Le sanzioni politiche non funzionano

Fra tutti i provvedimenti diplomatici, le ‘sanzioni’ rappresentano un’arma spuntata. Forse sono un passo in avanti rispetto alla ‘nota di protesta’ di un governo verso un altro, ma la realtà è semplicemente che non funzionano. E spesso hanno effetti collaterali che danneggiano altri, piuttosto che lo Stato sanzionato.
Ciononostante, gli Stati Uniti impongono un nuovo giro di sanzioni contro Iran, Corea del Nord e Russia. Come nelle seconde nozze, ci si attacca alla speranza a dispetto dell’esperienza.

Gli Stati Uniti sostengono che l’Iran continua a violare le ingiunzioni imposte sui missili balistici e sottolineano come la Corea del Nord abbia violato le precedenti misure contro i programmi dei missili nucleari e balistici. Anche la Russia è stata sanzionata, a causa dell’annessione della Crimea e degli attacchi all’Ucraina orientale. Ritengono inoltre che Mosca abbia interferito con le elezioni presidenziali statunitensi del 2016, venendo in possesso delle mail delle organizzazioni del Partito democratico e del suo candidato Hillary Clinton e fornendole ai media, apparentemente per assistere il candidato repubblicano Trump.

Nei precedenti giri di sanzioni, l’America ha cercato di limitare l’attività economica e finanziaria di questi Stati e posto limiti sui viaggi dei funzionari russi negli Stati Uniti. A dicembre 2016 sono stati anche espulsi 35 diplomatici russi e sequestrate due strutture utilizzate in attività operative e ricreative.

Ma occorre fermarsi un momento per riflettere e domandarsi quale effetto abbiano avuto queste misure. Teheran non ha interrotto i test missilistici e la Corea del Nord non ha cessato il suo programma nucleare e sui missili balistici. Mosca non si è ritirata dalla Crimea, non ha cessato di aggredire l’Ucraina e non ha ammesso di aver interferito nelle elezioni statunitensi.

In un primo tempo, dopo l’espulsione del diplomatico russo e il sequestro delle strutture russe, Putin ha assunto una posizione di superiorità, senza intraprendere alcuna azione reciproca nei confronti dei diplomatici statunitensi. Probabilmente sperava o si aspettava, in base ai commenti ufficiosi dei nuovi alti funzionari della Casa Bianca, che la decisione sarebbe stata poi annullata.

Ora, però, Putin ha agito in modo preventivo. Prevedendo misure punitive, il ministro degli Esteri russo ha dichiarato che avrebbe sequestrato un magazzino e una casa vacanze a Mosca, che dal primo agosto venivano utilizzate dal personale dell’Ambasciata statunitense. Ha poi dichiarato che entro il primo dicembre gli «impiegati tecnici e diplomatici» degli Stati Uniti nell’Ambasciata di Mosca e nei Consolati di San Pietroburgo, Yekaterinburg e Vladivostok devono essere ridotti a 455, un numero uguale a quello dei membri del personale diplomatico russo negli Stati Uniti. Il personale statunitense di Mosca potrà almeno godere di festività natalizie presso le strutture già sequestrate (e, forse con ironia, uno dei motivi che Putin aveva citato per non reagire subito contro Washington a dicembre 2016 era proprio quello di permettere ai diplomatici di festeggiare il Natale).

Tuttavia, nessuno, ma proprio nessuno, dovrebbe aspettarsi un cambiamento in Iran, Corea del Nord o Russia, dovuto alle sanzioni.

Uno studio condotto da Gary Hufbauer, dell’Istituto per l’Economia internazionale Peterson, e colleghi, ha esaminato duecento casi di sanzioni economiche a partire dalla Prima Guerra Mondiale. Hufbauer ha dichiarato al New York Times che quando le sanzioni «hanno obiettivi modesti e sono dirette a Paesi non molto forti ma che hanno assaggiato un po’ del sapore democratico e che hanno stretti rapporti economici con la coalizione sanzionatrice, riescono a cambiare i comportamenti dei Paesi in circa la metà del tempo». Tra gli esempi c’era l’aver aiutato a persuadere la leadership golpista in Guinea Bissau e nella Repubblica Centrafricana a tenere delle elezioni.

Tra gli evidenti casi di fallimento, oltre a Iran, Corea del Nord e Russia, ci sono la Siria di Assad e lo Zimbabwe di Mugabe. Nonostante le sanzioni, le forze turche sono rimaste a Cipro; India e Pakistan hanno continuato i programmi nucleari e diversi Paesi del Sudamerica hanno ignorato le richieste di intraprendere azioni vigorose contro la produzione di droga. Alla fine, le sanzioni sono state di fatto sospese. Forse il fallimento più evidente è negli sforzi di Washington per cambiare il regime di Cuba, nonostante cinquant’anni di tentativi (che hanno alla fine portato l’amministrazione Obama alla rinuncia).

Essenzialmente, gli Stati con una forte leadership trovano dei ‘trucchi’ per contrastare le sanzioni. Ad esempio collaborano con Paesi terzi, che, in cambio di soldi, gestiscono i beni sotto embargo; oppure utilizzano le sanzioni per stimolare l’ira della nazione contro coloro che le impongono. Gli individui sanzionati, invece, nascondono i propri conti bancari e sono più che felici di cambiare luogo di villeggiatura.

Inoltre, per effetto di conseguenze non intenzionali, l’Unione europea sta scricchiolando a causa dei danni collaterali dovuti al dover diversificare le proprie fonti energetiche. La Germania, a quanto pare, teme che le sue imprese statali che hanno collaborato con Gazprom per fornire gas all’Europa orientale possano subire limitazioni dovute a future sanzioni.

Infatti le sanzioni reciproche tra Russia e Usa, potrebbero portare a un peggioramento della relazioni diplomatiche con Mosca. Il nuovo ambasciatore americano, John Huntsman, non è che sia al punto di dover guidare da solo la propria macchina, ma il suo staff è sicuramente ridotto all’osso.

Un altro tentativo di fare il ‘Russian reset’ è fallito.

David T. Jones è un ex funzionario in pensione del servizio estero del Dipartimento di Stato degli Usa. Nella sua carriera di oltre 30 anni si è concentrato su questioni politico-militari in qualità di consigliere di due capi di Stato militari e ha pubblicato centinaia di libri, articoli e recensioni sulle questioni bilaterali statunitensi e canadesi e sulla politica estera in generale. Tra i suoi libri spicca ‘Alternative North Americas: What Canada and the United States Can Learn from Each Other’.

Le opinioni nell’articolo non riflettono necessariamente il punto di vista di Epoch Times. 

 

Articolo in inglese: ‘Sanctions Are Feckless

Traduzione di Massimiliano Russano

 
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