La lunga marcia del comunismo attraverso le istituzioni è riuscita

L’autrice dell’articolo, Barbara Kay, è editorialista del National Post dal 2003. Scrive anche per thepostmillennial.com, Quillette, e The Dorchester Review. È autrice di tre libri. 

 

Karl Marx era convinto che la rivoluzione da lui immaginata per salvare il mondo dalla perdizione, sarebbe stata realizzata ovunque da lavoratori, che, liberi dalle manette del capitalismo, avrebbero re-inventato le loro diverse nazioni sotto forma di utopie socialiste unite in un sodalizio mondiale.

Questo ovviamente non avvenne mai per libera scelta. Pareva che in tutto il mondo i lavoratori fossero più interessati alla possibilità di arricchirsi anch’essi, che ad eliminare tutte le strade verso quella meta. Così è successo che l’eredità politica di Marx è diventata il rispetto forzoso di regole socialiste distopiche imposte da ideologhi criminali. 

Il comunista italiano Antonio Gramsci individuò un modo più intelligente e non violento per conseguire il trionfo del socialismo in Occidente: ‘occupare la cultura’. 

Come osservò in tarda età l’intellettuale conservatore Richard Grenier, «Gramsci era il più lungimirante analista delle odierne relazioni tra arte e politica. Gramsci riteneva che la cultura non fosse una semplice sovrastruttura del sistema economico (ruolo a lei attribuito dal marxismo ortodosso) ma fosse centrale alla società». Andrew Breitbart sintetizzò così questo concetto: «La politica è a valle della cultura».

Il collasso dell’Unione Sovietica screditava la versione leninista del socialismo ‘con la baionetta’, ma non pregiudicava il trionfo delle dottrine marxiste tramite la ‘lunga marcia attraverso le istituzioni’ che profetizzava Gramsci. In Occidente gli accoliti di Gramsci divennero ‘estremisti di professione’ e – con le università come loro parco giochi – indottrinavano giovani americani al proprio deleterio sistema di valori. 

Il risultato fu che quando questi studenti si laurearono e intrapresero la scalata alle professioni, ogni singola istituzione di cui siamo stati abituati a fidarci – istruzione, salute fisica e mentale, media, arti, sport, giurisprudenza – fu contagiata da ciò che Grenier identificò come la ‘politica delle intenzioni’ opposta alla ‘politica dei traguardi’.

Coloro i quali credono nella politica delle intenzioni ritengono che se le intenzioni sono nobili, i cuori puri, la compassione senza limiti (per coloro designati come oppressi) e gli ideali alti, essi non possono essere considerati responsabili di tutte le conseguenze negative derivanti dalle politiche ispirate dalle loro pie intenzioni. Essi rigettano qualsiasi allusione al fatto che siano le loro idee a spianare la strada alla disgregazione sociale, all’ingiustizia verso gli innocenti o a tragedie ancor più grandi. Coloro i quali osano segnalare in pubblico questi collegamenti vengono immancabilmente disonorati o ‘cancellati’.

Il più efficace ed efficiente strumento di ‘occupazione della cultura’ è il dominio del linguaggio. Gli ideologhi sanno bene che non possiamo padroneggiare le idee se non abbiamo il dominio del linguaggio. Letteralmente non sappiamo cosa stiamo pensando, se non siamo in grado di parlare senza auto-censura.  

E non serve la baionetta per instillare dapprima l’incertezza e in seguito la paura di esprimersi liberamente. Ciò non di meno, l’impulso ad infondere la paura è totalitario. I totalitaristi, siano essi della specie terroristica o ‘al velluto’, sanno che la paura di esprimersi liberamente alla fine inibisce la capacità di discernere la semplice verità dalla ‘verità’’ ideologica. O anche solo di ricordare i fatti. La gente può essere indotta a credere che due più due fa cinque (e che ‘siamo sempre stati in guerra con Estasia’).

Gli attivisti ‘trans’, ad esempio, sono maestri nello sfruttare la politica delle intenzioni. Solo una frazione minuscola della popolazione si identifica con il sesso opposto, ciò nondimeno essi rappresentano un gruppo oppresso designato. Nell’attuare le politiche, la compassione per la loro sofferenza combinata al sommo ideale ‘dell’inclusione’ devono quindi prevalere su qualunque altra considerazione. La soluzione individuata è una ridefinizione della ‘donna’ che comprenda ogni uomo che desiderava essere donna. 

