La fine di Luo Gan, Zar della Sicurezza cinese

Da diverso tempo circolava su internet la notizia che l’ex capo della sicurezza cinese Luo Gan, approfittasse del suo potere a vantaggio dei propri familiari.
Ma ora anche i media di regime parlano dei guadagni illeciti della famiglia Luo. E il fatto che le autorità cinesi, sempre vigili e solerti nel censurare/insabbiare le notizie (per loro) sconvenienti, non abbiano invece censurato i fatti su Luo Gan, dimostra che la sua immagine all’interno del Partito Comunista Cinese si sta sgretolando, nonostante l’alto rango ricoperto in passato.

Il 27 novembre scorso, la rivista cinese Dengshenxian aveva rivelato come la sede centrale e le filiali della società di Luo Shaoyu, la Dongyin, avessero accumulato decine di miliardi di yuan in prestiti scaduti, distribuiti in oltre trenta banche e istituti finanziari. E come, nel frattempo, Luo Shaoyu e famiglia, tra cui madre, padre e sorella, avessero creato decine di società offshore.

AFFARI DI FAMIGLIA

Secondo la classifica Forbes 2017 delle persone più ricche della Cina, la famiglia di Luo Shaoyu è al 223esimo posto, con un patrimonio di 9 miliardi e 25 milioni di yuan (circa un miliardo e 21 milioni di euro).

L’articolo di Dengshenxian non parla dei rapporti tra Luo Shaoyu e Luo Gan, rispettivamente nipote e zio. Questo giornale ha verificato la solidità dei legami d’affari fra i due Luo: in passato Luo Shaoyu risulta aver approfittato della posizione dello zio per i propri affari e, nel 1997, avrebbe fondato con la madre una fabbrica di automezzi blindati per la polizia chiamata Zhongqi. Il cerchio si chiude poco tempo dopo, quando Luo Gan riceve la nomina di segretario della Commissione affari politici e giuridici, diventando il capo assoluto della Sicurezza cinese. Da quel punto in poi, ovviamente, le auto su cui viaggiavano gli agenti della pubblica sicurezza erano quelle acquistate dall’azienda del nipote Shaoyu.

Nel 1998, le ambizioni di Luo Shaoyu lo hanno portato all’acquisizione di Jiangdong – azienda statale per la produzione di ricambi per motori – con cui si è associato per fondare la holding di investimenti Dongyin. E per trasferire – quando si dice ‘scatole cinesi’ – le azioni di quest’ultima nella società familiare Zhongqi.

Nel 2002 e sempre grazie allo zio, Shaoyu è riuscito a convincere le autorità per la gestione patrimoniale del governo di Yancheng, ad approvare l’acquisizione a costo zero di Jiangdong da parte di Dongyin. Luo Shaoyu è riuscito così a mettere le mani su un’impresa di svariati miliardi di yuan. Gratis.

I CRIMINI CONTRO L’UMANITÀ DI LUO GAN

Luo Gan è arrivato al potere nel 1999, anno in cui l’allora capo del Pcc Jiang Zemin ha dato inizio alla crudele campagna nazionale di repressione contro la pratica spirituale del Falun Gong. Gan ricopriva un ruolo chiave nella mobilitazione delle forze di polizia con l’obiettivo di arrestare, imprigionare e torturare i praticanti di questa pacifica disciplina. Ha inoltre contributo alla creazione dell’Ufficio 6-10, una Gestapo cinese, istituita appositamente per attuare la persecuzione contro il Falun Gong.

Luo Gan ha dimostrato così la sua piena fedeltà al regime. Che è stata ricompensata con la nomina nell’organismo cinese più importante: il Comitato permanente del Politburo del Pcc.

Jiang Zemin (un individuo di cui questo giornale ha avuto ampiamente modo di trattare) e il fido tirapiedi Luo Gan, consideravano la popolarità del Falun Gong (i cui praticanti erano stimati dai 70 ai 100 milioni in tutta la Cina) una grave minaccia per il controllo imposto dalla dittatura atea comunista sulla società.
Prima dell’inizio ufficiale della persecuzione nel luglio del 1999, fin dal 1996 Luo Gan aveva organizzato indagini segrete, infiltrando agenti nei parchi pubblici o in altri luoghi di pratica del Falun Gong e per registrare i nomi dei praticanti.

