Le e-mail di Hunter Biden e le sue ramificazioni nella guerra in Ucraina

Di Jeff Carlson / Hans Mahnke

Quando il 12 aprile 2019 Hunter Biden ha portato il suo laptop in un’officina di riparazione di computer a Wilmington, nel Delaware, è stato l’inizio di una serie di eventi fatali che sarebbero culminati con l’ammissione finale, da parte del New York Times, che il laptop di Biden e il suo contenuto erano reali.

I precedenti articoli del New York Post sulle e-mail dettagliate che sono state trovate nel laptop di Hunter Biden, mostrano che l’allora candidato alla presidenza Joe Biden, suo fratello James e il figlio Hunter Biden erano tutti profondamente coinvolti in varie iniziative imprenditoriali all’estero, in Qatar, Ucraina, Russia, e Cina.

Le e-mail hanno anche mostrato che Hunter Biden è stato incaricato dal capo del consiglio di amministrazione di una società energetica ucraina di trovare un modo per fermare le indagini sulla società. Sebbene l’autenticità del suo laptop fosse stata confermata in precedenza, sfortunatamente è stata necessaria una verifica da parte del New York Times per consentire alla storia di entrare nel mainstream.

L’ammissione intenzionalmente ritardata da parte dei media principale sull’esistenza reale del laptop di H. Biden, solleva molte questioni sostanziali, comprese quelle che circondano l’idoneità alla carica del presidente Joe Biden e la sua capacità di dirigere la politica estera, in particolare in relazione al conflitto Ucraina-Russia.

L’esistenza del laptop di Hunter Biden è stata rivelata pubblicamente per la prima volta il 14 ottobre 2020, quando il New York Post ha pubblicato una prima pagina in cui descriveva in dettaglio come le e-mail trovate sul laptop legassero Biden-padre ai partner commerciali ucraini del figlio.

Quando il caso è scoppiato per la prima volta, un’ampia coalizione composta da media principali, funzionari dell’intelligence e società Big Tech, ha interferito nelle elezioni del 2020 censurandolo e reprimendolo, sostenendo che si trattasse di un complotto russo. Twitter ha prima emesso avvertimenti sulla storia del Post, quindi ne ha sospeso l’account per aver pubblicato l’articolo, e ha sospeso anche quello dei giornalisti che stavano esaminando le accuse. Facebook ha invece annunciato che avrebbe limitato la distribuzione della storia sulla sua piattaforma, in attesa di verifiche, che non sono mai arrivate.

Il direttore politico della Cnn David Chalian ha emesso ordini interni, secondo cui i giornalisti della Cnn non avrebbero dovuto parlare della questione: «Ovviamente, non seguiamo la storia del New York Post in questo momento su Hunter Biden. Continueremo semplicemente a riferire che questa è proprio la materia per cui il presidente è stato messo sotto accusa […] che i comitati del Senato hanno esaminato e non hanno trovato nulla di sbagliato nelle interazioni di Joe Biden con gli ucraini».

Pbs ha scritto su Twitter: «Non vogliamo sprecare il nostro tempo con storie che non sono realmente storie, e non vogliamo sprecare il tempo dei nostri ascoltatori e lettori con storie che sono solo pure distrazioni».

L’amministrazione Biden, in diretta violazione del Primo Emendamento, ha ripetutamente ammesso di aver lavorato direttamente con le aziende Big Tech per censurare o eliminare ciò che riteneva essere disinformazione.

Durante la campagna del 2020, Joe Biden ha ripetutamente negato di essere a conoscenza degli affari all’estero di Hunter Biden, affermando: «Non ho mai parlato con mio figlio dei suoi affari all’estero». Durante il secondo dibattito presidenziale, Biden è andato oltre, affermando che le storie sul laptop di suo figlio erano state create dalla Russia.

Nel dirlo, Biden si basava su una dichiarazione di un gruppo di oltre 50 ex funzionari dell’intelligence, tra cui l’ex direttore della Cia John Brennan e James Clapper, l’ex direttore dell’intelligence nazionale, che affermavano tutti falsamente che la storia del laptop di Hunter Biden fosse disinformazione russa. I funzionari dell’intelligence hanno rilasciato la loro dichiarazione direttamente prima delle elezioni presidenziali del 2020 in una lettera pubblica del 19 ottobre 2020, in cui si affermava che la storia del Post «ha tutti i classici segni di un’operazione di disinformazione russa».

