La Gang di Shanghai e i diritti Tv del calcio italiano

Anche la Lega Calcio di Serie A si inchina al dio denaro della dittatura comunista cinese. Sebbene la realtà di questa operazione venga offuscata o presentata in modo fumoso, basta il buon senso per rendersi conto di cosa questa cessione, se ufficializzata, potrebbe significare per il calcio italiano.

Nelle scorse settimane si è diffusa la notizia dell’acquisizione da parte del gruppo cinese Orient Hontai, di Imagina Media Audiovisual, l’azienda spagnola di produzione audiovisiva di cui fa parte MediaPro, il gigante catalano che detiene i diritti della Liga calcio spagnola. Il fondo di private equity Orient Hontai si è infatti aggiudicato il bando di vendita per un miliardo di dollari, acquisendo la maggioranza del gruppo spagnolo (il 54 per cento).

La cosa non toccherebbe direttamente l’Italia, se non fosse che – proprio mentre il fondo spagnolo MediaPro stava diventando cinese – quest’ultimo si vedeva allo stesso tempo accettata dalla Lega Calcio la sua stratosferica offerta per acquisire anche i diritti Tv della Serie A per i prossimi tre anni (per una cifra attorno al miliardo di euro a stagione). Quindi, anche la nostra Serie A è finita nelle mani dei cinesi.

L’offerta di MediaPro, molto più alta di quelle di Sky e di Mediaset, ha fatto sicuramente più gola ai rappresentanti del calcio italiano, suscitando tuttavia al contempo non poche polemiche soprattutto da parte di Sky che, in un documento inviato dai suoi legali alla Lega di Serie A e citato da calcioefinanza, accusa il gruppo spagnolo di non operare come ‘intermediario indipendente’   ̶ categoria a cui era rivolto il bando di vendita e nella quale ha partecipato MediaPro   ̶ ma come vero e proprio operatore della comunicazione. Sky, ritiene per questo l’offerta di MediaPro «inammissibile», e ha quindi chiesto alla Lega di non prenderla in considerazione.

Per l’ufficializzazione di tutta l’operazione di vendita dei diritti televisivi della Serie A a MediaPro, ora l’ultima parola spetta all’antitrust, che ha ancora qualche giorno di tempo per pronunciarsi. E che pochi giorni fa ha chiesto chiarimenti a MediaPro in merito alla sua offerta.

In attesa dell’Antitrust, in molti si sono chiesti cosa possa aver fornito a MediaPro la sicurezza finanziaria per lanciarsi in un investimento così imponente. Una risposta è ovviamente il pontenziale fatturato che può generare la stessa Serie A, assieme ai progetti futuri in grande di MediaPro in merito all’ampliamento del suo business, dal momento che a quanto è apparso, intende vendere ‘pacchetti’ calcio agli operatori delle telecomunicazioni.
Ma sebbene questa sia, nell’insieme, una notevole garanzia di ritorno economico nel breve termine, non basta a spiegare la ‘spavalderia’ della titanica offerta con cui MediaPro ha azzerato quelle di Sky e Mediaset.

CHI C’È DIETRO ORIENT HONTAI?

Quando MediaPro pensava ad acquisire i diritti Tv della Serie A, la società spagnola era già al corrente dell’imminente entrata del fondo cinese con una quota di maggioranza: le trattative con Orient Hontai erano già in corso da ottobre 2017, e sono state ufficializzate dai media di regime cinesi il 2 febbraio 2018.
Ecco allora spiegato il ‘non badare a spese’ dell’offerta da 1.050 milioni all’anno (che con l’ulteriore aggiunta di mille euro ha superato il minimo d’asta richiesto dal bando) resa possibile dai pozzi senza fine della liquidità cinese.

Ma chi c’è dietro il fondo di private equity Orient Hontai? Quando si parla di società con sede a Shanghai, la domanda diventa quasi retorica, dato che la capitale economia della Cina è nota come il ‘nido’ di quello che è tutt’ora uno degli uomini più potenti della Cina: l’ex capo del Pcc Jiang Zemin.

