L’assenza del padre e la conseguente ‘crisi dei ragazzi’

Di Jan Jekielek

«Il 93 percento dei nostri detenuti sono uomini, ma di questo 93 percento oltre il 90 percento sono ragazzi cresciuti senza un padre». Queste parole sono state pronunciate da Warren Farrel, educatore e prolifico autore statunitense, durante un intervista con Epoch Times.

Dal suo punto di vista, l’assenza di una figura paterna in casa è il fattore più importante che si cela dietro la cosiddetta ‘crisi dei ragazzi’: nelle nazioni sviluppate, i ragazzi stanno ottenendo risultati inferiori alle ragazze in tutti gli ambiti accademici, in particolare nella lettura e nella redazione di testi. Inoltre, è molto più comune che i ragazzi soffrano di apatia, disturbi mentali e dipendenza da diversi generi di gratificazioni immediate.
Il libro più recente di Farrell si intitola La crisi dei ragazzi: perché i nostri ragazzi sono in difficoltà e cosa possiamo fare a proposito.

«Quando ho iniziato le mie ricerche per ‘La crisi dei ragazzi’ ho scoperto che in 56 tra i più importanti Paesi sviluppati al mondo, i ragazzi erano in difficoltà». In questi Paesi è socialmente accettato che coppie sposate divorzino e che donne non sposate abbiano figli. Ma i ragazzi che crescono in queste famiglie, senza una figura paterna, se la passano generalmente peggio, rispetto a quelli che vivono in una famiglia unita.

Le ragioni sono le più svariate: a volte «hanno la sensazione di essere dei perdenti a scuola, o che nessuno presti loro la dovuta attenzione. Il loro testosterone non si è ‘incanalato correttamente’. Cercano di attirare l’attenzione in un modo o nell’altro, a seconda della propria comunità e cultura».
«Un giorno – pensano – farò in modo che le persone rimpiangano di non avermi prestato la dovuta attenzione e di non avermi valorizzato».

«A partire dal massacro della Columbine High School, circa il 90 percento degli autori degli omicidi di massa non sono semplicemente ragazzi, ma ragazzi cresciuti senza un padre». Lo stesso è vero per coloro che vengono reclutati dall’Isis: «Oltre il 90 percento delle reclute dell’Isis sono cresciute senza un padre. Sia i maschi che la piccola percentuale di donne reclutate dall’Isis sono persone cresciute senza una figura paterna».

«Il problema non è che le mamme non si danno abbastanza da fare. Le mamme lavorano molto duramente e sono tra le più strenue lavoratrici in tutto il mondo». Piuttosto, le madri single sono spesso sopraffatte dagli impegni, sempre di corsa tra la casa e il lavoro.
E anche quando un bambino ha la fortuna di avere una madre presente, affettuosa e premurosa, continuerà a mancargli un modello maschile da cui prendere esempio, tanto più che la maggior parte delle maestre sono donne.

Inoltre secondo Farrell, a differenza delle ragazze, i ragazzi sono meno incoraggiati dalla società a chiedere aiuto ed esprimere i propri sentimenti. Di certo, ai ragazzi che crescono solo con le proprie madri mancherà quello speciale legame padre-figlio.

L’importanza della figura paterna

Generalmente più ‘ruvidi’ rispetto alle madri, i papà tendono a educare i propri figli in maniera diversa. Un padre potrebbe giocare così: «Ok, scendi giù dal divano e salta sulla mia schiena: devi riuscire a immobilizzarmi prima che io lo faccia con te», spiega Farrell per citare un esempio di quelle dinamiche che creano un legame tra papà e bambino e che gran parte dei bravi papà sanno poi sfruttare, quando arriva il momento di far rispettare le regole e i limiti.

L’ipotetico papà potrebbe dire: «Ok, puoi immobilizzare me, ma Jimmy, hai dato una gomitata nell’occhio a tua sorella. Questo non puoi farlo. Non va bene. Perciò se lo farai ancora non giocheremo più in questo modo». In questo percorso, secondo Farrell, il ragazzo comprende che ci sono dei limiti e impara cosa sia l’empatia per gli altri.

Inoltre, poiché i padri tendono ad essere più severi, riescono a insegnare meglio ai bambini le virtù della pazienza e della gratificazione posticipata (ovvero il preferire ‘una gallina domani’ a ‘un uovo oggi’).

Per fare un esempio, Farrell immagina una madre che promette un gelato a suo figlio se prima finisce di mangiare i piselli. Il bambino tenterà probabilmente di negoziare per abbassare il numero di piselli che deve mangiare prima di poter avere il gelato. Dopo aver mangiato 10 piselli e frignato un pochetto, la mamma potrebbe concedergli il gelato perché non vuole mettersi a combattere per pochi piselli.
«Almeno ci ha provato», potrebbe pensare una mamma. Ma dopo questa esperienza, il bambino potrebbe provare a scamparsela mangiando solo cinque piselli la volta seguente.

Invece, nella stessa situazione, secondo Farrell, «è più probabile che un papà dica: “Scusami ma abbiano un accordo. Tu conosci l’accordo. Io conosco l’accordo. Tu sai che io conosco l’accordo. E l’accordo è che tu finisca i piselli”».

Il bambino potrebbe frignare un pochetto: «Oh papà, sei cosi cattivo. La mamma non è come te». Ma i papà sono più inclini a mantenere la propria posizione: «Se continui a lamentarti in questo modo non ci sarà gelato né domani sera, né questa sera».

