La pandemia aggrava la guerra commerciale Usa-Cina

Di James Gorrie

Se si considerano le ultime dichiarazioni della Cina come dei ‘sintomi’, la pandemia Covid-19 sta portando a livelli pericolosi la tensione tra Stati Uniti e Cina. Infatti, attraverso l’impatto della guerra commerciale in Cina, amplificato dalla pandemia e da altri eventi, nella retorica di Pechino si scorge un nuovo tono.

Come gran parte del mondo, anche la Cina si trova in una situazione economica parecchio turbolenta: il fallimento di diverse imprese e l’aumento della disoccupazione sono pessime notizie per il Partito Comunista Cinese (Pcc), che mantiene il potere proprio grazie all’economia.

Una guerra commerciale iniziata con Trump

L’obiettivo del presidente Trump nel lanciare la guerra commerciale con la Cina, era quello di invertire il flusso del trasferimento dei produttori americani in Cina, riportando i posti di lavoro nel settore manifatturiero in America. In definitiva, le politiche commerciali di Trump avevano lo scopo di dirottare le consolidate catene di forniture globali fuori dalla Cina. Il ragionamento era che, con il progredire della guerra commerciale, la diminuzione di attività economica avrebbe esercitato una pressione significativa sull’economia cinese, minando la legittimità del Pcc come unica autorità di governo. Di conseguenza, l’aumento del livello di dissenso interno avrebbe indebolito la presa del regime cinese sul Paese, e forse inibito i suoi desideri espansionistici.

Di male in peggio

Secondo alcune statistiche, gli alti dazi doganali di Trump nei confronti della Cina hanno effettivamente determinato un forte calo dell’attività economica, che nel 2019 è costato alla Cina una perdita di 53 miliardi di dollari di ricavi commerciali. Inoltre, anche le proteste del popolo di Hong Kong hanno contribuito a peggiorare la situazione. Le vendite al dettaglio sono crollate del 24,3 percento su base annua e il Pil è sceso dell’1,3 percento. Se si aggiunge l’epidemia di peste suina africana e i parassiti divoratori di mais che hanno devastato il raccolto di grano del Paese, il 2019 è stato estremamente impegnativo, e la leadership del Pcc è apparsa un po’ meno onnipotente rispetto allo scorso anno.

Tuttavia, questi shock economici, disgiunti e/o combinati, impallidiscono di fronte agli effetti che l’epidemia Covid-19 ha avuto sull’economia cinese tra gennaio e febbraio del 2020. Si stima che, solo nei sette giorni di vacanza del Capodanno lunare, il danno economico sia stato di 144 miliardi di dollari, senza considerare il flusso continuo delle imprese che fuggono dalla Cina, come profughi che cercano di sottrarsi a un esercito che avanza. Nel prossimo futuro, si vedranno più imprese che espatriano di quante ne rimangano. Ma se tutto questo ora è straziante, il calo della domanda globale dovuto alla pandemia Covid-19, potrebbe essere catastrofico.

Secondo l’Ufficio Nazionale di Statistica cinese, la produttività industriale è scesa del 13,5 per cento su base annua, con un calo massiccio degli investimenti in capitale fisso del 25 per cento. Le vendite al dettaglio, campanello d’allarme per la domanda dei consumatori, da gennaio a febbraio di quest’anno hanno subito un crollo del 25 per cento, e non c’è motivo di aspettarsi che si riprenda in tempi brevi.

Le attuali previsioni, che sono solo ipotesi di esperti, suggeriscono che l’economia globale crescerà intorno al 2,4 percento nel 2020, rispetto al 3,7 del 2018, con un calo di oltre un terzo. Man mano che la base produttiva andrà in crisi, la Cina subirà un duro colpo: rispetto al 2019, nel primo trimestre di quest’anno, il Pil subirà una contrazione del 6 percento o più, e probabilmente crescerà nel corso dell’anno. I dati dell’Ufficio Nazionale di Statistica cinese, indicano che la produzione industriale nel Paese è scesa al ritmo più veloce degli ultimi trent’anni e che, nel primo trimestre, a causa della pandemia, la crescita potrebbe calare del 50 per cento.