Quello che si sa, e che i media italiani hanno giustamente riportato, è che il fondo Orient Hontai fa capo alla Orient Securities Capital Investment Company Limited, che a sua volta è interamente controllata dalla finanziaria Orient Securities Company Limited.
Ma il gioco delle ‘scatole cinesi’ non finisce qui: la Orient Securities Company Limited è a sua volta controllata dalla capogruppo Shenergy (Group) Co. Ltd. Quest’ultima è a tutti gli effetti un’impresa di proprietà statale (quindi sotto il controllo assoluto del Pcc) che si occupa di investimenti in elettricità, petrolio e gas naturali a Shanghai.
Alla fine si arriva quindi al regime cinese, e gli indizi sembrano rimandare proprio alla sua parte più nera (o meglio, rossa): la Gang di Shanghai, come è chiamato il clan di Jiang Zemin.

A VOLTE RITORNANO: JIANG ZEMIN

Come noto, l’attuale leader del Pcc è Xi Jinping. Da quando Xi è salito al potere, si è creata una visibile divergenza di vedute tra Xi e l’ex capo del Partito Jiang.
Con la salita di Xi Jinping al potere, si è infatti verificata una sorta di interruzione, rispetto all’integralismo dogmatico comunista imposto al popolo cinese a partire dalla Rivoluzione Culturale di Mao Zedong in poi.

Ad esempio, nel 1999, quando Jiang era al potere, in coerenza con la spietata natura atea e anti-libertaria della dittatura comunista, ha ordinato una brutale persecuzione contro oltre 100 milioni di persone, la cui unica ‘colpa’ era quella di praticare una pacifica pratica di meditazione di nome Falun Dafa.
Un vero e proprio sterminio, ancora oggi in atto: nonostante non sia più leader del Pcc, Jiang Zemin ha ancora numerosi fedelissimi, molti dei quali sono stati falcidiati dalla mani pulite di Xi.
E d’altra parte, Xi Jinping ha subito diversi tentativi di colpi di Stato (falliti) orchestrati dalla Gang di Jiang.

JIANG ZEMIN E LA STORIA DEL MERCATO PRIVATE EQUITY CINESE

Il mercato di private equity cinese, è considerato essere sotto il controllo dalla famiglia di Jiang Zemin. E risulta obiettivamente strano che – proprio adesso che Xi Jinping sta controllando sempre di più la fuoriuscita di capitali e gli investimenti stranieri in private equity – ci siano ancora società cinesi che riescano a investire all’estero.

Il mercato del private equity cinese è nato nel 1999 a Shenzhen, e negli anni a seguire ha spostato il proprio centro a Shanghai. E dentro ci sono sempre state le mani della famiglia di Jiang Zemin.
Per Xia Yeliang, docente di economia dell’Università di Pechino, il private equity è diventato ormai il maggiore mezzo di arricchimento per i cosiddetti ‘principi rossi’ cinesi.

Il defunto Huang Ju, era un alto funzionario del Partito Comunista Cinese, membro del Comitato permanente del Politburo (supremo organo di potere in Cina) dal 2002 al 2007, ricoprendo anche il ruolo di primo vice-capo del Pcc nel 2003. Huang Ju (morto nel 2007) era uno stretto confidente di Jiang Zemin, che lo aveva quindi posizionato nei posti più alti del Partito.

Quando era ancora in vita, grazie ai poteri conferitigli da Jiang Zemin, Huang Ju aveva  nominato il suo segretario e braccio destro Wang Weigong vice direttore generale di Shenergy (la società che controlla Orient Hontai). Fatto che conferma l’incontrastato potere decisionale e il facile accesso che Huang (e quindi Jiang Zemin) aveva ai quadri direttivi delle aziende del regime. Wang Weigong è stato arrestato per corruzione non appena Huang Ju è deceduto.

A conferma del profondo rapporto che legava Huang Ju e Jiang Zemin, prima che Jiang andasse ‘in pensione’, Huang gli aveva fatto costruire due ville a Shanghai. E quando il figlio di Jiang Zemin, Jiang Mianheng, ha espresso il desiderio di fare business a Shanghai nel campo delle telecomunicazioni, Huang lo ha aiutato fornendogli i permessi e le documentazioni necessarie per la sua società, oltre che dei prestiti bancari, delegando spesso tutto il lavoro al suo segretario: Wang Weigong.

 
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