La falsa giustificazione per l’antirazzismo e la «giustizia sociale»

Di Philip Carl Salzman

Tutti gli scritti e le campagne di «antirazzismo» e di «giustizia sociale» si basano sull’idea che determinate razze e sessi vengano trattati ingiustamente. E l’unica prova presentata a sostegno di questa affermazione sono le disparità statistiche tra le diverse categorie censite di razze e sessi.

Ma le disparità statistiche non dimostrano un trattamento ingiusto: mostrano solo risultati disuguali. Gli attivisti a favore di certe ‘razze’ e le femministe affermano che le disparità statistiche riflettono una discriminazione razzista e sessista. Questa è una teoria che riguarda dei fatti verificabili e quindi bisognerebbe esaminare le prove.

Ma prima di affrontare le prove rilevanti, è importante osservare quel cambiamento rivoluzionario che è stato l’innalzare alla massima importanza le categorie di razza e sesso. La cultura illuminista occidentale, in particolare nel mondo anglofono, ha sempre posto l’individuo al primo posto. In questa prospettiva, le collettività come i governi, le chiese e le imprese hanno lo scopo di servire gli individui e i loro interessi: non sono gli individui che vanno misurati sulla base del livello del loro servizio alle collettività. Ma in ogni caso, per lo meno le collettività hanno una qualche esistenza, mentre le categorie censite di razza e sesso a cui ci viene chiesto di inchinarci sono, in quanto tali, etichette vuote. Questo è il motivo per cui il razzismo e il sessismo sono così odiosi: onorano le etichette piuttosto che gli esseri umani reali.

È discriminazione?

Gli attivisti razziali e sessuali affermano che le disparità statistiche riflettono una discriminazione razzista e sessista. Senza ulteriori prove di effettiva discriminazione, gli attivisti affermano che qualsiasi categoria o beneficio che non veda tra i suoi membri/beneficiari il 13,4 percento di neri americani, il 18,5 percento di ispanici e il 50 percento di donne americane – le loro percentuali della popolazione generale – sicuramente è caratterizzato da discriminazione razziale e sessista. Ad esempio, il fatto che i neri costituiscano il 5% e gli ispanici il 5,8% dei medici, significa che i neri e gli ispanici sono statisticamente sottorappresentati e che questo risultato è la conseguenza della discriminazione razzista contro i neri e gli ispanici.

Allo stesso modo, le donne costituiscono il 15% della forza lavoro ingegneristica americana e sono quindi statisticamente sottorappresentate. Per le attiviste razziali e femministe, queste ‘sottorappresentazioni’ statistiche sono di per sé prove di discriminazione. Ma allora le femministe sono disposte ad ammettere, poi, che il predominio demografico delle donne tra gli studenti e i laureati in generale (quasi il 60 per cento), sia la prova che la sottorappresentazione dei maschi è il risultato di una discriminazione sessista e anti-maschile? Poiché la maggior parte degli studenti delle scienze sociali, umanistiche, dell’istruzione e del lavoro sociale sono donne, a quanto pare preferiscono questi campi ad altri come l’ingegneria e alcuni altri campi Stem (scienza tecnologia ingegneria matematica). Nelle società più egualitarie in termini di genere, come la Svezia, le donne costituiscono le percentuali più basse di studenti Stem al mondo, presumibilmente perché si sentono libere di seguire le proprie preferenze. La discriminazione non c’entra.

Se la sottorappresentazione statistica è il risultato della discriminazione, anche la sovrarappresentazione deve essere il risultato della discriminazione. Consideriamo alcuni casi. I giocatori della National Football League sono per il 70% neri (rispetto al 13,4% della popolazione generale), mentre il 74,2% dei giocatori della National Basketball Association sono neri, il 16,9% bianchi, 2,2% latini e 0,4% asiatici. Questi livelli statistici di partecipazione sono il risultato della discriminazione razziale? La Nfl e la Nba discriminano attivamente i giocatori bianchi, latini e asiatici? Piuttosto, sembra che le squadre competano per i migliori giocatori in modo che possano avere successo nei loro campi di gara. La selezione si basa sul merito atletico, piuttosto che sulla razza. Nessuna discriminazione razziale è evidente.

Inoltre, gli americani asiatici, che costituiscono il 5,9 per cento della popolazione, rappresentano il 17,1 per cento dei medici. Questa è una grande disparità statistica. Deriva dalla discriminazione razziale contro bianchi, neri e ispanici? Chi sta discriminando esattamente a favore degli asiatici americani, delle persone che a loro volta hanno subito discriminazioni da tempo? Ci sono prove di discriminazione a favore degli americani asiatici?

Se la discriminazione razziale non spiega il predominio degli atleti neri nello sport professionistico, o la grande percentuale di asiatici americani in campo medico, cosa spiega questi successi? Siamo stati avvertiti da Ibram X. Kendi che «il comportamento del gruppo razziale è un’invenzione dell’immaginazione del razzista». Tuttavia, se consultiamo le prove, piuttosto che l’ideologia razzista, è fuori discussione che la struttura familiare, la cultura della comunità e il livello di criminalità differiscano notevolmente tra i membri di diverse categorie razziali.

