La repressione transnazionale cinese deve finire

Di Anders Corr

L’autore dell’articolo, Anders Corr, ha conseguito una laurea/master in scienze politiche presso la Yale University (2001) e un dottorato in governo presso la Harvard University (2008). È preside di Corr Analytics Inc., editore del Journal of Political Risk, e ha condotto ricerche approfondite in Nord America, Europa e Asia. È autore di ‘The Concentration of Power’ (in uscita nel 2021) e ‘No Trespassing’ e ha curato ‘Great Powers, Grand Strategies’.

 

Secondo un nuovo rapporto di Freedom House, la Cina è il più grande responsabile di repressioni transnazionali a livello globale.

Il rapporto cita «milioni di cinesi e minoranze cinesi in almeno 36 Paesi» colpiti da intimidazioni, spionaggio, minacce, attacchi informatici, aggressioni fisiche, estradizioni e consegne illegali.

Scritto da Nate Schenkkan e Isabel Linzer, l’eccellente rapporto di studio sulla Cina è particolarmente preoccupante, e il numero di Paesi democratici in tutto il mondo che cooperano con la repressione transnazionale cinese è scioccante. Il rapporto dovrebbe quindi essere visto come un appello all’azione contro qualsiasi futura collaborazione con il regime di Pechino.

Lo studio, che ha anche evidenziato la repressione transnazionale di Russia, Arabia Saudita, Ruanda, Iran e Turchia, è intitolato Out of Sight, Not Out of Reach: The Global Scale and Scope of Transnational Repression.

Secondo gli autori, la repressione transnazionale cinese è caratterizzata da tre fattori distintivi: «In primo luogo, la campagna prende di mira molti gruppi, tra cui più minoranze etniche e religiose, dissidenti politici, attivisti per i diritti umani, giornalisti ed ex insider accusati di corruzione. In secondo luogo, abbraccia l’intero spettro delle tattiche: dagli attacchi diretti come le detenzioni illegali in altri Paesi, alla cooptazione di altri Paesi per incarcerare e far tornare in patria gli esiliati, ai controlli della mobilità, alle minacce a distanza come le minacce digitali, gli spyware e la coercizione per procura. In terzo luogo, l’ampiezza e la portata globale della campagna non hanno eguali. Il catalogo degli attacchi fisici diretti, compilato da Freedom House dal 2014, copre 214 casi provenienti dalla Cina (dato conservativo), molto più di qualsiasi altro Paese».

I controlli sulla mobilità includono, ad esempio, chiedere il ritorno degli uiguri all’estero, consegnarli o estradarli illegalmente in Cina e poi togliere loro i passaporti in modo che non possano lasciare la Cina: «Almeno 109 uiguri sono stati deportati illegalmente dalla Thailandia nel 2015 e 13 sono stati resi dall’Egitto senza un giusto processo; l’Egitto potrebbe averne deportati illegalmente altri 86 in questo periodo». Nel marzo 2020, secondo quanto riferito, tra 200 e 400 uiguri sono stati incarcerati in Turchia, da cui a volte vengono espulsi. «Nell’agosto 2019, una donna uigura e i suoi due figli sono stati deportati dalla Turchia in Tagikistan e poi prontamente trasferiti in custodia cinese». L’Arabia Saudita aveva arrestato due uiguri fino a novembre 2020 per una possibile deportazione in Cina. «Nel novembre 2020, un uiguro in Turchia, che in precedenza aveva denunciato di essere sottoposto a pressioni per spiare la comunità, è stato quasi ucciso a Istanbul», secondo Freedom House. «È sopravvissuto e ha accusato lo Stato cinese di prenderlo di mira».

Freedom House ha documentato incidenti fisici causati dalla Cina in 18 Paesi, in genere per seminare paura e autocensura. In altri Paesi, il Partito Comunista Cinese (Pcc) ha intimidito digitalmente le diaspore, anche attraverso la sorveglianza, l’hacking e gli attacchi di phishing, o attraverso leggi come il caso delle campagne «anticorruzione» di Fox Hunt e Skynet portate avanti dallo stesso Xi Jinping, o dalla polizia internazionale, con segnalazioni (avvisi rossi Interpol), che non sono soggette a sindacato giurisdizionale. «I media statali cinesi hanno affermato che 3.000 persone [accusate di corruzione, ndr] erano ‘tornate o rimpatriate’ da 90 Paesi», secondo gli autori. Solo negli Stati Uniti, centinaia di persone sono state prese di mira dalla Fox Hunt cinese.

