La crisi cronica dell’economia cinese

Durante gli anni del boom economico cinese, tutti gli sforzi degli analisti erano tesi a indovinare se la crescita dell’economia sarebbe stata del 10 o del 12 per cento. Ma da quando, una decina d’anni fa, si è scoperto che la Cina soffre di dipendenza cronica da debito, gli esperti hanno cominciato a prevedere una crisi finanziaria in piena regola e, ultimamente, anche la forte svalutazione dello yuan.

Fraser Howie, esperto di Cina e autore di libri di economia, non è mai stato un fan del regime cinese, né tantomeno del suo modello di crescita guidato dal credito. Ma sa bene che la Cina possiede molti strumenti per evitare una crisi in stile Lehman Brothers, e quindi ha una visione più sottile dell’economia cinese che, tra alti e bassi, si trova in una situazione confusa.
Howie è co-autore di tre libri sul sistema finanziario cinese, tra cui Red Capitalism: The Fragile Financial Foundation of China’s Extraordinary Rise [Il capitalismo Rosso: la fragile base finanziaria della straordinaria crescita della Cina, ndt], nominato libro dell’anno nel 2011 dalla rivista The Economist.

Howie, che ha vissuto oltre venti anni in Asia, facendo sia analisi che investimenti sui mercati asiatici, rappresenta una Cina la cui crisi somiglierà più a quella del Giappone dei primi anni 90 che a quella degli Stati Uniti nel 2008.

Una crisi finanziaria cinese è imminente? 

Alcuni non sanno ancora perché [la Cina, ndr] non sia collassata. Va male da un po’, ma può andare male per lungo tempo senza collassare. La capacità [del regime, ndr] di ricorrere a espedienti contabili e spostare denaro dalla tasca sinistra a quella destra può andare avanti per molto tempo.

Prima di tutto, non stanno accadendo cose positive. Non esiste alcuna evidenza che siano in atto delle riforme, non ci sono segnali di apertura al mercato; non esiste alcuna indicazione che il [regime, ndr] stia riducendo il suo coinvolgimento economico.
Per la Cina è essenziale che il regime ritiri e allenti il suo coinvolgimento nelle aziende. Non vedo alcun segnale in questo. La supremazia dello Stato in campo economico rimane invariata.

Ma anche dal lato negativo, esiste un qualcosa di leggermente positivo: lo scorso anno sono migliorati nell’attività economica; i prezzi delle materie prime sono stati più stabili. Quindi in questo senso, non c’è da essere ottimisti ma neanche da farsi prendere dal panico. Ma questo non significa che tutto è stato risolto: hanno semplicemente evitato lo scenario peggiore.

Quali sono alcuni dei punti più problematici?

Ci sono molto problemi in alcuni mercati obbligazionari illiquidi e nel mercato interbancario, così come in quello della valuta. Mi sconcerta la stupidità nel voler mantenere obiettivi arbitrari per la valuta o le riserve in valuta estera.
Con sette yuan per un dollaro, si dovrebbero fare buoni affari senza problemi. Ma la Banca Centrale cinese è stata molto riluttante a permettere un’oscillazione di valuta.
Pertanto, ora si teme che lo yuan scenda a un tasso di cambio inferiore a sette.

Questo ha spinto la Banca popolare cinese a censurare i numeri provenienti da certe società di analisi di mercato prima della fine dell’anno, e dichiarare che la moneta non verrà scambiata a sette yuan per dollaro. Ridicolo.
Perché è così importante il sette? La valuta si sta indebolendo, è risaputo. I turisti negli aeroporti stanno già cambiando a sette o meno […]. Considerano questi numeri come psicologicamente importanti, ma non lo sono a livello economico. I tre miliardi di dollari di riserve in valuta estera sono un altro esempio: tre miliardi è un numero grande, ma lo sono anche 2,8 miliardi.

Questo crea enorme panico e preoccupazione, perché non si sa se cambieranno con un tasso consolidato a sette. La Cina deve allontanarsi da questo ancoraggio; stanno lentamente iniziando con il Pil, e accennano anche ad altri numeri.

Quali sono gli aspetti positivi? 

