L’economia cinese secondo Xi: meno mercati, più socialismo

Di Antonio Graceffo

Nel 2012, Xi Jinping ha detto al popolo cinese che «solo il socialismo può salvare la Cina». Sebbene sia stato il capitalismo a migliorare drasticamente gli standard di vita del Paese, Xi sta riportando il Paese al socialismo più severo, quello che ha mantenuto la Cina povera decenni fa.

L’ex leader cinese Deng Xiaoping aveva affermato che «diventare ricchi è glorioso», il che era coerente con il suo programma di «riforma e apertura» del 1978. Aprendo i suoi mercati al mondo e consentendo all’economia di venire guidata dalle forze di mercato, la Cina è stata in grado di creare una straordinaria classe media e il maggior numero di miliardari al mondo.

La «politica di apertura», iniziata nel 1999 ha promosso gli investimenti diretti verso l’estero (Odi). Ha inoltre incoraggiato le aziende cinesi ad andare all’estero per imparare da aziende straniere, il che ha portato la Cina a diventare il secondo Paese più ricco del mondo.

Il ritorno di Xi a maggiori controlli socialisti, all’allontanamento dal mondo e alla repressione delle forze di mercato, suggeriscono che il capo del Pcc abbia dimenticato come la Cina sia diventata ricca.

Il «miracolo» economico della Cina non è venuto dalla pianificazione centralizzata, ma piuttosto dall’apertura del Paese alle idee del libero mercato, ai principi economici di base e alla possibilità per il settore privato di crescere in modo organico. Ciò ha accelerato lo sviluppo del Paese, facendo salire i redditi.

Ma Xi ora sta rafforzando la propria presa, e la presa del Pcc, sull’economia, mentre sostituisce una sana economia con slogan socialisti. Si impegna a ridurre il divario di ricchezza «dividendo la torta bene», piuttosto che istituendo politiche economiche che aiutino i poveri ad aumentare la loro ricchezza.

«Il pensiero di Xi Jinping sull’economia socialista con caratteristiche cinesi per una nuova era» è l’opera di economia fondamentale dell’attuale leader cinese. Xi è il primo leader – dopo Mao Zedong – ad avere un suo pensiero che è entrato nella Costituzione. Anche il nome delle sue riflessioni raccolte è di per sé uno slogan ideologico, che chiama il sistema del Paese ‘socialismo con caratteristiche di mercato’.

In pratica, il sistema è diventato un capitalismo di Stato con caratteristiche socialiste, in cui le grandi aziende fedeli allo Stato sono favorite e controllate, mentre l’impresa privata e le nuove leve sono limitate e soppresse.

A giugno è stato aperto il primo Centro di Pensiero Xi Jinping. Presto ne sono seguiti altri due, concentrati sullo studio del pensiero economico di Xi. In totale, sono stati istituiti 18 centri di ricerca sul pensiero di Xi, ciascuno dedicato a uno dei numerosi argomenti, tra cui politica, cultura, scienza, istruzione, religione, diplomazia, economia e sicurezza nazionale.

Il pensiero di Xi promette di «far sì che il mercato svolga un ruolo decisivo nell’allocazione delle risorse» che sia coerente con un’economia di mercato; ma poi sottolinea «la necessità di rafforzare la leadership centralizzata e unificata del Partito sul lavoro economico», il che suggerisce una maggiore pianificazione centrale e controlli più severi.

La pietra angolare del pensiero di Xi Jinping sono «I quattro complessi», che insieme, hanno lo scopo di costruire il socialismo con caratteristiche cinesi. I Quattro sono: 1) costruire una società moderatamente prospera; 2) approfondire la riforma; 3) governare la nazione secondo la legge; e 4) inasprire la disciplina del Partito.

È interessante notare che dei quattro, solo il primo si occupa di economia. È anche l’unico che promette una ricompensa alla popolazione. Gli altri tre sono l’impegno di Xi per un maggiore controllo del governo.

Il socialismo di mercato di Xi ha una serie di valori fondamentali: «prosperità, democrazia, civiltà e armonia; valori sociali di libertà, uguaglianza, giustizia e Stato di diritto; e i valori di cittadinanza di patriottismo, dedizione, integrità e amicizia», secondo il South China Morning Post.

Ma in un Paese con una sorveglianza statale sempre più intensa e dove la vita delle persone può essere rovinata da un declassamento del loro punteggio di credito sociale, i cittadini stanno costantemente perdendo le loro libertà.

Allo stesso modo, il Partito Comunista Cinese (Pcc) afferma di essere dedito alla democrazia, ma il Paese è effettivamente un sistema a partito unico. I partiti minori esistono, ma devono cedere al ruolo guida del Pcc. Inoltre, non solo i cittadini non votano per il loro leader, ma Xi ora ha un mandato a vita.

Il mantra del socialismo con caratteristiche cinesi ha concesso al Pcc un margine di manovra sufficiente per sostenere la crescita economica e commerciale, da un lato, pur mantenendo le restrizioni sulle libertà fondamentali, dall’altro. Questo sistema ha resistito, più o meno, dal 1978.

Xi, tuttavia ha chiaramente deciso di tenere a freno non solo il settore economico privato, ma anche la sfera privata della vita dei cittadini. Xi ha istituito un limite di tre ore per i bambini che giocano ai videogiochi. Ha bandito i ragazzi effemminati dalla Tv e da altri media. E vuole che le persone ritornino a un insieme comune di valori socialisti.

Secondo il media statale Xinhua, Xi ha affermato: «Il vantaggio di una grande economia risiede nel vantaggio della circolazione interna». Questo è solo un eufemismo per dire che Xi vuole allontanarsi dall’economia mondiale. Piuttosto che sulle esportazioni, Xi sta ora esortando le persone a concentrarsi su un’economia interna guidata dalla domanda, mentre contemporaneamente impedisce a tale economia di funzionare. «L’economia è un sistema circolante dinamico che non può permettersi un’interruzione a lungo termine», ha scritto Xinhua citando Xi, lo stesso uomo che ha adottato una politica zero-covid e ha chiuso parti dell’economia cinese e mondiale per quasi due anni.

Il danno che le politiche di Xi stanno facendo alla Cina si sta estendendo al resto del mondo. A meno che Xi non rilasci la presa, l’economia non può riprendersi. Fino ad allora, i suoi slogan socialisti di mercato saranno solo parole ambigue prive di significato.

 

Antonio Graceffo, Ph.D., ha trascorso oltre 20 anni in Asia. Si è laureato all’Università dello Sport di Shanghai e ha conseguito un China-Mba presso l’Universitò Jiaotong di Shanghai. Antonio lavora come professore di economia e analista economico cinese, scrivendo per vari media internazionali. Alcuni dei suoi libri sulla Cina includono «Beyond the Belt and Road: China’s Global Economic Expansion» e «A Short Course on the Chinese Economy».

Le opinioni espresse in quest’articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente quelle di Epoch Times.

Articolo in inglese: The Chinese Economy: Less Markets, More Socialism

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