Gli autori hanno fatto un ottimo lavoro nel mostrare come la Cina cerchi di manipolare le leggi, le norme e le organizzazioni internazionali per raggiungere i suoi scopi. «La Cina usa gli avvisi dell’Interpol per implicare il fatto che ci sia un’approvazione internazionale nei suoi mandati», secondo gli autori. Un programma dei media statali cinesi «ha sottolineato la legalità del processo di rimpatrio dall’estero, anche attraverso lunghi procedimenti legali in altri Paesi. In linea con le comunicazioni del Pcc, il messaggio generale della scena era che la campagna anticorruzione della Cina è uno sforzo pienamente legale accettato da altri Stati come una questione di cooperazione internazionale».

In effetti, Pechino usa la sorveglianza illegale, le minacce, le consegne e l’intimidazione della famiglia per costringere i funzionari e gli uomini d’affari in fuga dal Pcc a tornare in Cina per essere perseguiti. «Nel 2018, funzionari dell’intelligence statunitense hanno affermato in via ufficiale a Foreign Policy che degli agenti cinesi avevano picchiato e drogato più persone in Australia, riportandole in Cina in barca», secondo Schenkkan e Linzer.

Secondo gli autori, «la campagna anticorruzione è anche un mezzo che il Pcc usa per cercare di cambiare le norme internazionali perché si adattino meglio ai suoi obiettivi e interessi. I funzionari e i media cinesi presentano la campagna anticorruzione come parte di uno sforzo globale per modellare le norme anticorruzione». La Dichiarazione di Pechino del 2014 del forum della cooperazione economica Asia-Pacifico (Apec), il Piano d’azione anticorruzione del G20 del 2017-18, la Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione e gli accordi legali bilaterali della Cina, sono tutti utilizzati dal Pcc per i propri scopi maligni. «Un’analisi del 2019 del Center for Advanced China Research ha identificato 37 Paesi con i quali la Cina aveva trattati di estradizione, un elenco che include in particolare Stati membri dell’Unione Europea (Ue) come Italia, Francia e Portogallo». Nel 2015 la Svizzera ha dato agli agenti di sicurezza cinesi carta bianca per monitorare e possibilmente intimidire molti tipi di obiettivi.

Dipartimento del Lavoro Fronte Unito

I discorsi trapelati dai membri del Politburo danno esplicitamente la priorità alla «lotta all’estero» contro i nemici del Pcc. I discorsi sostengono specificamente «la cooptazione di alleati in Paesi stranieri per assistere negli sforzi, l’utilizzo di canali diplomatici e di leggi pertinenti nei Paesi ospitanti e la prevenzione delle proteste durante le visite all’estero dei massimi funzionari del Partito», secondo Freedom House.

I casi identificati da Freedom House erano solo la «punta dell’iceberg» secondo gli autori, che hanno scritto che l’intimidazione e altre tattiche del Pcc colpiscono negativamente milioni di cinesi d’oltremare.

Rinchen Namgyal, membro del consiglio di amministrazione del gruppo Students for a Free Tibet, partecipa a un evento in cui tibetani, uiguri, kazaki, hongkonghesi, mongoli meridionali, taiwanesi e cinesi attivisti per la democrazia si uniscono per chiedere ai governi di opporsi alla soppressione della libertà, della democrazia e dei diritti umani da parte del Partito Comunista Cinese, di fronte alla sede delle Nazioni Unite a New York City il 1° ottobre 2020. (Samira Bouaou/The Epoch Times )

Freedom House osserva che centinaia di migliaia di tibetani, uiguri e praticanti del Falun Gong sono stati a lungo colpiti. Ma quell’elenco si è ampliato nell’ultimo anno per includere le diaspore di Hong Kong e della Mongolia interna: «Le attività di repressione transnazionale palese della Cina sono incorporate in un più ampio quadro di influenza che comprende associazioni culturali, gruppi della diaspora e, in alcuni casi, reti di criminalità organizzata, che la mettono in contatto con un’enorme popolazione di cittadini cinesi, membri della diaspora cinese e minoranze popolazioni cinesi che risiedono in tutto il mondo», secondo Schenkkan e Linzer.

Secondo gli autori, l’uso di gruppi della società civile pro-Pechino per perseguitare le persone all’estero, dà alla Cina la possibilità di negare il proprio ruolo negli attacchi: «Oltre alle agenzie dirette del Partito-Stato, anche reti di enti per procura, come associazioni ‘anti-sette’ negli Stati Uniti, gruppi di studenti cinesi in Canada e attivisti pro-Pechino con legami con la criminalità organizzata a Taiwan sono stati coinvolti in molestie e persino aggressioni fisiche contro critici del Partito e membri di minoranze religiose o etniche».

