La sorveglianza delle conversazioni private in Europa è quasi realtà

Di Alessandro Starnoni

Dopo svariati rinvii, il disegno di legge definitivo sul ‘Chat Control’ è giunto alla fine sul tavolo europeo l’11 maggio. La Commissione europea ha presentato la proposta legislativa definitiva, il cui testo dovrà essere approvato dal Parlamento europeo e dal Consiglio prima che diventi una nuova normativa Ue (cosa che non accade solo in rare occasioni).

Il disegno di legge si propone di contrastare gli abusi sessuali sui minori online, obbligando i diversi provider di messaggistica – sia di e-mail che di chat – compresi quelli con crittografia end-to-end come WhatsApp, a sorvegliare le conversazioni dei loro utenti sui loro dispositivi, compresi i servizi Cloud.

Proprio per il fatto che implicherebbe una decisa intromissione nelle conversazioni private dei comuni cittadini e non solo – al fine di individuare eventuale materiale potenzialmente tacciabile di abusi su minori (Csam), che verrebbe segnalato in modalità automatica alle autorità – la proposta ha fin da subito sollevato critiche tra gli esperti di tecnologia e privacy e tra i più attenti ai diritti digitali, che considerano la proposta nient’altro che una «sorveglianza di massa in tempo reale di e-mail e messaggi».

Uno dei più convinti oppositori è l’eurodeputato e attivista Patrick Breyer (I verdi – Alleanza Libera Europea), che non a caso ha presentato una causa legale contro il regolamento e ha fatto sapere di volerlo combattere con tutte le sue forze fino alla fine. Breyer ha commentato: «Mentre i politici dell’Ue da un lato affermano di volerci proteggere dalle aggressioni di Facebook, Google e altri, dall’altro commissionano a queste stesse aziende lo screening e il monitoraggio di tutte le nostre comunicazioni. Il fatto che la Corte di giustizia europea (e i tribunali di molti Stati membri dell’UE) abbia già vietato questa sorveglianza totale in diverse occasioni viene semplicemente ignorato. Allora, purtroppo, l’unica opzione è quella di tornare ai tribunali».

L’europarlamentare fa anche notare che secondo la polizia federale svizzera, l’87% delle segnalazioni che ricevono (di solito basate sul metodo di hashing) sono penalmente irrilevanti, così rincara la dose: «Questo attacco in stile Grande Fratello alle nostre conversazioni private e foto da parte di algoritmi a rischio di errore è un passo gigantesco verso uno stato di sorveglianza sul modello cinese. […] Le associazioni di pedopornografia organizzate non ricorrono a posta elettronica o chat, ma a forum segreti darknet».

L’11 maggio a Berlino c’è stata una timida contestazione in piazza contro il regolamento, mentre le maggiori forme di protesta sono arrivate finora per via digitale mediante comunicati stampa da parte di numerose associazioni della società civile per i diritti digitali, tra cui il network EDRi (European Digital Rights).

La proposta è stata d’altro canto comunque accolta con favore da altre organizzazioni per la tutela dei minori. Secondo i parlamentari europei almeno un bambino su cinque è stato vittima di violenza sessuale e a uno su tre è stato chiesto di fare qualcosa di sessualmente esplicito online. Si ritiene che oltre il 60% degli Csam a livello mondiale si verifichino nell’Ue.

Alcuni provider stanno già riportando da tempo alle autorità gli Csam, ma non tutti lo fanno, anche perché mancherebbe loro una base giuridica secondo le attuali normative europee sulla privacy. Questa nuova regolamentazione, se adottata, consentirebbe all’Ue una maggiore supervisione e concederebbe una deroga (forse temporanea o forse no) all’attuale normativa europea.

 
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