Le mafie e il traffico dei migranti

Il traffico dei migranti in Italia, oltre che una tragedia, è un business. Un’espressione spesso utilizzata non a torto: non si tratta solo del presunto malaffare dei centri di accoglienza, ma di un giro più vasto, che coinvolge trafficanti, imprenditori e crimine organizzato.

Alcuni imprenditori agricoli italiani, infatti, collaborano con i trafficanti africani perché procurino loro dei giovani da schiavizzare nelle loro campagne. Di solito facendo leva sull’ingenuità e le illusioni dei ragazzi, convinti di poter migliorare la propria condizione economica in Italia. La maggior parte non sono affatto disperati, ma persone relativamente benestanti in patria (spesso istruite) che alla ricerca di condizioni di vita migliori in Occidente.

In tutto questo, si inserisce la mafia. A novembre 2017, il Fatto Quotidiano ha intervistato un trafficante, che ha spiegato che in Sicilia, i migranti che arrivano con i barconi eludendo i controlli delle autorità, vengono ‘salvati’ in mare, non dalle Ong, ma dalle barche dei mafiosi. Il tutto – spiega il trafficante anonimo – in cambio di sigarette di contrabbando, droga «e altre cose». Anche se dall’articolo del Fatto non emerge, è probabile che i criminali non si accontentino di quella poca quantità di merce che può trasportare un barcone di migranti. È ragionevole supporre che sia un surplus, e che in ben altri modi si possa lucrare sulla vera ricchezza che trasportano le barche: i migranti stessi.

Secondo una ricostruzione di meltingpot.org, sito specializzato sull’immigrazione, la criminalità organizzata sfrutta la situazione caotica dei centri di accoglienza per reclutare uomini insoddisfatti e delusi come corrieri della droga o ‘picciotti’.
Le donne, invece, vengono talvolta attirate fuori dal campo con un pretesto e poi costrette, con violenze e ricatti, a prostituirsi. Alcune si ritrovano a viaggiare dalla Nigeria all’Italia sognando di lavorare come parrucchiere nel Bel Paese, senza rendersi conto che il loro destino come prostitute è già tracciato, a partire dal trafficante che anticipa loro i soldi del viaggio, fino all’entrata nel campo d’accoglienza, e poi all’ingresso forzato nel giro. Altre ragazze, invece, ne sono consapevoli fin dall’inizio e lo accettano, pur di accumulare denaro per costruire un futuro migliore.

Inoltre la criminalità organizzata, in alcuni casi, entra in affari direttamente con i centri d’accoglienza: a volte chiede il pizzo, e in cambio aiuta a sbrigare più rapidamente le pratiche burocratiche. Inoltre, collaborando con i centri, la mafia ha modo di offrire posti di lavoro, potendo così migliorare la propria immagine e quindi aumentare il proprio potere.

Altre volte, però, alcuni gestori dei centri d’accoglienza violano la legge senza l’intervento della mafia: lucrano sui fondi che il governo fornisce loro per ogni migrante ospitato (35 euro al giorno); ospitano a volte più del numero di migranti che il centro possa accogliere realmente (rendendo le condizioni di vita ancora più intollerabili); risparmiano sul cibo e i servizi offerti in modo da intascarsi la differenza, o continuano a prendere contributi statali per migranti che hanno già da tempo abbandonato il centro, ma che sulla carta risultano ancora all’interno. Le ‘mafie’ a volte vendono persino le identità dei migranti che hanno abbandonato i centri, da usare proprio per incassare altri contributi statali.
Va precisato che si tratta di fatti emersi da diverse inchieste in diverse parti d’Italia, ma è difficile determinare quanto la situazione sia diffusa nel resto del Paese. Naturalmente, come spesso accade, gli esempi negativi hanno più risalto di quelli positivi (che sono probabilmente la maggioranza), ma questo non significa che la situazione vada minimizzata.

 

 
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