Dopo aver compreso di non poter mercanteggiare con suo padre, il bambino lentamente imparerà ad apprezzare gratificazione posticipata.

Dal punto di vista di Farrell, quest’esempio spiega parzialmente perché i bambini cresciuti prevalentemente dai papà siano meno inclini a soffrire di deficit di attenzione e iperattività: «Il bambino impara dal padre che deve prestare attenzione». In effetti, i diversi approcci educativi svolgono un ruolo fondamentale; e secondo Farell la cosiddetta «gratificazione posticipata è il fattore più importante nel determinare se una persona avrà successo o meno».

Naturalmente, anche le mamme possono fare giochi fisici ed essere severe con i propri figli, ha detto Farrell, ma generalmente tendono ad esserlo meno dei papà. Se un ragazzo non impara cosa sia la gratificazione posticipata, sarà più difficile per lui realizzare i propri obbiettivi, e tenderà invece ad essere distratto dall’ultimo messaggio, dall’ultimo videogioco o dall’ultimo show televisivo: «Il risultato è che molti iniziano a vergognarsi di se stessi. Gli insegnanti non li lodano. I bambini non li rispettano. E quando arriva il momento delle relazioni con l’altro sesso, le ragazze escono con i vincenti, non con i perdenti».

«In quel momento si inizia a sviluppare la dipendenza dalle droghe, dall’alcool, da diversi tipi di pornografia e dai videogiochi. Per questo ci sono ragazzi che non riescono a mettere in ordine la propria vita».

Da convinto femminista a difensore dei ragazzi

Sebbene Farrell sia attualmente uno strenuo difensore dei ragazzi e degli uomini, in passato era stato un convinto femminista. È stato infatti l’unico uomo ad essere eletto per tre volte alla direzione della National Organization for Women di New York.

«All’inizio, quando ero legato al movimento femminista, il messaggio fondamentale era: “Sono una donna, e sono stata trattata ingiustamente”. Ma quando ci si focalizza sulle donne e su ogni trattamento ingiusto che hanno subito e su come siano divenute vittime, si finisce per considerarle delle vittime del potere. Così si inizia a raffinare il vittimismo, come se fosse una vera e propria forma d’arte».

«Da un punto di vista storico, il mondo non è basato sul ‘patriarcato’ e sui privilegi. Per sopravvivere, sia le madri che i padri hanno avuto obblighi e responsabilità. Le madri rischiavano la propria vita durante il parto, e i padri rischiavano la vita in guerra per difendere i bambini».

Secondo Farrell, uomini e donne condividevano lo stesso obiettivo: «Farò tutto il possibile per far sì che i miei figli abbiano una vita migliore della mia».

Tuttavia, oggi il cosiddetto ‘Femminismo 101’ afferma, in quasi tutti i Paesi del mondo, che «viviamo in un mondo patriarcale dominato dagli uomini che hanno creato regole a favore degli uomini e a discapito delle donne», ha dichiarato Farrell. «Nulla potrebbe essere più lontano dalla verità. Il fatto che solo gli uomini siano, o siano stati, sottoposti alla leva militare obbligatoria non va a beneficio degli uomini. Il messaggio è piuttosto: “Sono disposto a sacrificarmi per proteggervi”».

Se gli uomini avessero veramente creato le norme sociali a proprio beneficio, perché non hanno stabilito che siano le donne a dover pagare agli appuntamenti, a fare i regali e a guadagnare il denaro per sostenere la famiglia? Al contrario queste norme sociali si applicano agli uomini e non alle donne, ha dichiarato Farrell, e ci si aspetta che gli uomini guadagnino di più e sostengano la famiglia più delle donne.

È cosi che si spiega in parte il divario tra le remunerazioni maschili e femminili. Nel 2005 Farrell ha scritto un libro sull’argomento, intitolato Perché gli uomini guadagnano di più: l’incredibile verità dietro il divario tra le remunerazioni.

Farrell sostiene, a grandi linee, che siccome gli uomini hanno l’obbligo di portare il pane a casa, sono più propensi a svolgere lavori più pericolosi o meno desiderabili, e a lavorare più a lungo per guadagnare di più: «I padri rinunciano a lavori come il musicista, l’attore o comunque il ‘lavoro che amano’ per trovare un impiego che renda di più».
Inoltre, dopo la nascita di un figlio, gli uomini tendono a trascorrere più tempo sul posto di lavoro per sostenere economicamente la famiglia, mentre le donne tendono a dividersi tra la casa e il lavoro.

Un altro dato che va contro l’idea che le donne guadagnino ingiustamente di meno, secondo Farrell, deriva dalla comparazione tra gli stipendi di donne e uomini che non si sono mai sposati né hanno mai avuto figli: le donne in questa condizione infatti guadagnano circa il 117 percento, rispetto alla controparte maschile.

Tuttavia, la differenza di remunerazione tra uomini e donne continua ad essere ampiamente utilizzata come presunta prova della discriminazione e dell’esistenza del ‘patriarcato’: «Il femminismo è diventato di per se stesso tossico. Ed è un qualcosa da affrontare con serietà. Quando solo uno dei due sessi vince, perdono entrambi».

 

Articolo in inglese: Warren Farrell, on ‘The Boy Crisis’

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