Le industrie farmaceutiche «inventano le malattie», il vecchio documentario Rai diventa un caso

Dopo il servizio sui coronavirus dei pipistrelli studiati in Cina, un altro vecchio servizio Rai – ora a quanto sembra non visionabile sul sito dell’azienda ma comunque  presente nell’archivio – sta circolando sul web e, in piena pandemia, si può facilmente intuire il perché. Il titolo è «Inventori di malattie» ed è un’inchiesta del giornalista, scomparso di recente, Silvestro Montanaro. Il documentario contiene tra le altre un’intervista al medico ‘insider’ Peter Rost, che ha lavorato per anni ai vertici di importanti case farmaceutiche, in ultimo alla Pfizer (come noto, una delle aziende distributrici di vaccini per il Covid-19 o Virus del Pcc). Quest’ultima è con molta probabilità tra le ragioni ultime per cui il video è diventato virale, ma c’è dell’altro.

Nell’inchiesta del 2009 del programma Rai C’era una volta, condotto allora da Montanaro, veniva messo in luce infatti come l’industria farmaceutica sia in qualche modo costretta a ‘creare’ sempre nuove malattie per continuare a generare profitti sempre più grandi. In particolare verrebbero messe in atto strategie con cui si ‘inventano’ malattie già anni prima dell’uscita di un certo farmaco, così da assicurarsi poi i profitti delle vendite di quest’ultimo, dopo un periodo adeguato di marketing e pubblicità. Insomma, niente altro che «farmaci per gente sana». Questo quindi ha portato in molti, soprattutto chi nega l’esistenza del virus Covid-19 (o comunque chi mette in discussione la sua reale pericolosità o gravità, o chi critica le misure di lockdown), a ricollegare l’attuale pandemia alle dinamiche illustrate nel documentario.

Il fenomeno viene descritto nel video come noto e diffuso e prende il nome di ‘disease mongering’, ovvero la commercializzazione delle malattie. In pratica significa che portando agli estremi la definizione di malattia, si possono produrre altre e nuove malattie, facendo rientrare tra i segnali di queste ultime dei sintomi molto confondibili e/o diverse sensazioni comuni e spesso normali che le persone hanno.

Il punto sottolineato dal documentario ad ogni modo, non è che non esista alcuna patologia e che tutti i farmaci siano quindi inutili per tutti, ma che spesso e volentieri, in maniera scorretta o per esigenze di mercato, si tende a far leva sulle emozioni di panico e sulla paura per dei sintomi lievi o comunque sopportabili e forse destinati a passare da soli, al fine così di creare una domanda di farmaco più estesa per quella determinata malattia e vendere così più farmaci di quanti realmente ne servirebbero. E questa strategia sembra avere enormemente successo a volte, tanto da generare ingenti guadagni, ma allo stesso tempo anche molti danni. Quegli stessi farmaci potrebbero infatti generare a loro volta nuovi sintomi o effetti collaterali che richiedono nuove cure e quindi nuovi farmaci da poter vendere.

Tuttavia oltre che a estendere notevolmente la domanda dei farmaci per le malattie già esistenti, si spiega nell’inchiesta, le case farmaceutiche riuscirebbero a creare persino malattie che non esistono pur di vendere un farmaco. Potrebbe sembrare che questo passaggio nel video avalli quindi le idee di quelli che sostengono che il Covid-19 non esista per nulla: ma nell’inchiesta, a tal riguardo, si prendono come riferimenti condizioni di partenza molti diverse dalle dinamiche dei virus, come timidezza, menopausa e invecchiamento, e non si fa riferimento ai virus. Ad ogni modo si dà comunque ampio spazio alla strategia della paura adottata dalle industrie farmaceutiche. Per tale ragione, inevitabilmente e di questi tempi, il video è diventato virale.

Nell’inchiesta il medico ‘insider’ Peter Rost esordisce così, entrando a gamba tesa contro il settore farmaceutico: «Mi chiamo Peter Rost, sono un medico, e ho lavorato per circa vent’anni nel settore farmaceutico, in ultimo alla Pfizer come vicepresidente del settore marketing, e dopo essermene andato dalla Pfizer per aver denunciato pubblicamente alcune pratiche illegali, ho lavorato come scrittore, giornalista e consulente negli Stati Uniti. Ho definito il settore farmaceutico “una specie di mafia”. E intendevo dire che – esattamente come il crimine organizzato – il settore farmaceutico è stato dichiarato colpevole di reati molto grossi, e ha pagato multe di miliardi di dollari; è molto potente, e se qualcuno prova a parlare apertamente di quello che succede in quel mondo, viene letteralmente mandato via a calci. E quindi, il settore farmaceutico si comporta e ha un potere sulla politica molto simile alla mafia».

Poi continua, rincarando la dose e mettendo in risalto la connessione tra case farmaceutiche, business e borsa a livello mondiale: «A Wall Street non importa quanti soldi fai o quali sono gli utili che riesci a ottenere, l’unica cosa che interessa a Wall Street è quanti utili in più farai l’anno successivo. Perciò si instaura una specie di circolo vizioso, per cui i tuoi successi passati, l’enorme successo ottenuto con un farmaco importante significano che devi fare ancora meglio con i nuovi farmaci anche se non hai niente in cantiere, e ciò spinge le aziende a fare cose illegali, cose che non dovrebbero fare».

 

 
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