L’affermazione di un complotto russo era assurda. Molte delle e-mail sul laptop erano già state verificate dall’ex socio in affari della famiglia Biden Tony Bobulinksi, che aveva copie corrispondenti di molte delle stesse e-mail e messaggi di testo. Inoltre l’Fbi aveva preso possesso del laptop nel dicembre 2019. E aveva aperto un’indagine su Hunter Biden per molteplici reati, tra cui riciclaggio di denaro e possibili violazioni del Foreign Agents Registration Act. Ma i media principali hanno ignorato – o peggio ancora, nascosto – questi fatti, scegliendo invece di spingere l’idea della disinformazione russa.

Alla fine, le tattiche di repressione dei media hanno funzionato e molti elettori di Biden non hanno mai scoperto il laptop di suo figlio o il fatto che la famiglia Biden fosse sotto indagine dell’Fbi. L’impatto del blackout dei media sulla storia di Biden ha avuto conseguenze materiali per l’esito delle elezioni presidenziali. Un sondaggio di fine 2020 ha mostrato che il 45% degli elettori di Biden era completamente all’oscuro delle numerose accuse contro Hunter e Joe Biden. Lo stesso sondaggio suggeriva anche che la conoscenza pubblica di queste informazioni avrebbe cambiato l’esito delle elezioni.

L’incapacità del Dipartimento di Giustizia (Doj) di mettere il pubblico a conoscenza di una questione cruciale di sicurezza nazionale non solo ha avuto un impatto sulle elezioni presidenziali del 2020, ma ha anche cambiato il corso dell’impeachment del gennaio 2020 contro Trump – l’unico terzo impeachment nei 244 anni di storia della nazione – quando l’Fbi e il Dipartimento di Giustizia non hanno rivelato l’esistenza di prove cruciali e discolpanti derivanti da laptop di Hunter.

L’allora procuratore generale Bill Barr, che alla fine ha supervisionato le indagini su Hunter Biden, non ha mai spiegato adeguatamente il motivo per cui tali informazioni erano state nascoste. Se Barr avesse rivelato le informazioni che aveva, il caso contro Trump – che si basava sull’intenzione di Trump di indagare sulla corruzione della famiglia Biden in Ucraina – sarebbe andato in pezzi.

È stato solo dopo la conclusione delle elezioni presidenziali del 2020 che lo stesso Hunter Biden ha improvvisamente riconosciuto, attraverso una dichiarazione , di essere effettivamente sotto indagine federale. In particolare, l’indagine federale era persino più ampia di quanto indicato dalla dichiarazione di Biden, poiché in seguito è stato rivelato che gli investigatori stavano anche «indagando sul potenziale riciclaggio di denaro e sui legami esteri di Hunter Biden».

Quell’indagine continua ancora oggi e sembra che si stia scaldando. In effetti, potrebbe essere probabile che l’ammissione tardiva del Ny Times sia un tentativo di anticipare la storia, in particolare perché ora hanno iniziato a circolare notizie secondo cui Biden è attualmente il «soggetto/bersaglio» di un’indagine del gran giurì.

Forse l’e-mail più dannosa sul laptop è stata quella che H. Biden ha ricevuto il 2 novembre 2015 dal capo del consiglio di amministrazione di Burisma, Vadym Pozharskyi. Quell’e-mail incaricava Biden di produrre «risultati», affermando che lo «scopo finale» era quello di «chiudere qualsiasi caso o attività» contro il proprietario di Burisma Mykola Zlochevsky in Ucraina. All’inizio del 2015, Pozharskyi aveva «trascorso del tempo» con Joe Biden a Washington.

L’obiettivo di Pozharskyi sembrava essere il procuratore generale ucraino Viktor Shokin, che aveva riaperto un’indagine su Zlochevsky che era stata chiusa dal suo predecessore alla fine del 2014 dopo che Burisma avrebbe pagato una tangente di 7 milioni all’ufficio del procuratore ucraino. Le accuse di tangente sono state rese pubbliche attraverso il rilascio di un’e-mail del Dipartimento di Stato del 2016.