Inflazione alimentare significa una nazione arrabbiata

Nel frattempo, l’inflazione alimentare è un’altra preoccupazione crescente per il Pcc. Poiché nell’ultimo anno i prezzi della carne di maiale sono più che raddoppiati e quelli delle verdure sono aumentati del 17 per cento, i consumatori cinesi stanno ora spendendo un terzo del loro reddito. Nondimeno, la diminuzione dei redditi dovuto al calo dell’economia e l’impatto dell’aumento dei prezzi, procurerà carenze molte serie. Andando avanti nel futuro, la fame, i disordini civili e le pressioni sulla leadership del Pcc probabilmente cresceranno.

Collaborazione o concorrenza antagonista?

In questo contesto, sulla scena mondiale con l’America, il tentativo della Cina di incolpare gli Stati Uniti della pandemia, mentre chiede cooperazione, evidenzia un atteggiamento più competitivo che cooperativo. La retorica belligerante, riservata di solito alla propria Nazione, potrebbe porre le basi per una concorrenza con gli Stati Uniti, per i mercati, le risorse e influenzare tutto il mondo.

In realtà, l’influenza – e quello che spesso viene chiamato «soft power» – è una parte importante della strategia di Pechino nel voler sostituire gli Stati Uniti come potenza egemone mondiale, ma date le sfide che la Cina deve affrontare da ora in poi – o nonostante queste – il Pcc non lascerà che le regole e le norme stabilite ostacolino il cammino di ascesa della Cina, che, in quanto Paese più popoloso del mondo, crede sia un suo diritto.

E perché no? Non l’hanno mai fatto prima.

Ecco perché l’atteggiamento retorico di Pechino dovrebbe attirare la nostra attenzione: dal punto di vista economico, la leadership del Pcc si trova in una situazione di regresso, senza una soluzione semplice o immediata, e le condizioni peggioreranno. Ciò fa presagire un’ulteriore oppressione interna da parte del Partito e una resistenza da parte della società civile.

Toni e messaggi belligeranti

Pechino sta portando avanti un gioco pericoloso e spietato,  non solo con la propria gente, ma anche con il mondo. Certo, le nazioni competono tra loro per il potere, e i Paesi non sono governati da angeli, ma, di solito, solo quelli illegittimi come il Pcc trattano i propri cittadini con tanto disprezzo, o peggio.

Il rifiuto di permettere al Centro statunitense per il controllo e la prevenzione delle malattie (Cdc) di recarsi a Wuhan per studiare il virus, fa sorgere la domanda: «Perché non lasciate che aiutiamo voi e il vostro popolo?». Inoltre, la distruzione e la manipolazione dei dati sul virus, che per due mesi hanno impedito al resto del mondo di poterlo analizzare e studiare, sono indubbiamente costate migliaia di vite umane. Tale palese disinteresse non fa che confermare che Pechino avesse le peggiori motivazioni.

In questo contesto, il messaggio del ministero degli Esteri cinese è un’evidente combinazione patologica di vittimismo, auto-assoluzione e qualche cenno di giusta vendetta, soprattutto verso gli Stati Uniti, e dà la sensazione che possa prefigurare per il futuro un altro capitolo o due, costruiti sulle fondamenta retoriche che stanno gettando oggi.

 

James Gorrie è uno scrittore e relatore che vive nel sud della California. È l’autore di «La crisi della Cina».

Le opinioni espresse in quest’articolo sono quelle dell’autore e non riflettono necessariamente quelle di Epoch Times.

 

Articolo in inglese: Coronavirus Pandemic Magnifying the Impact of Trade War on China

 
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