Metropoli e salute mentale: le grandi città ci rendono malati?

Nikolas Rose è il responsabile del corso di Scienze Sociali Salute e Medicina presso il King’s College di Londra. Des Fitzgerald è docente di sociologia presso l’università di Cardiff, nel Regno Unito. 

Spesso si dice che stiamo vivendo un altro periodo di urbanizzazione di massa: un’epoca in cui sempre più persone, in tutte le parti del mondo, si muovono dai paesi e dai villaggi per andare a vivere nelle città, spesso megalopoli con almeno 25 milioni di abitanti. Le Nazioni Unite prevedono che entro il 2050 due terzi della popolazione mondale vivranno nelle città.

I politici tendono a concentrarsi sulle conseguenze economiche e ambientali di questo sviluppo. Tuttavia, gli effetti che un tale movimento potrebbe avere sulla salute mentale vengono considerati di meno. Considerando le numerose esperienze di tensione e stress urbano – la confusione, il rumore, la competizione, la densità umana, l’atmosfera innaturale e frenetica, la vicinanza forzata con gli sconosciuti, la frequente combinazione di folla e isolamento – non andrebbe posta maggiore attenzione all’esperienza della vita in città?

La questione della vita mentale nelle metropoli ha occupato molti studiosi che hanno cercato di darne un senso durante l’ultimo grande periodo di urbanizzazione – l’incredibile migrazione dalle campagne alle città che ha avuto luogo durante l’industrializzazione europea e statunitense nel 19esimo secolo. Il sociologo tedesco Georg Simmel è stato uno dei primi a descrivere quello che ha definito l’atteggiamento ‘blasé’ del cittadino – una sorta d’indifferenza psicologica, necessaria nel momento in cui i nervi di una persona sono a contatto diretto con la stimolazione senza fine della vita cittadina.

Allo stesso tempo, l’epidemiologia ha trovato delle sproporzionate quantità di malattie mentali tra coloro che adesso vivono in città: dal delirio alcolico degli immigrati strappati alle campagne, al crollo mentale spesso chiamato schizofrenia.

Per lungo tempo gli psichiatri hanno cercato di dare un senso a questi modelli. È possibile che le persone più esposte al collasso mentale si orientino verso alcune parti del centro urbano nelle quali si sentono a casa? Oppure c’è qualcosa nello stress della vita cittadina che causa questi disturbi, in persone che altrimenti si adatterebbero perfettamente alla vita di paese? In quest’ultimo caso, abbiamo bisogno di esplorare ciò che riguarda la vita nella città: la densità di abitazioni, la privazione, la povertà, la disoccupazione, la dinamica del razzismo che viene intensificata nello spazio urbano, e così via.

Ma d’altra parte, può essere che la maggior parte di questi casi funga solo da catalizzatore, che va a stimolare persone già vulnerabili a causa di una predisposizione biologica. O magari sono entrambe le cose. Le radici di questo disturbo mentale si trovano nell’individuo, nella città o nel loro rapporto?

DOMANDE SENZA RISPOSTA

Nonostante il dettagliato lavoro demografico, epidemiologico e sociologico, la faccenda rimane irrisolta: non c’è alcun consenso sulla relazione tra la metropoli e la vita mentale. Dato l’aumento delle metropoli e delle sfide di pianificazione dei servizi di salute mentale, la questione è diventata ancora più urgente di quanto non fosse nel 19esimo e nel 20esimo secolo.

In un nuovo documento, scritto per il portfolio sulle trasformazioni urbane del Consiglio di Ricerca Economica e Sociale (ESRC), da cui derivano una serie di workshop interdisciplinari finanziati dalla Esrc, si sostiene che il voler rispondere a questa domanda imponga la necessità di colmare il divario esistente fra le scienze sociali e le scienze biologiche.

I recenti sviluppi nelle scienze biologiche hanno cambiato la nostra comprensione degli organismi e delle loro relazioni con l’ambiente fisico e sociale di appartenenza. Gli organismi, compresi quelli umani, non possono più essere adeguatamente intesi come sistemi chiusi, delimitati da membrane di cellule, organi e pelle. I risultati della ricerca nel campo della biologia – dalla genetica alle neuroscienze – richiedono di concepire gli esseri umani come un sistema aperto e permeabile, in continuo sviluppo e trasformazione, che si manifesta tramite delle interazioni dinamiche a livello di molecole, geni, cellule, e di cervello, rispetto al proprio ambiente fisico e sociale.

Naturalmente, molti dei problemi della vita cittadina sono radicati nelle relazioni sociali ed economiche; ma questi rapporti riguardano anche corpi e cervelli. Allo stesso modo, sebbene i disturbi mentali si manifestino indubbiamente tramite dei processi neurobiologici, bisogna andare al di là di un focus incentrato solamente sul cervello, e cominciare a comprendere e studiare la città come uno spazio ‘neurosociale’, e osservare come la vita della città compenetra profondamente la vita mentale e neurale dei suoi abitanti.

STRADA E PELLE

Nuove ricerche, metodi e dati stanno offrendo degli spunti promettenti per dei nuovi concetti che possano spiegare come l’esistenza urbana entri sotto la pelle. Per esempio, si potrebbero combinare gli approcci delle scienze biologiche e sociali per capire come le precarie vite sociali dei migranti rurali nella Shanghai contemporanea siano implicate nello sviluppo di disturbi psichiatrici di rapida espansione.

Questo significherebbe unire decenni di dati epidemiologici dettagliati sulle strade e sui complessi residenziali della Londra sud-orientale con l’attuale ricerca neuroscientifica sullo stress, e con il lavoro antropologico che ingrandisce le micro-interazioni della vita urbana.

Il compito dei ricercatori è impegnativo. Possono esserci gli stessi processi per città differenti come Shanghai e Londra? Il numero delle variabili e dei fattori in questi sentieri neurosociali sarà così grande da sfidare i nostri tentavi di inquadrarli in una teoria coerente?

Nondimeno, se oggi ci accingiamo a fare i conti con le conseguenze dell’urbanizzazione sulla salute mentale, abbiamo bisogno di iniziare a pensare in modo diverso circa la vita della città; non semplicemente come una forma di organizzazione sociale che ha delle conseguenze biologiche, ma come una forma di vita la cui neurologia e gli aspetti sociologici sono inseparabili l’uno dall’altro.

Il contenuto di questo articolo rappresenta le opinioni dell’autore e non riflette necessariamente un punto di vista o una posizione di Epoch Times.

Articolo in inglese: ‘The Metropolis and Mental Health: Are Big Cities Making Us Sick?

 
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