Meno di tre settimane dopo che Hunter Biden ha ricevuto l’e-mail di Pozharskyi, Joe Biden ha chiesto per la prima volta la rimozione di Shokin. Dopo che il presidente ucraino Petro Poroshenko non ha rispettato le richieste, Biden ha fatto uso di un miliardo di dollari in garanzie sui prestiti dei contribuenti statunitensi per forzare la rimozione di Shokin. Shokin è stato finalmente rimosso da Poroshenko nel marzo 2016. Nei mesi successivi, il suo successore, Yuriy Lutsenko, approvato da Biden, ha archiviato le indagini su Burisma del suo ufficio.

Quando Biden ha lasciato l’incarico di vice presidente nel gennaio 2017, tutte le indagini su Burisma erano state chiuse.

Shokin, che è stato descritto dai media come un pubblico ministero corrotto, era però stato elogiato per la sua onestà da alcuni importanti funzionari del Dipartimento di Stato nei mesi precedenti.

Victoria Nuland, l’attuale sottosegretario di Stato per gli affari politici di Biden, aveva scritto personalmente a Shokin nel giugno 2015, dicendogli: «Siamo rimasti colpiti dall’ambiziosa riforma e dal programma anticorruzione del vostro governo». Quella lettera è stata consegnata a mano a Shokin dall’allora ambasciatore degli Stati Uniti in Ucraina, Geoffrey Pyatt, su ordine della Nuland.

La Nuland ha anche affermato che le riforme di Shokin avevano dimostrato la sua capacità di «indagare e perseguire la corruzione e altri crimini in modo efficace, equo e trasparente».

La credibilità di Shokin è stata sottolineata ancora una volta in un discorso del settembre 2015 di Pyatt, quando ha affermato che «vogliamo lavorare con il procuratore generale Shokin» perché Shokin stava «guidando la lotta alla corruzione» in Ucraina.

I media hanno poi anche ripetutamente riferito che Shokin aveva chiuso le sue indagini su Burisma prima che Biden spingesse per il suo licenziamento. L’ex procuratore generale Barr ha fatto la stessa falsa dichiarazione nel suo nuovo libro. In verità, come evidenziato in un notiziario, Shokin aveva chiesto con successo un ordine ai tribunali ucraini di sequestrare i beni di Zlochevsky. Tali beni sono stati infine sequestrati il ​​2 febbraio 2016, appena un mese prima del licenziamento di Shokin da parte di Poroshenko nel marzo 2016.

Ci sono molte altre email dannose sul laptop di Hunter Biden. Nell’arco di un solo anno, l’ormai defunto conglomerato cinese Cefc China Energy, gli ha pagato quasi 6 milioni per consulenze e spese legali. La società era di proprietà del miliardario cinese Ye Jianming, misteriosamente scomparso nel marzo 2018. Dopo che la società ha chiuso, una donna di nome Bao Jiaqi, che sembra aver servito come segretaria dell’azienda, ha inviato un’e-mail a Biden per dirgli che avrebbe dovuto prendere i soldi rimanenti da una società derivata, Hudson West Iv, gestita dal socio di Ye Gongwen Dong. Bao ha detto a Biden: «Nessuno si preoccuperà dell’ubicazione dei soldi di nessuno».

Le transazioni finanziarie di Biden sono state successivamente segnalate come attività sospette dal team di conformità aziendale di Wells Fargo che ha inviato a Biden un elenco di domande, tra cui molte relative ai trasferimenti effettuati al fratello di Joe Biden, James. Non è noto se le indagini Wells Fargo siano state risolte.

Cefc China Energy ha anche pagato a Hunter Biden 1 milione per trovare un avvocato con sede negli Stati Uniti per Patrick Ho, un altro associato di Ye che Biden in seguito chiamò «il [imprecazione, ndr] capo delle spie cinesi».

