La guerra fra Cina e Taiwan, una minaccia concreta

La più grande minaccia per il Partito Comunista Cinese (Pcc) non è l’aviazione americana, e nemmeno le bombe atomiche nordcoreane o la recessione economica. Tutti questi fattori creano difficoltà al Pcc, ma la vera spina nel fianco del Partito è Taiwan.

Un’alternativa al Pcc

Ogni giorno, la sola esistenza di Taiwan dimostra che c’è un’alternativa politica ed economica, reale e concreta, al governo del Pcc. Per decenni, infatti, Taiwan ha fatto crescere la sua economia anche senza essere governata dal Partito Comunista. E a Taiwan, i cinesi godono di libertà molto maggiori.

Questi fatti molto evidenti e dolorosi per il Pcc mostrano ai cinesi che il Partito mente, quando afferma che la sua guida è l’unica possibile, per lo sviluppo dell’economia cinese. È per questo che la sola esistenza della «provincia ribelle» costituisce una forte minaccia per la leadership comunista.

Dal 1979 in poi, l’accordo tacito tra il Pcc e i cinesi è stato che il Partito avrebbe garantito la prosperità economica, e il popolo, in cambio, non avrebbe messo in dubbio la leadership comunista. Come è infatti noto, la crescita economica è l’aspetto principale da cui il Pcc trae legittimità politica.
Ma con l’economia che ora continua a rallentare, la legittimità del Partito diventa sempre più discutibile.

Sempre più problemi per l’economia

Sorvolando sulla crescita del Pil cosiddetta ‘ufficiale’, la fiacca economia cinese è strozzata dal debito, dalle frodi, dagli sprechi e dalla corruzione. Inoltre, data la guerra commerciale con gli Stati Uniti e l’inizio di una recessione nell’Eurozona, la recente tendenza economica al ribasso è probabilmente destinata a continuare sul suo tracciato, e l’economia cinese potrebbe toccare il suo momento peggiore negli ultimi vent’anni. È possibile che il Pcc dovrà affrontare una crisi di legittimità che si manifesti in un aumento delle ribellioni da parte dei cittadini, cosa che per certi versi sta già accadendo.

In ogni caso, l’aumento delle repressioni da parte dello Stato in risposta ai dazi americani dà un’idea di quale sia la mentalità del governo cinese. A questo si aggiunge il fatto che più di mille miliardi di dollari sono stati trasferiti fuori dalla Cina: un altro solido indicatore di quanto molti cittadini abbiano un’idea poco rosea di come sarà il prossimo futuro. La fiducia dei consumatori nella direzione che sta prendendo il Paese è bassa e in continuo calo.

Con la crisi della legittimità che si intensifica, il regime cinese, come fanno molti altri regimi, cercherà anche dei modi per portare via l’attenzione dai propri fallimenti.
Secondo la dottrina del Pcc, ricondurre Taiwan sotto il proprio controllo è un must. Il fatto che questo non si sia tradotto in realtà continua a essere visto come un fallimento di politica estera e interna, dai capi del Pcc stesso.

La ‘minaccia militare’ di Taiwan

Dal punto di vista militare, Taiwan non ha alcuna intenzione di invadere la Cina. Tuttavia, la sua posizione geografica la pone in un punto tale da ostacolare i principali porti cinesi. Al momento la cosa non costituisce un problema, ma, considerando che Taiwan è molto amichevole nei confronti degli Stati Uniti – con cui coopera strettamente a livello militare – nel caso di un conflitto la merce che dovrebbe arrivare in Cina potrebbe venire bloccata da Taiwan, in cooperazione con gli Usa.
Dai principali punti di entrata che Taiwan potrebbe bloccare, provengono infatti fino all’86 per cento delle importazioni cinesi di petrolio via mare e più del 50 per cento del gas naturale. Perdendo queste risorse, l’economia e l’apparato militare del Pcc sarebbero in seria difficoltà.

Questa evidente debolezza rimarrà tale finché Cina e Taiwan resteranno separate. Inoltre, tra gli obiettivi della Cina c’è l’eliminare la presenza militare ed economica degli Stati Uniti in Asia. Tuttavia, per farlo è necessario ottenere il controllo di Taiwan.