L’uso dei gruppi della società civile è meglio compreso, secondo gli autori, come parte del Dipartimento del Fonte Unito del Lavoro (Ufwd) della Cina. L’Ufwd si concentra sull’influenzare tutti coloro che sono al di fuori del Pcc, sia all’interno che all’esterno della Cina, attraverso vari incentivi e disincentivi, tra cui, tangenti, cooptazione, coercizione e minacce. Ad esempio, «quando le autorità statunitensi hanno arrestato un agente tibetano del Dipartimento di Polizia di New York per spionaggio della comunità tibetana nel settembre 2020, uno dei suoi superiori è stato identificato come un impiegato consolare cinese che lavora per l’Ufwd», secondo gli autori.

L’influenza extraterritoriale del Pcc

«Il peso geopolitico della Cina le consente di affermare un’influenza senza pari sui Paesi vicini (Nepal, Thailandia) e lontani (Egitto, Kenya)», secondo gli autori. «Questo produce un vantaggio che il Pcc non esita a usare contro obiettivi in ​​tutto il mondo».

Particolarmente preoccupante è la crescente latitudine che il Pcc si concede nell’attaccare cittadini non cinesi, inclusi taiwanesi, cinesi di etnia e altri stranieri «in risposta alle loro attività pacifiche di attivismo» o quando «sono critici nei confronti dell’influenza del Pcc e delle violazioni dei diritti umani».

Gli autori osservano che a causa del crescente potere della Cina (nonché delle sue capacità tecniche), insieme alle sue «affermazioni aggressive nei confronti dei cittadini cinesi e dei non cittadini all’estero, la sua campagna ha un effetto significativo sui diritti e sulle libertà dei cinesi all’estero e delle comunità minoritarie in esilio in decine di Paesi».

La repressione transnazionale della Cina rappresenta una minaccia per lo Stato di diritto a livello globale, «perché l’influenza di Pechino è abbastanza potente non solo da violare lo Stato di diritto in un singolo caso, ma anche per rimodellare i sistemi legali e le norme internazionali in base ai suoi interessi».

La repressione all’estero del Pcc è spesso condotta dai suoi servizi di intelligence e sicurezza, inclusi il Ministero della Pubblica Sicurezza (Mps) e il Ministero della Sicurezza dello Stato (Mss). «La persecuzione di uiguri, tibetani e dissidenti politici è in genere gestita dal Mss, ma il Mps è spesso coinvolto in minacce contro i familiari all’interno della Cina, o casi in cui le autorità regionali chiamano gli esuli per minacciarli dall’interno della Cina».
«Le attività anti-Falun Gong sono guidate dall’Ufficio 6-10, un’agenzia di sicurezza extralegale incaricata di sopprimere i gruppi religiosi vietati, e dall’Mps, ma anche certi funzionari locali di varie regioni sono coinvolti nel monitoraggio degli esuli del Falun Gong dalle loro province».

Finanche i funzionari del Ministero degli Affari Esteri cinese nelle ambasciate e nei consolati di tutto il mondo sono chiamati a perseguitare le persone all’estero. «La Cina si è dimostrata particolarmente abile nell’usare la sua influenza geopolitica ed economica per spingere governi stranieri in Paesi diversi come India, Thailandia, Serbia, Malesia, Egitto, Kazakistan, Emirati Arabi Uniti, Turchia e Nepal ad usare le proprie forze di sicurezza per mettere in detenzione, e in alcuni casi deportare in Cina critici del Pcc, membri di minoranze etniche o religiose prese di mira e rifugiati», secondo Schenkkan e Linzer.

La repressione transnazionale cinese viene codificata attraverso l’utilizzo e l’influenza di organizzazioni internazionali e da una serie di leggi cinesi che hanno effetti extraterritoriali. «Una serie di nuove leggi della Repubblica Popolare Cinese approvate sotto Xi hanno codificato la portata extraterritoriale dei controlli del Pcc, come la legge sull’intelligence nazionale, la legge sulla sicurezza nazionale di Hong Kong e il progetto di legge sulla sicurezza dei dati», secondo Schenkkan e Linzer.

I tibetani erano in grado di fuggire dalla Cina attraverso il Nepal. Ma quella via di fuga ora è quasi chiusa: «In primo luogo, i controlli più severi sulla mobilità da parte della Cina hanno ridotto la capacità dei tibetani di fuggire dal Paese, portando il numero di coloro che raggiungono il Nepal da diverse migliaia all’anno fino a solo 23 nel 2019. Allo stesso tempo, i tibetani che hanno raggiunto il Nepal sono stati più vulnerabili al rimpatrio, come è successo con sei persone che hanno attraversato il confine nel settembre 2019, ma sono state immediatamente consegnate alle autorità cinesi».

