La differenza tra la gratitudine e il pensare che tutto sia dovuto

Di Paul Adams

C’è veramente molto nella vita di cui essere grati. Sviluppare e praticare la gratitudine sino a renderla una parte integrante di se stessi è importante per il benessere individuale e per quello dell’intera società. Perché allora, al giorno d’oggi, si insegna l’opposto ai giovani e ai bambini: a reclamare, a provare risentimento, a considerarsi delle vittime ed a credere che tutto sia dovuto?

Le ragioni per essere grati

Si dovrebbe essere grati della propria vita e del fatto stesso che la vita esista; grati che ci sia qualcosa invece del nulla. Se ci si ferma un momento a riflettere, si può provare gratitudine per la propria capacità di vedere e per gli altri sensi, per la propria mente e le proprie conoscenze. Purtroppo, spesso si finisce per apprezzare la propria salute mentale e fisica solo quando queste sono ormai irrimediabilmente compromesse.

A volte, individualisticamente, ci si immagina nati, vissuti e morti come individui liberi e autonomi senza debiti, neanche di gratitudine, se non quelli creati per propria scelta. L’uomo è, come dice il filosofo Alasdair MacIntyre, un animale razionale dipendente. Dipende dagli altri nella vita e negli affetti, nell’acquisizione della cultura e del linguaggio. Gran parte di ciò che si ha lo si eredità dagli altri: gli strumenti concettuali che consentono di pensare razionalmente, la tecnologia che permette di sostenere e migliorare materialmente la propria vita, la saggezza e le tradizioni spirituali che consentono di comprendere meglio il significato e lo scopo della propria esistenza.

In effetti la gratitudine riflette la realtà delle cose: la verità della condizione umana, che sfugge ai bambini egoisti o agli adolescenti narcisi, ma che gli adulti comprendono con la maturità e l’esperienza. Tutti dipendono da quello che è stato loro dato senza che se lo siano guadagnato, senza il proprio controllo, e non in base ai propri meriti.

I benefici della gratitudine

I genitori e i mentori spirituali e religiosi di tutte le culture e tradizioni hanno sempre enfatizzato i benefici della gratitudine per il benessere dell’umanità. Ed ora c’è sempre più consenso a questo riguardo anche all’interno della comunità scientifica. Le ricerche indicano infatti che l’inclinazione alla gratitudine si può coltivare ad ogni età e porta benefici ad adulti, bambini, studenti e impiegati, sia in qualità di individui che di gruppo.

Un ampio numero di studi suggerisce che l’inclinazione alla gratitudine favorisce il buon umore, aumenta la resilienza, migliora la salute fisica, diminuisce la stanchezza e consente di dormire meglio. Inoltre, favorisce lo sviluppo di altre virtù, come la pazienza, l’umiltà, l’autocontrollo e la saggezza. Ed oltre a portare benefici ai singoli individui, sembra che la gratitudine migliori i gruppi nel loro insieme: aumenta la gratificazione sul posto di lavoro, rende più solide le relazioni, incoraggia la gentilezza, l’aiuto reciproco e il dare.

Alcune ricerche enfatizzano che, oltre ai benefici apportati dalla ‘gratitudine in generale’, come la diminuzione dell’ansia, della depressione e un aumento del benessere, ‘la gratitudine religiosa’ – insegnata e praticata praticamente in tutte le religioni del mondo – accresce ulteriormente questi benefici.

Il dottor David Rosmarin della Harvard Medical School, autore di una guida pratica per medici circa l’integrazione di spiritualità, religione e terapia cognitivo-comportamentale, ha scoperto, insieme ai suoi colleghi ricercatori, che «la gratitudine religiosa verso Dio sembra portare a ulteriori riduzioni dell’ansia, della depressione ed a un ulteriore miglioramento del proprio benessere».

Oggi, a fronte del notevolissimo aumento – specialmente tra i bambini e i giovani – dei disturbi d’ansia, depressione e dei suicidi, sarebbe lecito aspettarsi che gli individui coinvolti nell’educazione dei bambini e dei giovani dessero grande importanza, come del resto facevano le generazioni passate, alla coltivazione della gratitudine.