La buona notizia sull’economia cinese è che continua ad andare avanti in modo disordinato, evitando il peggior risultato. Questo non vuol dire che non si verificherà una situazione peggiore o che le cose miglioreranno, ma è una situazione confusa che va avanti da lungo tempo.

Prendiamo il 2017. Una cosa che pesa su tutto è Donald Trump, e di conseguenza la politica della Cina selezionerà dei nuovi membri del Politburo entro la fine dell’anno. È il momento prima della tempesta. Entro la fine dell’anno vedremo molte cose che cambieranno velocemente.

UNA CRISI SPECIALE 

Che cosa intende per ‘volatilità’? 

Alcuni investitori un paio di anni fa spingevano per farmi dire che si sarebbe verificato un crollo del sistema bancario in Cina. Quindi, se si pensa che una banca debba fare la fine di Lehman Brothers perché si abbia una crisi in Cina, non credo che accadrà mai. Nel 2008 il Partito Comunista Cinese ha inorridito di fronte al caso Lehman: misero anche in dubbio la credibilità del governo degli Stati Uniti. Se questa è la definizione di ‘crisi’, in Cina non succederà.

Ma questo non vuol dire che non potrà esserci un altro tipo di crisi. La crescita dal picco del 2008 si è dimezzata e il debito è raddoppiato, e questo lo dicono persino i numeri ufficiali. Insomma, una situazione che assomiglia in qualche modo a una crisi. Ma non è una crisi acuta: si tratta di una malattia cronica, di una crisi a lungo termine.

Questa crisi l’ho sempre paragonata ai fumatori: anche le persone che fumano e mangiano male possono vivere fino a 70 anni o più. Non sono molto attivi, hanno una brutta pelle, non hanno una buona circolazione e soffrono di diabete; insomma ci sono numerosi effetti a catena.

Allo stesso modo, la Cina ha attraversato la sua adolescenza tra abbuffate e virilità precoce. Troppi farmaci, troppo alcol, troppe donne, tutti i soliti vizi, senza fare abbastanza esercizio. Potevano farlo perché avevano molte possibilità economiche, come l’aumento della forza lavoro e un ambiente globale favorevole.

Ma adesso alcune cose sono cambiate in Cina, altre sono cambiate a livello internazionale, ed è chiaro che lo stile di vita tipico della giovinezza non è più valido. L’economia globale non li rifornisce più, non hanno una giovane popolazione in crescita. Anzi, la popolazione sta invecchiando e la forza lavoro è in diminuzione. E tutto il capitale e la ricchezza costruiti negli anni del boom non sono stati ben investiti; e quindi – negli anni di magra – non si riesce più a vivere allo stesso modo.

Inoltre, la comunità internazionale non ha parlato delle conseguenze del giovane che conduce una vita selvaggia: nessuno ha detto alla Cina che le cose sarebbero diventate più dure, che la sua salute ne avrebbe sofferto. Alla Cina si è detto solo quello che voleva sentirsi dire: ‘Potete crescere all’infinito’.

Questo non provoca una crisi acuta? Certo, non sarà una crisi come Lehman, assomiglierà più a quella del Giappone. Le analogie ci sono: un grande Paese incapace di fare riforme, molto più propenso a rinviare e negare il debito piuttosto che a svalutarlo, chiudere aziende e cose del genere.

Alcuni dicono che siccome la Cina ha un Pil pro capite più basso del Giappone al culmine del suo boom, ha più spazio per uscire dalla crisi cronica attraverso più investimenti nelle infrastrutture. 

In base a questo di ragionamento, la Somalia è la migliore opportunità di investimento sul pianeta: hanno davvero un basso Pil pro capite e nessuna infrastruttura. Guarda che grande potenziale di crescita!

La Cina non è riuscita a stabilizzare la sua situazione. È ancora troppo dipendente dagli investimenti fissi e da una crescita industriale obsoleta. Sì, c’è stato un aumento dei servizi, di internet e della tecnologia, come Alibaba. Ma molte di queste cose sono solo surrogati: la gente sta solo comprando online piuttosto che andare in negozio.

Articolo in inglese: ‘China’s Chronic Economic Crisis

Traduzione di Massimiliano Russano

 
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