Un accordo di confine dell’ottobre 2019 tra Cina e Nepal accelera ulteriormente la consegna dei tibetani in fuga da parte delle autorità nepalesi alla Cina. Oltre al caso statunitense già citato, ci sono stati recenti episodi di sorveglianza e intimidazione dei tibetani in Svizzera, Svezia e Canada.

Io stesso ho parlato con un tibetano in Gran Bretagna nel 2017 che mi ha detto che i funzionari cinesi avevano visitato la sua casa e molestato i suoi cari, per intimidirlo.

Secondo gli autori, anche i mongoli interni sono presi di mira. «Nel settembre 2020, un uomo della Mongolia interna che viveva in Australia con un visto temporaneo ha riferito di aver ricevuto una chiamata dalle autorità locali cinesi che lo avvertivano che se avesse parlato degli eventi nella regione, anche sui social media, sarebbe stato ‘rimpatriato dall’Australia’».

Gli autori forniscono anche dettagli sulla regolare repressione extraterritoriale contro il Falun Gong. Scrivono che le rappresaglie «includono frequenti molestie e occasionali aggressioni fisiche da parte di membri di delegazioni cinesi in visita o delegati pro-Pechino durante le proteste all’estero, come nei casi che si sono verificati dal 2014 negli Stati Uniti, nella Repubblica Ceca, a Taiwan, in Brasile e in Argentina».

Gli autori hanno continuato: «I media e le iniziative culturali associate al Falun Gong hanno segnalato sospette effrazioni mirate a informazioni sensibili, manomissione di veicoli e pressioni da parte delle autorità cinesi affinché le imprese locali interrompessero la pubblicità o altri obblighi contrattuali con loro. Anche molti praticanti del Falun Gong in Thailandia hanno affrontato la detenzione, tra cui un uomo taiwanese coinvolto in trasmissioni radiofoniche non censurate in Cina e diversi casi di rifugiati cinesi formalmente riconosciuti come tali dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr)».

Secondo gli autori, «Nell’ottobre 2017, un praticante del Falun Gong che era sopravvissuto a un campo di lavoro cinese ed era diventato un informatore di alto profilo sugli abusi del Pcc – perché aveva nascosto una lettera in una decorazione di Halloween durante la detenzione e poi creato un documentario con filmati sotto copertura – è morto per un improvvisa insufficienza renale in Indonesia. Alcuni colleghi considerano la sua morte sospetta, ma non è stata eseguita alcuna autopsia».

Anche la legge sulla sicurezza nazionale di Pechino del giugno 2020, che prende di mira gli attivisti di Hong Kong, ha una portata globale e costringe gli attivisti a evitare i Paesi con trattati di estradizione con la Cina. La legge criminalizza il dialogo ovunque a livello globale, da persone di qualsiasi nazionalità, che è critico nei confronti dei governi della Cina e di Hong Kong. «Tra coloro che hanno ricevuto il primo giro di mandati di arresto ai sensi della nuova legge, c’era Samuel Chu, un cittadino americano che è stato accusato per il suo lavoro di ottenere il sostegno del governo degli Stati Uniti per la causa della libertà a Hong Kong», secondo Freedom House. «Chu e altri come lui ora devono evitare non solo di viaggiare a Hong Kong, ma anche in qualsiasi Paese con un trattato di estradizione con Hong Kong o la Cina».

Schenkkan e Linzer hanno fornito un’impressionante sintesi non solo della repressione transnazionale cinese, ma anche del suo tentativo di plasmare le istituzioni e le leggi internazionali secondo i suoi scopi maligni e illiberali. Che così tanti Paesi democratici assecondino il Pcc, probabilmente a causa dell’influenza economica e degli incentivi offerti da Pechino, è un’abdicazione sorprendente e vile dei valori e dei principi su cui sono stati fondati i Paesi democratici, valori per i quali i loro antenati hanno combattuto e si sono sacrificati. Occorre fare molto di più per porre fine ai torti che la Cina sta commettendo e per raddrizzare le basi morali ed etiche delle democrazie che ovunque collaborano con questo regime illiberale. Solo attraverso correzioni decisive e rapide possiamo proteggere il futuro della democrazia.

 

Le opinioni espresse in quest’articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente quelle di Epoch Times.

Articolo in inglese: China’s Transnational Repression Must End

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