Inoltre, la società di Biden ha ricevuto un bonifico di 3,5 milioni da Elena Baturina, la vedova dell’oligarca russo Yury Luzhkov, l’ex sindaco di Mosca. Le circostanze di tali pagamenti rimangono poco chiare ancora oggi.

Attualmente siamo invischiati in una situazione geopolitica tesa con il conflitto Ucraina-Russia, un conflitto che era del tutto prevenibile. Di recente, nel dicembre 2021, Joe Biden ha sostenuto l’adesione alla Nato dell’Ucraina, così come il suo segretario di Stato, Antony Blinken. Il segretario alla Difesa Lloyd Austin è andato ancora oltre, dicendo che la porta era aperta all’Ucraina per l’adesione alla Nato durante un viaggio in Ucraina nell’ottobre 2021.

Quelle false promesse, che si sapeva che avrebbero sicuramente provocato la Russia, sono in netto contrasto con i primi avvertimenti del direttore della Cia di Biden, che in precedenza aveva affermato che l’adesione alla Nato per l’Ucraina era la «più luccicante di tutte le linee rosse» per la Russia.

A peggiorare le cose, nel novembre 2021 l’amministrazione Biden ha offerto all’Ucraina una carta sul partenariato strategico. La carta, piena di retorica anti-russa e varie promesse all’Ucraina, si sapeva che avrebbe sicuramente fatto infuriare ulteriormente la leadership russa. In particolare, l’amministrazione Biden ha scelto di utilizzare il termine provocatorio «carta», che implica la concessione di diritti, in contrapposizione al termine più neutro «accordo». In realtà, l’uso da parte di Biden del termine carta era effettivamente un mezzo per creare un trattato non ufficiale senza dover passare attraverso l’approvazione del Senato, come normalmente richiesto.

Ora, nel mezzo di un conflitto di non facile risoluzione, la Nato, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e persino l’amministrazione Biden, hanno tutti ammesso che l’adesione alla Nato non è mai stata una possibilità praticabile.

Mentre le motivazioni dell’amministrazione Biden per agitare ripetutamente la Russia rimangono sconosciute, i discutibili rapporti d’affari della famiglia Biden in Cina e Ucraina hanno sollevato la possibilità molto reale che Joe Biden abbia sfruttato la politica e la posizione del governo statunitense per guadagno personale mentre era vicepresidente del presidente Barack Obama.

Ora che la negazione dell’autenticità delle e-mail di Hunter Biden da parte dell’establishment di Washington è stata rimossa, le implicazioni risultanti da quelle e-mail richiedono risposte serie riguardo alle domande sul fatto che Joe Biden sia o meno compromesso a causa dei suoi affari passati. Le bugie pubbliche di Biden sulla sua conoscenza dei grovigli della sua famiglia servono solo ad aumentare l’urgenza di queste domande.

Dopo la nomina di un procuratore speciale e la ricusazione forzata del procuratore generale di Trump per uno scandalo inventato dalla campagna Clinton, come mai non è stato nominato nessun procuratore speciale in relazione alle indagini in corso sulla famiglia Biden? E perché il procuratore generale scelto da Biden è quello che sovrintende alle indagini sulla presunta corruzione della famiglia Biden?

Fondamentalmente, alla luce delle numerose implicazioni derivanti dalla convalida delle e-mail di Hunter Biden e dagli ormai collaudati intrecci di Joe Biden con l’Ucraina, come può essere incaricato, come presidente degli Stati Uniti, di prendere decisioni di politica estera riguardo al conflitto Ucraina-Russia?

E come può venire affidato ai media principali, che hanno dimostrato la loro volontà di mentire per un vantaggio politico partigiano, il compito di fornire una copertura accurata dell’indagine Biden o del conflitto in corso in Ucraina?

Forse la cosa più importante: come può la comunità di intelligence americana, che ha interferito sia nelle elezioni del 2016 che in quelle del 2020 legittimando le affermazioni inventate della campagna Clinton sulla collusione russa e incolpando di complotto russo le rivelazioni dal laptop di Biden, essere attendibile sulle sue affermazioni sull’Ucraina, la politica estera e gli affari interni in generale?

 

Articolo in inglese: The Foreign Policy Ramifications of Hunter’s Emails

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