La Fed aumenta i tassi ma Pechino ha finito i soldi

Recentemente, la Federal Reserve ha aumentato i tassi d’interesse di 25 punti basi all’1.75-2 per cento. È la seconda volta che la Fed aumenta i tassi d’interesse nel 2018 e la settima dal dicembre 2015.

Il mercato finanziario statunitense e il dollaro americano hanno un ruolo cruciale nel mercato finanziario globale, quindi ogni volta che la Federal Reserve aumenta i tassi d’interesse causa effetti rilevanti in tutto il mondo.

In passato, per esempio, l’aumento del tasso d’interesse della Fed ha aggravato i problemi finanziari di vari Paesi come la crisi dei debiti sovrani latino-americani all’inizio del 1980, la bolla dell’immobiliare giapponese e negli anni 90 le crisi finanziarie dei Paesi asiatici.

Ma questa volta la Cina non l’ha seguita. Il Pcc si trova alle prese con numerose sfide interne, come il rallentamento dell’economia, il peggioramento delle condizioni finanziarie degli enti locali e l’insolvenza delle aziende pubbliche (e non). A tutto questo si sono aggiunti ultimamente gli scioperi e, non ultima, la guerra commerciale con gli Stati Uniti. Gli economisti del Pcc si muovono quindi con massima prudenza, per non dire paura.

LO YUAN E LA BORSA DI SHANGHAI AL MINIMO DEGLI ULTIMI MESI

Dalle statistiche ufficiali, il 15 giugno il cambio yuan–dollaro era a 6,4306, raggiungendo il punto più basso degli ultimi 5 mesi; rispetto al 14 giugno è diminuito di 344 punti base, un calo notevole dal 9 febbraio di quest’anno.

Lo stesso giorno nella Borsa di Shangai, l’indice Sse è sceso allo 0,73 per cento e ha chiuso a 3021,9 la quota più bassa degli ultimi 20 mesi.

Secondo Tecent Finance, l’aumento del tasso d’interesse della Fed causerà la svalutazione dello yuan e il calo dell’Sse, con conseguente fuga di capitali cinesi all’estero; a questo si aggiungeranno altri effetti collaterali, come la svalutazione dell’immobiliare,  che andrà a indebolire ulteriormente l’economia cinese.

L’opinionista Fan Zhilin, ha pubblicato un articolo sul suo profilo WeChat in cui sostiene che questo ennesimo rialzo dei tassi d’interesse (la settima volta dal 2015) stia annientando i sistemi finanziari deboli dei mercati in via di sviluppo (come quelli di Turchia, Pakistan e Argentina), che hanno problemi legati alla svalutazione della moneta. Secondo Fan, inoltre, in futuro la Fed aumenterà di nuovo i tassi e, se il Pcc non seguirà, si creerà una maggiore svalutazione tra yuan e dollaro, che avrà come conseguenza la fuga in America di sempre maggiori capitali cinesi, senza contare il rischio di inflazione fuori controllo.

CRISI DEI FINANZIAMENTI E PAURA DEL FUTURO IN CINA

Data la crisi economica interna, per il regime di Pechino aumentare i tassi in questo momento sarebbe un ‘suicidio’ poiché causerebbe un ulteriore rallentamento dell’economia.

Il 12 giugno la banca centrale cinese (The People’s Bank of China) ha pubblicato le nuove statistiche dei debiti: a maggio 2018 il «finanziamento sociale» è sceso a 760,8 miliardi di yuan, 300 miliardi di yuan in meno rispetto alle cifre di maggio dell’anno precedente (2017), e quasi la metà in meno rispetto ad aprile 2018 in cui era di 1.560 miliardi.

Il «finanziamento sociale», come viene chiamato dal regime comunista cinese, include i finanziamenti/debiti sia in yuan che in moneta straniera di vario tipo, i prestiti fiduciari, i ‘prestiti garantiti’ (gli entrusted loans, una speciale forma di prestiti alle imprese usata quasi esclusivamente in Cina), le obbligazioni societarie detenute da istituti finanziari e gli investimenti immobiliari.

Per l’Economic Daily di Hong Kong, la decrescita del finanziamento sociale significa che le aziende e i cittadini hanno ridotto le richieste di presiti alle banche. E se le aziende hanno diminuito le richieste di prestiti per investire, significa naturalmente che sono preoccupate per il futuro dell’economia del Paese.