Le parole ‘uomo’ e ‘donna’ sono fondate su realtà biologiche. Ma quale è il valore della realtà biologica di fronte al valore del sostegno psicologico agli oppressi? Et voilà, una ‘donna’ – saremo obbligati a convenire – è un essere umano che si identifica in una donna. Una donna può quindi avere un pene. 

Conseguenza di questa Grande Balla gender: misure che mettono a rischio la sicurezza e il trattamento delle vere donne nelle prigioni, nei dormitori o nello sport. 

Ma perché le politiche abbiano i denti, la menzogna deve essere ben radicata nella legge. E in parte è così. Alla corte dei diritti umani, i diritti di genere hanno lo stesso status legale dei diritti sessuali (che sono nella Carta dei Diritti del Canada). 

Nessuno dei nostri cervelloni avvocati si è accorto che attribuire gli stessi diritti a soggetti riconoscibilmente di un sesso e a quelli che avrebbero voluto esserlo – ma non lo sono – era ipso facto una contraddizione giuridica grossolana.

Ma anche la legislazione sui diritti non è sufficiente. Le persone devono essere obbligate a dar voce alla menzogna. Devono utilizzare pubblicamente i ‘loro’ pronomi nelle aule scolastiche, nelle conferenze e anche nelle aule di giustizia. Come se i pronomi fossero di proprietà privata e come se l’obbligo di dar voce ai ‘vostri’ pronomi fosse paragonabile al valore della libertà di espressione.

E perfino questo non è abbastanza. I genitori devono sottoporre i propri figli all’indottrinamento basato sulla menzogna. E così il processo di distruzione dei legami familiari e l’appropriazione dei figli da parte dello Stato – obiettivo finale del socialismo gender – va avanti.

Opponiti alla menzogna e affronterai le baionette di oggi: aggressione sui social media e carriera in rovina. Oggi un biologo evoluzionista che insistesse nel dire che la biologia umana è dimorfica e che rifiutasse di acconsentire a mantra anti-scientifici e avulsi dalla realtà può vedersi negata la nomina, su queste basi. Volendo seguire l’esortazione di Alexandr Solzhenitsyn a «non vivere di menzogne» molti onesti ricercatori hanno scelto di abbandonare le università.

E così, i ranghi accademici si svuotano di uomini schietti e il loro posto viene preso da quanti hanno deciso di vivere secondo la menzogna, nel nome di una presunta compassione che in realtà è un attacco ben organizzato alla società dei liberi, con l’obiettivo di rimpiazzarla. 

Simili battaglie linguistiche (e capitolazioni) stanno avendo luogo in campo razziale (‘privilegio bianco’) e artistico (‘appropriazione culturale’). A chiunque segua l’alternarsi dei notiziari è estremamente chiaro che la politica delle intenzioni regna sovrana. 

Gli ideologhi preferirebbero vedere le città bruciare piuttosto che ammettere che il razzismo in polizia non è una spiegazione organica dei problemi della comunità nera. La comunità artistica preferirebbe vedere le pareti dei musei rivestite di opere del realismo sovietico, piuttosto che garantire libertà creativa agli artisti.

La politica delle intenzioni non ha mai riguardato la compassione, la sofferenza dei gruppi oppressi o i diritti dell’uomo. In Attraverso lo specchio (e quello che Alice vi trovò) lo scrittore vittoriano Lewis Carroll faceva la tara all’ossessione della sinistra per le parole e la loro definizione, ben prima che il socialismo acquistasse consenso politico in occidente:  

«Quando io uso una parola, — disse Unto Dunto in tono d’alterigia, — essa significa ciò che appunto voglio che significhi: né più né meno». 

«Si tratta di sapere, — disse Alice, — se voi potete dare alle parole tanti diversi significati».

«Si tratta di sapere, — disse Unto Dunto, — chi ha da essere il padrone…  Questo è tutto».

 

Le posizioni espresse in questo articolo sono opinioni dell’autore e non necessariamente riflettono le vedute di Epoch Times.

Traduzione di Gaetano D’Aloia

Articolo in inglese: Communism’s Long March Through the Institutions Has Succeeded

 
Articoli correlati