La guerra di TikTok

La popolare applicazione cinese, sotto i riflettori per la scarsa sicurezza dei dati e per la censura, verrà bandita da Trump o acquistata da Microsoft

Di James Gorrie

La storia di TikTok sta diventando sempre più strana. Da una parte è una manifestazione della montante guerra di influenza globale tra Pechino e Washington. Dall’altra, sembra essere un test per gli Stati Uniti come nazione.

I Social media come armi

Il presidente americano ha minacciato di bandire l’app cinese in questione a meno che non venga acquistata da un’azienda statunitense. Infatti, così come i produttori di smartphone e di apparecchiature di rete Huawei e Zte, TikTok è stata accusata di aver trafugato dati e informazioni sugli utenti a vantaggio del Partito Comunista Cinese (Pcc).

Gli Stati Uniti temono che i quasi 100 milioni di utenti americani che utilizzano TikTok potrebbero essere soggetti alle manovre di propaganda, alla censura, e all’impiego dei loro dati personali a fini pubblicitari senza il loro consenso. Inoltre, l’utilizzo dell’app aumenterebbe il rischio, per loro e per i loro contatti, di subire attacchi informatici dalla Cina.

In altre parole, sembra che Pechino stia usando i social media come delle vere e proprie armi.

È questo il contesto in cui si svolge la vicenda TikTok. Ormai è chiaro, perlomeno tra gli addetti ai lavori, che ogni azienda che viene dalla Cina è potenzialmente pericolosa e che c’è una certa possibilità che sia addirittura una spia del Pcc. Infatti, TikTok non è che l’ultimo cavallo di Troia cinese, secondo le dichiarazioni del segretario di Stato americano Mike Pompeo.

Si tratta di una conclusione ragionevole, ma ci sono anche altri aspetti da considerare.

Microsoft non è la soluzione

Sembra che sarà proprio Microsoft ad acquistare TikTok, ma date le profonde e decennali relazioni tra la Microsoft e Pechino, questo non risolverebbe il problema. I fondatori di ByteDance, la società madre di TikTok che ha sede in Cina, sono infatti anch’essi allievi della Microsoft.

Consentire a Microsoft di acquistare TikTok potrebbe peraltro non risolvere il problema della protezione dei dati degli utenti americani dal regime cinese. Infatti, la posizione dominante di Microsoft in Cina è dovuta almeno in parte alla sua propensione a piegarsi alle richieste della censura cinese. Come molte altre aziende statunitensi che cedono alle richieste del Pcc, Microsoft è un partner disposto a collaborare con il più corrotto trasgressore dei diritti umani del pianeta.

Inoltre, l’acquisizione finirebbe ovviamente per accrescere il potere di Microsoft nel mondo digitale e dei social media, trasferendo al gigante americano la grandissima influenza mediatica che TikTok esercita su milioni di utenti statunitensi.

Dal punto di vista delle relazioni Usa-Cina, il Dragone accusa gli Stati Uniti di voler semplicemente ostacolare l’espansione delle aziende cinesi nel mondo e di voler impedire alla Cina di consolidare la sua posizione di superpotenza globale. Si tratta ovviamente di una considerazione ragionevole, e probabilmente quanto affermato da Pechino corrisponde in una certa misura alla verità.

Tuttavia, considerando la natura del Pcc, la sua lunga storia di sfruttamento delle aziende occidentali e di violazioni delle leggi sulla proprietà intellettuale, è indiscutibile che quella degli Stati Uniti sia anche una politica dettata dalla saggezza.

Ma lo sviluppo dell’affare TikTok è realmente senza precedenti.

Una percentuale sulla vendita?

Trump ha recentemente dichiarato che il Tesoro degli Stati Uniti dovrà incassare una fetta della vendita di TikTok. Ma è ignoto che percentuale esattamente dovrebbero percepire gli Usa sul valore della transazione, che secondo le stime si aggira intorno ai 50 miliardi di dollari. E in effetti una simile condizione di vendita non ha precedenti nella storia degli Stati Uniti.

Il ragionamento di Trump è che l’accesso al mercato statunitense è ciò che ha consentito a TikTok di raggiungere il suo valore attuale, per cui qualsiasi profitto derivato dovrebbe essere condiviso con il governo degli Stati Uniti. Ma con questo ragionamento, qualsiasi azienda negli Stati Uniti che venisse acquistata o venduta dovrebbe dare una parte della vendita al Tesoro degli Stati Uniti.

Dal punto di vista del venditore, le imposte sulle entrate svolgono proprio questo ruolo. Ma che dire degli acquirenti? Cosa dovrebbero pagare? Il governo federale non è nella posizione – o quantomeno non dovrebbe esserlo – di prendersi una percentuale sulle vendite. Questo è quello che fanno i Paesi fascisti e comunisti.

Ma un altro aspetto della questione TikTok è che si tratta di una vendita forzata.

ByteDance è parzialmente di proprietà di investitori statunitensi. L’acquisto da parte di Microsoft sarebbe quindi essenzialmente il risultato del governo federale che costringe un gruppo di proprietari americani a vendere a un altro gruppo americano.

Accrescere il potere di Microsoft non è saggio

Sarebbe difficile giustificare questa vendita per diversi motivi. In primis, il Congresso sta seriamente considerando di liquidare i semi-monopoli stabiliti da giganti della tecnologia come Twitter e Facebook perché hanno già troppo potere in un mercato con poca o nessuna vera competizione.

Veramente il governo degli Stati Uniti vuole accrescere ulteriormente la potenza di Microsoft, specialmente a fronte della sua lealtà verso Pechino?

Infatti, Microsoft è già l’azienda dominante nel mercato globale dei sistemi operativi. Semmai, il governo federale dovrebbe cercare un modo per limitare il potere e l’influenza di questa azienda nel settore.

D’altra parte, l’autorità federale può spingersi tanto in là da decidere quale azienda statunitense possa acquistare un’altra azienda e quale no? In realtà, le leggi antitrust garantiscono al governo l’autorità necessaria per proteggere il mercato e i consumatori statunitensi.

Ma come ha già dimostrato il caso Huawei, la sicurezza nazionale è un fattore importante coinvolto nella questione. Nel caso di TikTok sono in gioco entrambi i fattori: la questione dell’anti-trust e la sicurezza nazionale. Per questo la richiesta di Trump di ‘una percentuale sulla vendita’ è – comunque la si guardi – pericolosamente sbagliata e contraria all’identità e ai valori degli Stati Uniti.

 

James Gorrie è uno scrittore e relatore con sede nel sud della California. È l’autore di «The China Crisis».

Le opinioni espresse in quest’articolo sono quelle dell’autore e non riflettono necessariamente quelle di The Epoch Times.

Articolo in inglese: The TikTok Wars

 
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