Al tempo stesso, il peggioramento delle condizioni economico-finanziarie degli enti locali si fa sempre più grave. La città di Leiyang, che ha il quinto posto nella classificazione del Pil della provincia dello Hunan, si trova in difficoltà economiche tanto gravi da avere problemi a pagare lo stipendio dei funzionari del governo locale. Gli stipendi dovevano essere pagati il 15 maggio, ma al primo giugno non erano ancora arrivati. Solo dopo è arrivata una comunicazione ufficiale sui ritardi degli stipendi, che confermava la mancanza di liquidità del governo di Leiyang.

Oltre a Leiyang tante altre città si trovano nelle stesse condizioni. Nella città di Qiqihaer (provincia di Helongjiang) tutti i dipendenti del canale televisivo pubblico locale reclamano per i loro stipendi in ritardo. A Luohe, Nanyang e Changge, tre città della provincia dello Henan, la polizia manifesta (oltre che per affermare i propri diritti) per lo stipendio, e le infermiere di diversi ospedali pubblici  scioperano per gli stipendi troppo bassi.

Oggigiorno in Cina, contadini, impiegati, autisti, insegnanti, militari in pensione, poliziotti e persino medici e avvocati del settore pubblico, lamentano stipendi troppo bassi, «al limite della sussistenza».

LA STRETTA SUL CREDITO STRANGOLA L’ECONOMIA CINESE

Secondo i dati ufficiali, a maggio 2018 in Cina il ‘finanziamento sociale’ è stato ridotto enormemente, sono stati ridotti di 157 miliardi di yuan i prestiti fiduciari, di 90 miliardi di yuan i ‘prestiti garantiti’ e i titoli di credito a sconto bancario di 174,1 miliardi.

Questi tre tipi di prestiti non sono standard, e il Pcc ha scelto la loro riduzione nel tentativo di ridurre la leva finanziaria. La politica monetaria libera può causare inflazione e crisi economica, quindi il Pcc enfatizza il fatto che vuole ridurre la leva finanziaria per ridurre i debiti, ma questa politica in realtà può bloccare lo sviluppo dell’economia intera del Paese.

Il 14 giugno il Wall Street Journal ha pubblicato un articolo in cui si afferma che negli ultimi mesi le azioni del Pcc per ridurre i finanziamenti, hanno procurato perdite ingenti per l’economia cinese, rallentando molte attività commerciali.

Dai dati (del 14 giugno) dell’ufficio Nazionale di Statistica del Pcc, la spesa per i consumi del mese di maggio è aumentata solo del 8,5 per cento, molto meno rispetto ai previsti 9,6 per cento e rispetto a quelli di aprile che era del 9,4 per cento; in sostanza ha raggiunto il punto più basso dal maggio 2003.
Nell’ambito degli investimenti, la velocità dell’aumento degli investimenti nelle proprietà privata (case, negozi) è rallentata del 6,1 per cento, che oltre ad essere una percentuale più bassa del previsto è anche più bassa di quella di aprile (del 7 per cento) raggiungendo il minimo dal 1995.

Non solo: analisi approfondite dimostrano che, a causa della politica di riduzione la leva finanziaria, le aziende cinesi non riescono a restituire i prestiti alle banche, facendo schizzare l’insolvenza alle stelle: da metà aprile a fine maggio 2018, 13 aziende debitrici sono risultate insolventi per un totale di ben 14 miliardi di yuan. E non si tratta di casi isolati: la tendenza è generale.

LA FINE DEL BLUFF SI AVVICINA

Il 14 giugno a una conferenza di Shanghai, Zhou Xiaochuan, ex direttore della Banca Centrale cinese, ha messo in guardia tutti dicendo che, sebbene dopo la crisi del 2008 l’economia mondiale si stia riprendendo, i rischi per l’encomia cinese sono gravi.
La tendenza all’insolvenza generalizzata, infatti, farà aumentare i tassi d’interesse, con conseguente aggravarsi dei debiti dell’aziende non (ancora) insolventi, in un circolo vizioso che – se non fermato – porterebbe l’intera economia cinese al collasso.

Tutto questo senza considerare l’America: appena la guerra commerciale entrerà nel vivo, i 375 miliardi di dollari che ogni anno la Cina guadagnava dagli Stati Uniti verranno a mancare. E questo potrebbe essere il ‘colpo di grazia’ al regime comunista cinese.

 
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