, ma politicamente e diplomaticamente.

 

La dottoressa Amrita Jash è ricercatrice presso il Center for Land Warfare Studies, New Delhi. È stata Pavate Fellow presso il Dipartimento di Polis, Università di Cambridge. Ha conseguito un dottorato di ricerca in studi cinesi presso la Jawaharlal Nehru University ed è autrice del libro «Il concetto di difesa attiva nella strategia militare cinese» (Pentagon Press, 2021). Può essere raggiunta su Twitter a @amritajash.

Le opinioni espresse in quest’articolo sono dell’autrice e non riflettono necessariamente quelle di Epoch Times.

Articolo in inglese: With China, India Means Business

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