La crisi del debito pubblico incombe sull’Eurozona

La Banca centrale europea ha annunciato la fine del programma speciale di acquisto di titoli pubblici a interesse zero e persino la possibilità che i tassi aumentino prima del 2019. Dopo oltre 2 mila miliardi di euro di titoli venduti a interesse zero, non era più possibile procrastinare la fine dell’ingente immissione di liquidità.

L’enorme programma di quantitative easing ha generato grandi squilibri e i pericoli superano abbondantemente i discutibili benefici. Lo Stato patrimoniale della Bce è ora superiore al 40 per cento del Pil dell’eurozona.

I governi degli Stati membri, tuttavia, non sono affatto nelle condizioni di poter rinunciare al ‘bazooka’ della Bce. Spesso hanno dichiarato di aver ridotto il debito pubblico e arginato i rischi, tuttavia un esame più attento rivela che le riduzioni del debito pubblico sono riconducibili al basso tasso d’interesse del debito governativo. Le spese dei governi dell’euro zona sono diminuite di poco o nulla nonostante il tasso di disoccupazione sia sceso e le entrati fiscali aumentate. I deficit strutturali ‘resistono’, e in alcuni casi, sono rimasti invariati rispetto al 2013.

In altre parole i problemi fondamentali sono ancora irrisolti, erano solo stati coperti momentaneamente sotto il velo della crescita dell’economia mondiale.

Secondo il quotidiano tedesco Handelsblatt i 19 Paesi dell’eurozona avrebbero risparmiato collettivamente 1150 miliardi di euro a partire dal 2008 grazie al taglio dei tassi di interesse operato dalla Bce e ai suoi interventi di politica monetaria. È necessario però precisare che a pagare i costi di tali operazioni sono stati i pensionati e i risparmiatori, i quali sono stati costretti a investire in questi titoli di debito, spesso tramite ‘mandati istituzionali’.

L’ILLUSIONE DEL RISPARMIO

Ad ogni modo, l’illusione di aver risparmiato e della stabilità di bilancio svaniranno presto, poiché gran parte dei paesi dell’eurozona hanno emesso un enorme quantità di titoli di debito che scadranno tra il 2018 e il 2020, e hanno sprecato anni preziosi di quantitative easing senza varare riforme strutturali efficaci. I recenti travagli delle banche italiane sono solamente un’avvisaglia di ciò che accadrà in futuro.

Le tasse sono aumentate per le famiglie e la piccola e media impresa, mentre le spese dei governi mediamente sono scese di pochissimo, la competitività è rimasta bassa, inoltre l’enorme somma di 1000 miliardi di euro investiti in prestiti infruttiferi fa sorgere qualche dubbio circa l’effettiva condizione del sistema finanziario europeo.

Le principali economie dell’eurozona dovranno pagare oltre 2100 miliardi di euro di debito tra il 2018 e il 2021. Inoltre la prevista riduzione degli introiti fiscali dovuta al rallentamento dell’economia globale, e l’aumento delle spese prodotto dalle richieste ‘populiste’, pongono l’Unione europea di fronte al rischio di ritrovarsi in una crisi talmente grande da non poter essere arginata da nessuna banca centrale. In assenza di riforme strutturali l’eurozona dovrà affrontare un periodo di stagnazione simile a quello del Giappone o una crisi del debito.

La Bce nel 2014 aveva dichiarato «Molti paesi dell’euro zona non hanno sfruttato le condizioni economiche favorevoli prima della crisi per costruire una riserva fiscale in vista delle recessioni future». La storia si sta ripetendo, ma questa volta sarà molto peggio, poiché il rapporto tra debito pubblico e Pil è cresciuto mediamente di almeno il 90 percento e le spese governative continuano a superare il Pil di oltre il 40 per cento.

La realtà è che la Bce non ha più mezzi per evitare la crisi, a meno che non voglia diventare la Banca del Giappone e iniziare a monetizzare tutte le azioni e per poi passare all’attacco appena dopo aver annunciato il suo ritiro.

RENDIMENTI MAGGIORI

A che livello dovrebbe essere il rendimento dei bond dell’eurozona se la Bce non fosse la principale acquirente? È difficile dirlo con certezza, perché a quei livelli non si riesce a discernere quale sia l’effettiva domanda del mercato. Ad ogni modo durante il picco di quantitative easing negli Usa, la Federal Reserve non era mai arrivata a comprare il 100 per cento dei bond del Tesoro americano.

Attualmente il programma della Bce ne acquista 3 volte più di quanti non ne emetta. Perciò non è possibile sapere quale sia la reale domanda di mercato dei titoli di Stato dell’eurozona ne quali rendimenti verrebbero richiesti dagli investitori per compensare il rischio derivante dal pesante indebitamento dei governi.

Certamente i rendimenti sarebbero molto più alti. La mia stima è che sarebbe necessario un aumento minimo dell’1,2 percento rispetto ai rendimenti attuali per soddisfare gli investitori.

D’altronde l’aumento dei rendimenti non sarebbe una tragedia per le nazioni dell’eurozona. Infatti all’apice della crisi europea il rendimento dei titoli spagnoli aveva superato del 3,4 percento il rendimento standard dei titoli di Stato. Tuttavia, il ritorno dei rendimenti al loro livello ‘reale’ si ripercuoterà sulla fiducia [dei mercati] non appena svanirà l’effetto placebo del quantitative easing e si tornerà alla realtà.

Nessun Paese dell’eurozona eccetto la Germania, e forse l’Olanda, è pronto per affrontare la fine del quantitative easing.

I governi dell’Unione hanno sprecato i potenziali benefici del quantitative easing aumentando la spesa pubblica e mantenendo i deficit strutturali.

Ora il vento sta cambiando. Anche se la Bce decidesse di posticipare la fine del quantitative easing, la realtà è che il rendimento dei titoli di Stato e i ‘credit default swaps’ sono cresciuti costantemente. Non solo a causa della crisi italiana, ma per via delle evidenti problematiche irrisolte che stanno tornando a galla in Europa.

La cosa peggiore è che probabilmente i governi europei decideranno di aumentare le tasse per contrastare l’aumento del rispettivo debito pubblico.

L’ormai evidente rallentamento dell’economia congiunto all’aumento delle tasse, alle spese pubbliche pressoché invariate, all’aumento dei debiti pubblici e dei rispettivi tassi di interesse, potrebbe causare la ‘tempesta perfetta’ per l’Europa che sembrerebbe destinata a rientrare nell’incubo della crisi.

L’Unione europea ha deciso di contrastare la crisi coprendo gli squilibri sotto grandi immissioni di liquidità, e i governi hanno accantonato le riforme e puntato tutto sulla politica monetaria. Adesso è probabile che la realtà si manifesterà improvvisamente. E nessuno dei governi europei è realmente pronto, perché non sono nemmeno pienamente coscienti della reale entità del problema.

Daniel Lacalle lavora come Chief economist per il fondo speculativo Tressis e autore di “Scappare dalla trappola della Banca Centrale”.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la visione di Epoch Times.

 

Articolo inglese: The Eurozone’s Coming Debt Crisis

Traduzione di Marco D’Ippolito

 
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