Come ricostruisce Ethan Gutmann, autore del libro The Slaughter (il Massacro) il 25 aprile 1999, quando i praticanti del Falun Gong hanno presentato alle autorità richiesta di liberazione di numerosi praticanti arrestati senza valido motivo, Luo Gan ha ordinato alla polizia di allinearli in file sul marciapiede lungo lo Zhongnanhai, quartiere generale del Partito Comunista Cinese a Pechino.
Le immagini dei praticanti allineati lungo il marciapiedi davanti alla sede del Pcc, erano parte della strategia propagandistica del Pcc (falsa al limite del ridicolo, se non ci si trovasse di fronte a una tragedia), e dovevano servire a ‘dimostrare’ che i praticanti del Falun Gong ‘assediavano’ il cuore del potere politico cinese con l’obiettivo di rovesciare il potere.

Il 23 gennaio 2001, Luo Gan ha inscenato un vero e proprio teatrino per screditare i praticanti del Falun Gong: i media di regime dichiaravano che numerosi appartenenti al Falun Gong stavano per immolarsi, dandosi fuoco in piazza Tiananmen (dando così prova di ‘follia’, nelle intenzioni di Luo Gan).
Ma diversi osservatori e media occidentali (fra cui il Washington Post) hanno poi dimostrato come si sia trattato di falsi: falsi i presunti praticanti del Falun Gong auto-immolati e falsi anche i video (maldestramente rimaneggiati) delle auto-immolazioni.

Ethan Gutmann ritiene che tra 450 mila e un milione di praticanti sono tuttora detenuti in Cina, nei campi di lavoro forzato, in prigioni o altri centri di detenzione a lungo termine. E secondo il Centro d’informazione della Falun Dafa, sono migliaia i morti a causa delle torture.
Inoltre, dall’inchiesta del 2016 Bloody Harvest / The Slaughter: An Update, è emerso che dal 2000 gli ospedali cinesi hanno effettuato ogni anno tra 60 e 100 mila prelievi di organi, la maggior parte provenienti da praticanti della Falun Dafa.

Per questi motivi, i giudici spagnoli e argentini hanno riconosciuto colpevoli Jiang Zemin e Luo Gan di genocidio, e un tribunale argentino ha emesso un mandato di cattura internazionale per entrambi.

Anche dopo le formali dimissioni da capo del Pcc nel 2002, Jiang Zemin ha continuato a manovrare con la sua famigerata Gang da dietro le quinte. Nel 2012 la direzione del Partito Comunista Cinese è passata a Xi Jinping che – naturalmente – diffidava dei non pochi fedeli a Jiang rimasti, che costituivano una forte opposizione.
Per eliminarli, Xi Jinping ha quindi iniziato una massiccia campagna anticorruzione, una sorta di mani pulite cinese: il clan di Jiang è fatto di personaggi che hanno più di uno scheletro nell’armadio; raccogliere le prove per processarli (regolarmente) e mandarli dietro le sbarre – spesso per tutta la vita – non richiede obiettivamente un difficile lavoro di indagine.

Quando il boss della Gang di Shangai, il famigerato Zhou Yongkang (nel frattempo subentrato a Luo Gan a Capo della Sicurezza) è stato inquisito per corruzione, i gli organi di regime hanno ‘scoperto’ che le famiglie di entrambi – Guo e Zhou – avevano tratto enormi profitti dalle transazioni minerarie e che avevano persino tentato di appropriarsi di un’intera miniera di molibdeno, del valore di 470 miliardi di yuan (oltre 61 miliardi di euro).


Zhou Yongkang (Liu Jin/Afp/Gety Images)

Nell’ottobre 2017, al 19esimo Congresso nazionale del Pcc, in cui Xi Jinping ha definitivamente consolidato il proprio potere nel Pcc, Luo Gan non era presente al fianco degli alti dirigenti: secondo alcune voci era ‘ammalato’. Altri ritenevano che, in qualche modo, stesse iniziando a pagarla per i suoi innumerevoli reati.

 

Articolo in inglese: Former Security Czar’s Dirty Laundry Made Public, a Sure Sign of Having Fallen From Power

Traduzione di Francesca Saba

 
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