Conquistare Taiwan: un obiettivo militare di massima priorità per la Cina

È per questo che, con il deterioramento delle relazioni tra Usa e Cina, i leader di Taiwan e del Giappone, così come il Pentagono, ritengono probabile che prima o poi la Cina attacchi Taiwan. Lo stesso leader cinese Xi Jinping ne ha parlato spesso di recente: «Non promettiamo affatto – ha dichiarato Xi – di rinunciare all’uso della forza militare e ci riserviamo l’opzione di intraprendere tutte le misure necessarie contro le attività separatiste di Taiwan e contro le forze esterne che interferiscono con la riunificazione».

Una recente relazione del Pentagono conferma le intenzioni di Xi e aggiunge che l’intera espansione dell’esercito cinese ha lo scopo strategico di portare Taiwan sotto il controllo del Pcc. Xi ha chiesto all’esercito di «prepararsi alla battaglia» e questo potrebbe non voler dire nulla di particolare al momento, ma allo stesso tempo è probabile che i generali cinesi avrebbero tutta la voglia e l’intenzione di seguire un ordine del genere. Xi ha annunciato inoltre che «l’indipendenza di Taiwan è un vicolo cieco» e che la Cina «deve essere riunita e sarà riunita».

Taiwan prende sul serio le minacce cinesi

Da quando Taiwan ha eletto l’indipendentista Tsai Ing-wen come presidente nel 2016, la Cina ha intensificato le attività militari e l’utilizzo di una retorica ostile. In risposta, la presidente Tsai ha ordinato all’esercito di intensificare gli sforzi per contrastare un attacco cinese che potrebbe avvenire in qualunque momento e a cui Taiwan «dev’essere sempre pronta».

La presidente di Taiwan, del resto, non è la sola a prevedere presto un attacco cinese contro l’isola. Anche l’ex comandante della Difesa Aerea giapponese, Orita Kunio, ha predetto in una recente intervista che un attacco cinese contro Taiwan potrebbe verificarsi anche già nel 2020. Inoltre, Orita si aspetta che l’azione militare contro l’isola sia solo la prima delle tante da parte della Cina in Asia, che potrebbe nel lungo termine mirare anche ad Okinawa.

Gli Stati Uniti rispondono alla minaccia

Anche gli Usa condividono le preoccupazioni di Taiwan e Giappone e infatti hanno rafforzato la collaborazione militare e diplomatica con l’isola. Inoltre, hanno continuato a inviare navi nello Stretto di Taiwan e in altri punti militarmente delicati ignorando gli avvertimenti cinesi, che intimano da tempo di non farlo. Le spese americane per la Difesa stanno aumentando in risposta all’aumento della potenza cinese e si stanno concentrando maggiormente nella regione asiatica. Naturalmente, la stessa guerra commerciale in atto gioca anch’essa un’influenza, psicologica e pratica, sulla Cina.

Taiwan è sia il problema che la soluzione?

I massimi leader cinesi potrebbero vedere in Taiwan sia il problema che la soluzione ai propri problemi di breve e lungo termine. Sicuramente potranno dire che Taiwan, con il suo rafforzamento dell’esercito, stia provocando la Cina, e potrebbero ritenere che l’aumento della cooperazione con gli Usa ostacoli la relazione tra Usa e Cina. Inoltre, come già detto, l’esistenza stessa di Taiwan costituisce una minaccia alla continuazione del dominio del Pcc.

Il Pcc ha bisogno di controllare ogni aspetto della vita dei cinesi, per rimanere al potere. Ma per mantenere il controllo, il Partito deve anche essere considerato legittimo da una parte consistente della società. Anche i sostenitori più convinti del regime sanno che un partito con circa 90 milioni di membri non può governare a lungo una nazione di un miliardo e 400 milioni di persone, se non gode di riconoscimento e legittimazione. Per il Pcc e Xi Jinping, quindi, la «provincia separatista» potrebbe presto servire da nemico creato ad hoc contro cui scaricare i propri fallimenti e grazie al quale ‘rimediare’ ad essi, allo scopo di mantenere ancora il potere completo sui cinesi.

 

L’autore dell’articolo, Jamie Gorrie, è uno scrittore texano, autore di The China Crisis.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente quelle di Epoch Times.

Articolo in inglese: Is a China-Taiwan War On the Horizon?

 
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