Quali potrebbero essere le ragioni dei risultati diversi?

Sappiamo che le famiglie con due genitori, rispetto a quelle con un solo genitore, sono associate a un livello di istruzione superiore dei figli e a un livello inferiore di attività criminali e carcerazione. E i membri di diverse categorie di razza censita, differiscono nella loro struttura familiare: la percentuale di famiglie monoparentali tra gli afroamericani, nel 2019 era del 64 percento; tra gli indiani d’America, il 52 per cento; tra gli ispanici, il 42 per cento; tra i bianchi, il 24 per cento; e tra gli americani asiatici e gli abitanti delle isole del Pacifico, il 15 percento.

Il rendimento scolastico è correlato alla struttura familiare. In tutti i test standardizzati, gli americani asiatici ottengono i punteggi più alti; quindi, ben dietro, vengono i bianchi, poi gli ispanici e infine i neri. Ciò riflette non solo la struttura familiare, ma anche la cultura familiare e comunitaria. Le famiglie asiatiche americane hanno un alto livello di disciplina e rispetto per l’autorità dei genitori, e le loro famiglie e comunità sono notoriamente impegnate nell’istruzione.

Il crimine segue uno schema simile: secondo i dati sugli omicidi dell’Fbi del 2019, «Quando la razza dell’autore del reato era nota, il 55,9 percento è risultato nero o afroamericano, il 41,1 percento bianco e il 3,0 percento di altre razze». Tra le vittime di omicidio nel 2019 per le quali la razza era nota, «il 54,7 percento era nero o afroamericano, il 42,3 percento era bianco e il 3,1 percento era di altre razze».

Ciò significa che il tasso di reati pro capite per gli afroamericani era circa sei volte superiore a quello dei bianchi. Di conseguenza, gli afroamericani sono altamente sovrarappresentati nelle carceri, sebbene non siano sovrarappresentati in termini di attività criminali della tipologia più grave.

Il modello del successo economico misurato dal reddito, è più o meno lo stesso. Il reddito familiare medio degli americani asiatici nel 2018 è stato di 87 mila 243 dollari, per i bianchi di 67 mila 937 dollari, per gli ispanici di 51 mila 404 dollari e per i neri 41 mila 511 dollari. Tuttavia il colore della pelle non sembra essere un fattore determinante, poiché gli immigrati nigeriani negli Stati Uniti hanno un reddito medio di 52 mila dollari, mentre il 35% delle famiglie di immigrati nigeriani guadagna 90 mila dollari.

Tutte queste disparità statistiche che indicano difficoltà nella comunità afroamericana sono risultate dopo 50 anni di discriminazione legalizzata per conto degli afroamericani. L’«affermative action» (che concede benefici a gruppi etnici sottorappresentati) ha reso i neri americani una categoria preferita di richiedenti e ha concesso condizioni e vantaggi speciali per i neri americani. Ora «diversità, equità e inclusione» intensificano la discriminazione pro-neri e, per inciso, la discriminazione anti-bianca e anti-asiatica. Ma le disparità restano, perché anche 50 anni di discriminazione razziale a favore dei neri americani non hanno affrontato le patologie sociali della loro comunità.

Ora, Ibram X. Kendi ci ha avvertito che «Uno o crede che i problemi siano radicati in gruppi di persone, ed è così razzista, o individua le radici dei problemi nel potere e nelle politiche, ed è antirazzista». Pertanto, secondo Kendi, fare riferimento a diverse caratteristiche della struttura familiare, della cultura comunitaria e della criminalità nelle diverse categorie razziali è razzista. Kendi sta sostenendo i neri americani e rifiuta l’evidenza che i neri abbiano una certa responsabilità per i loro livelli di successo e per patologie sociali come la criminalità. Il problema, secondo Kendi solo il «potere e le politiche», e prendendo questa posizione, sta derubando i neri americani del loro libero arbitrio come esseri umani, della loro capacità di raggiungere e di perseguire i propri fini. Questo non è «antirazzismo», sta minando il pubblico che Kendi afferma di difendere.

La soluzione di Kendi al «razzismo» e alla presunta discriminazione è aumentare le preferenze e i benefici per i neri, in perpetuo: «L’unico rimedio alla discriminazione passata è la discriminazione presente. L’unico rimedio alla discriminazione attuale è la discriminazione futura». Kendi mira a disaggregare i premi dalle prestazioni, in modo che la sua categoria razziale preferita ottenga i premi indipendentemente dalle prestazioni. Questo non è antirazzismo; è razzismo al contrario, così come la negazione del successo e del merito, e l’avanzamento della mediocrità in tutti i nostri campi di conoscenza e servizio.

 

Philip Carl Salzman è professore emerito di antropologia presso la McGill University, senior fellow presso il Frontier Center for Public Policy, membro del Middle East Forum e presidente di Scholars for Peace in Middle East.

Le opinioni espresse in quest’articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente quelle di Epoch Times.

Articolo in inglese: he False Justification for Anti-Racism and ‘Social Justice’

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