L’ingratitudine e l’inclinazione a credere che tutto sia dovuto

Tuttavia, sembra che stia avvenendo proprio il contrario. Coltivare la gratitudine diventa difficile quando i giovani imparano a rispettare tutte le culture tranne la propria, tutte le fedi tranne quella con cui sono cresciuti.

Quando l’amore per il proprio Paese non viene incoraggiato nelle scuole e nelle università – ma piuttosto trattato con disprezzo – è difficile provare gratitudine per i sacrifici fatti dalle generazioni precedenti e per le tradizioni che hanno imparato, trasmesso ed alle quali hanno contribuito.

Tant’è che anche quando provengono da famiglie e comunità con valori tradizionali, gli studenti finiscono per assorbire il messaggio che il Paese fosse corrotto sin dal suo inizio, e che tutta la sua Storia e i suoi fondatori debbano essere considerate motivo di vergogna e rimorso.

Sempre più spesso, i giovani vengono incoraggiati ad approcciare l’università non con uno spirito di gratitudine – per l’opportunità offerta loro di entrare in contatto con un ricco corpus di conoscenze, saggezza e capacità – ma con la convinzione che sia un loro mero diritto.

Un esercito di dirigenti, ansiosi di preservare la diversità (non quando si tratta di diversi punti di vista intellettuali) del corpo studentesco, ha creato un ambiente ipersensibile a qualsiasi trasgressione dell’ideologia culturale dominante e della cultura politica sinistroide condivisa da gran parte delle Facoltà e dei dirigenti, limitando qualsiasi cosa che possa far sentire uno studente ‘insicuro’.

Parlare dei cosiddetti ‘fiocchi di neve’ è un poco ingiusto, perché in realtà sono i dirigenti che stanno tentando di dirigere «la codifica della mente», proteggendola da punti di vista, ragionamenti e prove che potrebbero entrare in conflitto con l’opinione dominante.

Credere che tutto sia dovuto genera a sua volta uno smisurato senso di superiorità, come anche la convinzione di essere più meritevole degli altri. Se diventa un tratto psicologico, può causare uno stato cronico di non conseguimento delle proprie aspettative, e innestare un ciclo di comportamenti che rafforzano il proprio ego, con terribili conseguenze psicologiche e sociali. È esattamente l’opposto dell’umiltà e della gratitudine, che se coltivate possono proteggere da questo tratto. La cosa preoccupante è che numerose ricerche indicano che si tratta di un atteggiamento più frequente tra i cosiddetti millennial [i nati tra il 1980 e il 1994]. Essendo un fenomeno culturale, si manifesta ad esempio nella rabbia degli studenti quando un oratore o un professore dicono qualcosa, o ci si aspetta che dicano qualcosa, con cui si è in disaccordo; è un fenomeno ormai dilagante nelle università, e in strada assume talvolta forme violente, come nel caso degli Antifa.

Per farla breve, la gratitudine è radicata nella realtà della condizione umana e nella reale posizione dell’uomo in questo mondo e nell’universo; catalizza altre virtù come l’umiltà e la saggezza, che a loro volta favoriscono la felicità. Porta con se svariati benefici fisici, psicologici, spirituali e sociali. Nessun individuo, famiglia o società potrà mai prosperare senza di essa.

Al contrario, credere che tutto sia dovuto è un atteggiamento illusorio e distruttivo; altera la realtà e il posto dell’Uomo in essa. Catalizza altri tratti negativi e vizi, come la rabbia, il risentimento, l’arroganza, il senso di superiorità, la fragilità emotiva, e naturalmente l’ingratitudine. Credere che tutto sia dovuto ha dunque molti effetti negativi.

In tutti gli ambiti dove la gratitudine costruisce e protegge, credere che tutto sia dovuto danneggia e distrugge.

 

L’autore dell’articolo, Paul Adams, è un professore emerito di lavoro sociale presso l’Università dielle Hawai ed è stato professore e socio preside degli affari accademici presso la Case Western Reserve University. È il coautore di ‘La giustizia sociale non è ciò che pensi che sia’ e ha scritto ampiamente sulla politica di assistenza sociale e sull’etica professionale e della virtù.

Le opinioni espresse in questo articolo sono le opinioni dell’autore e non riflettono necessariamente le opinioni di Epoch Times.

 

Articolo in inglese: Gratitude Versus Entitlement

Per saperne di più:

 
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